Un grande filosofo si interroga sulla crisi dell’Europa, «che non è politica o economica ma di ammirazione della Trascendenza». Solo tornando al principio potrà recuperare le sue fondamenta, racchiuse nella risposta alla domanda «Quid est Veritas? Vir qui adest».
di Stanislaw Grygiel
L’Europa è un evento spirituale, non geografico o puramente politico. Avviene nelle persone. Non è perciò possibile comprendere l’Europa senza prima porre la domanda su chi sia la persona umana, perché è solo in lei che accadono gli eventi spirituali.
La domanda sull’Europa è in fondo la domanda “qual è la verità dell’uomo?”. È l’uomo o, meglio, è ciò che accade in lui come un dono particolare da lui ricevuto nel Principio che decise e continua a decidere dell’evento spirituale che si chiama Europa.
Dobbiamo, quindi, ogni giorno ritornare a questo Principio, se vogliamo non solo conoscere l’Europa ma anche essere europei. Non basta saper fare la sociologia, la psicologia, l’ecologia e altre scienze di questo genere per poter edificare la casa europea.
Le fondamenta dell’Europa sono gettate laddove si delinea l’orizzonte che il domandare metafisico e l’aspettare la risposta appena sfiorano. Quando parlano dell’Europa, le cosiddette scienze esatte parlano di qualcosa d’altro, perché essa non s’identifica con oggetti costituiti e formati da calcoli che spiegano sempre ipoteticamente il loro funzionamento d’oggi e cercano di prevedere quello di domani.
L’Europa ridotta ad un oggetto di calcoli economici e politici è sempre da riformare in modo economico e politico. Gli eventi spirituali non sono però da riformare. Chi cerca di riformare la persona umana, deve prima renderla oggetto, cioè deve negarla. La riforma non salva la persona. Di conseguenza, non salverà nemmeno l’Europa.
L’Europa o rinasce nelle persone in cui nasce oppure muore, quando queste persone dimenticano chi siano e chi, allora, debbano divenire. Ciò significa che per l’Europa non c’è alcuna salvezza fuori delle persone nelle quali è nata. Quando parlo del rinascere della persona, parlo insieme con san Tommaso d’Aquino del ritornare dell’uomo ai Principi che decidono del suo inizio. Parlo allora dell’atto della creazione da cui scaturisce la bellezza della verità e del bene di ogni essere creato. Se non c’è Dio, non c’è la verità.
Tutto ciò che funziona come verità non è che un’opinione tra le altre opinioni. Il loro principio si trova nell’uomo che si mette a crearle sotto l’effetto di costruzioni emozionali, chiamate amore, giustizia, misericordia, pace e così via. Esse dipendono dal passare del tempo, dai venti di moda e dagli interessi del momento, e in fin dei conti dalle voglie degli uomini ridotti a essere individui.
Se la rinascita non ha niente a che fare con i processi tecnici, tutti coloro che pensano di poter riformare l’uomo lo chiudono nel tempo e nello spazio, così che in quei processi si chiudono anche il progresso e lo sviluppo, perdendo senso e valore. La visione dello sviluppo e del progresso dell’Europa dipende dalla visione del progresso e dello sviluppo dell’uomo europeo.
La visione del progresso e dello sviluppo dipende dalla qualità delle domande in cui pensiamo l’uomo e il futuro da lui mirato. Non è facile comprendere il significato del verbo “rinascere”, perché non è facile pensare il futuro dell’uomo. Quando questo futuro viene chiuso nel tempo, la domanda sull’uomo e, di conseguenza, sul suo rinascere cade nelle trappole ideologiche.
Non basta guardarsi nello specchio La domanda sul significato del verbo “rinascere” tormentava Nicodemo, grande dotto d’Israele. Egli viene di notte da Gesù, perché ha paura degli altri dotti, i farisei, e Gli chiede: «Rabbi, sappiamo che sei un maestro venuto da Dio; nessuno infatti può fare i segni che tu fai, se Dio non è con lui». La risposta di Gesù lo stupisce. Il dotto non capisce che Gesù gli parla della rinascita che viene dall’alto, dallo Spirito che «soffia dove vuole».
È tanto convinto che l’uomo nasca solo carnalmente da pensare che chi parla della rinascita dell’uomo parla del suo rientro nel grembo materno. Alla sua domanda di come l’uomo possa rientrare in sua madre, Cristo gli risponde con una domanda ironica: «Tu sei maestro in Israele e non sai queste cose?» (cfr. Gv 3,1 e ss.).
L’uomo rinasce nello spirito e nella verità nell’incontro dell’altra persona. In quest’incontro avviene l’epifania della verità, in cui l’uomo si rivela e si realizza come persona. L’evento della verità ha luogo sia nella domanda dell’antico epigramma: «Quid sit veritas?» che nella risposta che indica l’ad-venire di questa verità nell’altra persona: «Veritas est vir qui adest» – verità è la persona presente ad un’altra persona.
Nelle persone presenti l’una all’altra nascono le loro comunioni: il matrimonio, la famiglia, la nazione, la Chiesa. Non rinascono, allora, coloro che non dimorano che in se stessi. Non vedono chi essi stessi siano. Non basta guardarsi nello specchio oppure in quell’altro che sessualmente non è differente.
L’omosessualità non ha il carattere epifanico. Essa odora di narcisismo. La verità si rivela solo nelle persone e tra le persone, creando in loro la comunione, nella quale una persona per l’altra diventa munus – il dovere. Il loro vivere cum munere crea la communio personarum sul fondamento del reciproco affidarsi (la fede), sul riporre fiducia nelle conseguenze di questo affidarsi (la speranza) e sul donarsi all’altra fino ad offrire la vita per lei (l’amore).
Rinascono dunque gli uomini che ritornano alla verità che avviene tra di loro ma che scaturisce dal Principio, cioè dall’atto della creazione in cui Dio crea l’uomo maschio e femmina. La primordiale comunione creata dall’affidamento di Eva ad Adamo e di Adamo ad Eva costituisce il dialogo primordiale in cui si rivela e si realizza la verità dell’uomo.
Dall’esperienza di questo dialogo provengono gli obblighi morali, propri dell’amore, della fede e della speranza. Il latino munus significa dovere. Possiamo dire che già nell’atto della creazione, cioè nel Principio, l’uomo è obbligato a vivere nella verità del suo essere persona. Perciò solo chi vive ritornando continuamente all’atto della creazione, vivendo cioè cum munere, rinasce. Rinasce in Spirito (dialogo) e in verità.
In altre parole, extra communionem personarum nulla salus per noi, gli uomini. Paradigma di ogni comunione delle persone, paradigma creato da Dio, è la relazione dei doveri che sono l’uomo per la donna e la donna per l’uomo. Cristo cerca di elevare lo sguardo di Nicodemo alle altezze divine dove paradigma di ogni comunione delle persone è la Santissima Trinità. Gli rivela ciò dicendo che «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16).
Con il negare l’atto della creazione, l’ateismo nega la comunione primordiale delle persone e, di conseguenza, nega la verità dell’uomo che si rivela nella relazione dialogale dell’uomo e della donna. Negando la fede nell’altro fino a dare la vita per lui, negando così grande amore e speranza, l’ateismo corrompe non solo la Chiesa, ma anche il matrimonio, la famiglia, la nazione.
Non c’è quindi da meravigliarsi che l’Europa come società costruita per qualcosa di infinitamente più grande del carbone e dell’acciaio degeneri in una massa di individui, cioè in un’ombra della società delle persone. L’Europa dimentica di essere evento spirituale, anzi l’Europa ha in odio l’esserlo. Gli eventi spirituali non risultano dalle operazioni della ragione (ratio) illuminata dai numeri che vi sono presenti (Cartesio).
Non risultano dalla praxis produttiva. Avvengono infatti nel dialogo dell’uomo con l’alterità che egli ritrova nell’altra persona. L’alterità lo trascende e l’affascina. La Trascendenza divina seduce e porta l’uomo nel paese proprio dell’Alterità. Lo seduce e ve lo porta come Zeus, che travestito da toro bianco rapisce Europa, la figlia del re di Tiro e Sidone.
In quanto evento spirituale l’Europa avviene nel nostro ammirare l’Alterità Divina e nella speranza che questa Alterità si stia avvicinando, speranza ridestata dalla bellezza della stessa Alterità nelle sue epifanie. Perciò la crisi dell’Europa non è tanto crisi politica oppure economica, quanto crisi dell’ammirazione della Trascendenza, crisi degli europei che non si affidano più all’Alterità che li chiama a camminare verso di lei. Il qualunquismo delle procedure
La crisi dell’evento che è l’Europa accade su due livelli, poiché è da due sorgenti che essa scaturisce. L’Europa nasce infatti da un lato nella domanda dei greci sulla verità dell’uomo e nella loro ricerca della risposta ad essa, e, da un altro lato, nella profezia che in Gerusalemme sfidava il cielo con questa domanda.
La domanda “chi è l’uomo?” mirava alla sua salvezza, che dovrebbe cadere sulla terra come salvifica rugiada. I profeti di Gerusalemme avevano intravisto la salvezza per l’uomo nel Servo Giusto e Sofferente che, per quelli che vissero la croce e la resurrezione, è Gesù Cristo il Figlio del Dio vivente. In Atene primo europeo è Socrate. Il suo domandare e cercare la verità provocarono la sua morte, nella quale l’Europa cominciò a profilarsi al desiderio dei cuori e delle menti dei greci di conoscere come stessero le cose con l’universo e con l’uomo.
La domanda sulla verità e la ricerca della risposta ad essa rendevano Socrate libero dalle opinioni (doxa) che, trattate come risposte alle domande fondamentali sulla verità dell’uomo, non sono che più o meno intelligenti ideologie. I profeti conquistavano la libertà ponendo la stessa domanda sulla verità dell’uomo ma per parte loro in modo orante, vale a dire adorando Colui dalle cui labbra aspettavano la risposta. Quest’evento salvifico accade sulla croce sulla quale muore Cristo, rendendo testimonianza alla verità divino-umana dell’uomo.
L’amore di Dio di cui Cristo parla a Nicodemo non conosce che un limite: l’amore stesso. Il chicco di grano che muore gettato nella terra per amore degli uomini reca loro il frutto centuplicato. Grande è il contributo di Roma al costituirsi dell’Europa in una società ordinata dalle leggi. Esse danno la forma sociale alle domande greche fondamentali per la vita ed anche alla profezia di Gerusalemme. Però la forma della vita non è mai la vita stessa.
Perciò la domanda se l’Europa rinascerà o morirà ha per oggetto non tanto in che forma l’Europa continuerà a vivere, quanto se gli europei saranno ancora europei indipendentemente dalla forma che l’Europa possa assumere. Questa domanda mira al futuro dell’evento spirituale dell’identità culturale (e non solo) degli europei.
Senza dubbio nessuna riforma formale potrà salvare questo evento nelle persone. Deve essere salvato l’evento stesso che si chiama Europa. L’Europa non è da riparare, perché non si lascia ridurre ad un oggetto che esiga ogni tanto una qualche riparazione. In altri termini, non basta cambiare opinioni politiche oppure economiche sull’Europa perché essa migliori.
La doxa funzionerà sempre come principio della schiavitù. Friedrich Hòlderlin metteva in guardia contro il qualunquismo delle leggi e delle procedure costruite da gente affidata soltanto al proprio cogito che le inventa:
«Le leggi sono buone, tuttavia Come i denti dei draghi tagliano E ammazzano la vita, quando le irrigidisce l’infuriato Villano oppure il re».
Le leggi e le procedure staccate dall’evento spirituale lo annichiliscono. I politici del nihilismo hanno come modello quel Callide del Gorgia di Platone che, dopo aver separato le leggi della natura dalla natura dell’uomo, aveva rigettato i valori immutabili, non riconoscendo come bene comune che il benessere.
La sete di potere nichilistico porta sempre disgrazie e calamità per lo Stato (cfr Platone, Repubblica, 520, d, 521, b). Il nihilismo giuridico e procedurale serpeggiava sempre in Europa. Ma cominciò a dare la forma micidiale alla vita di quest’evento spirituale, quale è l’Europa, quando, invece di continuare a legarsi con l’essere dell’uomo e dell’universo, il pensiero europeo iniziò a far prevalere su di loro le opinioni e le voglie del cogito che impone alla realtà ciò che trova in se stesso. Esso vi trova i numeri.
Chiuso in essi il cogito divenne pura ratio, calcolo. Persino l’idea di Dio venne da esso ridotta così. Facendo parte della cultura razionalistica che non ha nulla a che fare con la profezia di Gerusalemme e con il suo compimento nella persona di Cristo, quest’idea di Dio cade insieme con la cultura razionalistica nel caos e con essa vi muore.
Le grandi rivoluzioni, francese, comunista, nazista e sessuale, sono soltanto sintomi mortali della malattia che oggi consuma la società (anche quella ecclesiale) e che io chiamerei “bastardía” provocata dall’oblio del padre e della madre. Il nihilismo e il relativismo che in esso viene a spadroneggiare risultano dal tradimento di se stessa da parte dell’Europa.
Le persone e quindi anche l’Europa che nasce in loro tradiscono se stesse non ritornando ai propri Principi, cioè non rinascendo. Nel nihilismo in cui cadono, le parole vengono contraffatte. Nessuna di esse indica i valori non negoziabili, senza i quali la verità non è più verità, l’amicizia non è amicizia, il matrimonio non è matrimonio, la famiglia non è famiglia e in fin dei conti la Chiesa cessa di essere Chiesa.
Se non sono profetiche, le parole non appartengono alla verità di ciò che è. Possono essere assegnate a qualunque cosa. La postmodernità, per potere cambiare il senso delle parole, deve per forza odiare la profezia e la domanda in essa presente: «Quid sit veritas?»
Non si accorge che l’uomo, privo della Parola nelle sue parole, si fa catturare dal niente. Cristo dice in modo “chiaro e distinto”: «Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Gv 8,31-32).
Non crediamo di credere I greci identificavano la verità con la giustizia, in cui vedevano «la figlia di Zeus» (Eschilo, Coefore, v. 970-972). Diventa giusto chi rende giustizia alla verità. Allora l’uomo giusto è libero. Socrate disse che «vive peggio (…) chi ha malvagità nell’anima, e non se ne libera» (Platone, Gorgia, 478). Queste parole dovrebbero essere incise sulle porte di tutti gli uffici pubblici in Europa.
I greci credevano che l’ingiustizia fosse «figlia della tracotanza» (hybris – Platone, Leggi, 691 c). La tracotanza della gente postmoderna consegue dalla convinzione che, dominando i numeri, la ragione umana può dominare tutto. La ragione calcolante costringe l’uomo a non riconoscere le leggi che nascono nell’esperienza dei doveri, cioè nell’esperienza della presenza delle altre persone, e ad arrogarsi il diritto di decidere persino della vita e della morte di tutto e di tutti.
Non vivendo in timore Dei, l’uomo calcolante ha però paura dei più forti di lui, così da non dire la verità persino quando la dice. È lui che oggi sta distruggendo l’Europa e la Chiesa in tutti i continenti. Egli sradica dalla verità coloro che si sono affidati al greco domandare su di essa e a cercarla. Ne sradica ancora più crudelmente quelli che nella fede e nell’amore hanno posto la loro speranza in Dio, indicato e chiamato a discendere dal cielo sulla terra dai profeti di Gerusalemme, e che Lo hanno incontrato nel Suo Figlio venuto ad abitare in mezzo a noi per ricordarci l’atto della creazione in cui Egli è «centro dell’universo e della storia» (Redemptor hominis, 1).
La vita degli uomini sradicati dall’atto della creazione non ha né senso, né valore. Gli uomini sradicati dal «centro dell’universo e della storia» si sottomettono a effimere leggi e procedure così da dire, seguendo il Kirilow dei Demoni di Dostoevskij, che «se crediamo, non crediamo di credere, e se non crediamo, non crediamo di non credere». Vengono in mente le parole di Cristo: «Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?» (Le 18,8). Hanno paura della domanda
Potrà l’Europa rinascere dalle ceneri in cui solo qua e là si vede ancora la brace ardente di Dio? Affinché il dono della speranza non sia tolto ai nostri cuori e alle nostre menti, dobbiamo non solo alzarci, ma anche andare ai Principi (efr 1 Mac 9,8; Gv 14,31).
Solo entrando nella dimora indicata dalla domanda: «Quid sit veritas?» e dalla risposta: «Veritas est vir qui adest», possiamo diventare luogo della rinascita dell’Europa. Questa domanda e questa risposta avvengono laddove si è in due o tre… Perciò dobbiamo rimetterci a edificare le amicizie, i matrimoni, le famiglie, le nazioni e permettere a Dio di edificare in essi la Sua Chiesa.
È in queste comunioni delle persone che la bellezza della verità e del bene avverrà e risveglierà nel nostro intimo la memoria di essere soggetti quali siamo in Principio, liberandoci dalle opinioni su chi siamo. I padroni del nihilismo hanno paura di queste epifanie comunionali della verità dell’uomo, cioè delle amicizie, dei matrimoni, delle famiglie e della Chiesa.
Ognuna di queste epifanie limita il loro potere e lo mette in questione. Hanno paura dell’affidamento reciproco delle persone e della voce di Dio che nelle loro coscienze morali le chiama a non uscire dalla via dell’amore, della speranza e della fede che le conduce alla verità cercata e allo stesso tempo attesa.
Hanno paura della domanda che matura fino a diventare preghiera, con la quale le persone chiedono al cielo che lasci scendere la verità sulla terra. Hanno paura della sovranità e della libertà delle persone. Hanno paura delle persone che, come Socrate a Callide, nel Gorgia di Platone, direbbero a ciascuno di loro: «Credo, o carissimo, che sarebbe meglio che la mia lira fosse scordata e stonata, e che lo fosse il coro che io dirigessi, e che la maggior parte della gente non fosse d’accordo con me e mi contraddicesse, piuttosto che sia io, anche se sono uno solo, ad essere in disaccordo con me stesso e a contraddirmi» (Platone, Gorgia, 482 b-c).
La storia si ripete. Anche oggi l’eterno domandante, Abramo, sta cercando i dieci giusti per salvare l’Europa. La loro giustizia resa alla verità «non si confuta mai» (Platone, Gorgia, 473 b). Difende gli uomini dal caos della loro ragione calcolante e, di conseguenza, dalla schiavitù dai padroni del nihilismo, aiutando gli uomini a edificare la casa (oikos) la cui legge (nómos) nata dall’amore per la terra natale (nomós) che si estende negli uomini gliela fa coltivare per il bene comune.
I confini di tale oiko-nomia sono tracciati dai caratteri delle persone che mirano al «centro dell’universo e della storia». Nella casa dell’oiko-nomia divino-umana non c’è posto per i pretendenti di Penelope, che rendono la casa di Odisseo una taverna di piacere e gridano a Telemaco, che sta per partire alla ricerca del padre: «Scemo! Andiamo a mangiare e bere!» (Omero, Odissea, II).
L’oiko-nomia divino-umana rifiuta categoricamente il principio che oggi sta rovinando l’Europa, e in essa anche la Chiesa: la praxis precede il Logos fino ad essere eretta alla dignità di «centro dell’universo e della storia». Chi professa questo principio marxista, fosse anche vescovo, espelle gli uomini dalla casa paterna, oiko-nomia, e li condanna a vivere «in un paese lontano» dove privi della terra natale (nomós) e delle sue leggi (nómos) dimorano nella miseria della solitudine. «Alzatevi, andiamo via di qui!» (Gv 14,31)