Discorso alla nazione, e alla sua Chiesa un po’ sbiadita di un vescovo che stima la ragione ma crede che la fede non può essere un “cagnolino da salotto
di mons. Giampaolo Crepaldi
I principi non negoziabili sono stati enunciati in più occasioni da Benedetto XVI. Sia l’espressione sia l’elenco erano però già presenti nella Nota dottrinale su alcune questioni riguardanti l’impegno sociale e politico dei cattolici che la Congregazione per la Dottrina della Fede pubblicò nel 2002, a firma dell’allora Prefetto Cardinale Joseph Ratzinger. Pur trattandosi di un elenco di tematiche – la vita, la famiglia, la libertà di educazione soprattutto – essi non vanno intesi solo come degli argomenti di una agenda politica, ma come un orizzonte strategico dentro cui muoversi affinché la disgregazione della modernità venga frenata e con essa la riduzione della fede cristiana ad “utile cagnolino da salotto” o a “hobby personale”.
Essi non vanno intesi nemmeno come l’ultima resistenza del cattolicesimo, la ridotta in cui ci si è asserragliati e in cui si combatte la battaglia decisiva contro il relativismo. I principi non negoziabili sono invece l’indicazione della speranza che nasce dalla verità. Verità che la Chiesa enuncia, basandosi sulla rivelazione e sul deposito che essa conserva e tramanda con cui ridestare anche le verità della ragione, quando questa risulti sopita o addirittura avvilita. L’enunciazione dei principi non negoziabili, assieme al dovere assoluto di rispettarli, è un annuncio, una luce della fede e della ragione.
Essi sono importanti e “strategici”, prima di tutto, proprio perché salvano il mondo dalla disperazione e ridanno fiducia alla ragione in virtù di una illuminazione della fede. Così facendo corroborano anche la fede perché la riscoprono come conoscenza e non come illusione.
La grande questione dell’epoca moderna è la pretesa del piano naturale di staccarsi da quello soprannaturale e di rendersi autonomo. La pretesa, in altri termini, di essere in grado da solo di darsi la propria salvezza e di conseguire il proprio significato. Ciò è pienamente possibile quando la cultura viene completamente sostituita alla natura, fino al punto da poterla riplasmare.
E’ così che l’assolutizzazione della natura conclude con la rinuncia ad essa come criterio normativo, finendo l’uomo per perdere il gusto stesso del significato e lo stesso bisogno di una salvezza. Eliminando l’indisponibile – si pensi per esempio alla disponibilità della vita e del nostro corpo – l’assolutizzazione del piano naturale rischia di perdere il gusto per la stessa libertà, come ha ben visto Jürgen Habermas.
Questa, infatti, è possibile solo nella contingenza e la contingenza è tale quando ammette un “oltre”, un cominciamento non prodotto da noi. Il recupero del concetto di “natura” è quindi all’ordine del giorno anche del pensiero laico. L’appello ai principi non negoziabili favorisce questo recupero e nello stesso tempo evita di ridurre la natura al suo significato naturalistico, che è un altro modo per soffocarla: la natura umana ridotta a fisicità diventa un prodotto tecnologico di laboratorio.
Come si vede, il rispetto dei principi non negoziabili non è a difesa della “corporazione ecclesiastica”, ma sprigiona delle verità che interpellano sia la ragione che la fede e ridanno ad ambedue il senso della propria dignità.
C’è però un altro motivo per cui i principi non negoziabili sono così importanti. E’ un motivo interno alla fede cristiana ma che, senza tradire questa origine, può rappresentare un motivo di respiro anche per il mondo. La natura umana e gli stessi principi della legge naturale – di cui i principi non negoziabili sono espressione – sarebbero stati conosciuti fino in fondo senza la rivelazione cristiana? E, una volta conosciuti, si sarebbe trovata la forza morale per mantenervisi fedeli? In altre parole: la legge naturale è solo questione di natura o anche di grazia? Si va dalla ragione alla fede o dalla fede alla ragione?
Solo per fare qualche esempio, ricordo che per Augusto Del Noce si parte sempre dalla fede e i principi non negoziabili sono richiesti dalla fede cristiana, essi riguardano la dimensione metafisica della fede cristiana. Dello stesso parere sono Romano Guardini ed Henri de Lubac ed anche, credo di poterlo dire, il teologo Joseph Ratzinger. Se ho capito bene la posizione di Maritain su questo punto, egli pensava che la vecchia cristianità partisse dalla fede per arrivare alla ragione e che la nuova cristianità avesse dovuto invece partire dalla ragione per arrivare alla fede. Questo sembra non essere accaduto.
L’ottimismo di Maritain, insieme con altri ottimismi che hanno contraddistinto la sua epoca, si è incrinato davanti alla constatazione che la ragione da sola non solo si allontanava sempre di più dalla fede, ma anche da se stessa. Il che comprovava la tesi opposta, che del resto anche Maritain ha riproposto nel Contadino della Garonna. Difficile se non impossibile riproporre oggi lo stesso schema.
Siamo qui davanti ad un punto molto delicato. La religione cristiana ritiene che la natura umana sia stata indebolita dal peccato e, pur avendone un’alta considerazione fondata sulla bontà della creazione, sull’essere l’uomo creato ad immagine di Dio e sull’aver assunto il Logos carne umana, ritiene anche che non possa trovare solo in se stessa le forze per il pieno risveglio. Ecco perché i principi non negoziabili sono in sé un fatto di ragione, ma hanno bisogno della religione per essere pienamente considerati anche dal punto di vista razionale.
Giovanni Paolo II ha molto lavorato per mostrare che la Chiesa è l’avvocata dei diritti della persona, come del resto essa era sempre stata, e per indicare che l’uomo è la via della Chiesa perché Cristo è la via della Chiesa. Ci sono oggi molti non credenti che accettano su questi punti il messaggio religioso del cristianesimo, riconoscendo a quest’ultimo di essere fermento di civiltà proprio perché fatto religioso. Se il cristianesimo viene inteso come fermento di civiltà a patto che si tralasci la sua dimensione religiosa viene trasformato in religione civile, in consuetudine o in etica e ucciso come fede religiosa.
L’appello ai principi non negoziabili è quindi molto importante per ridare alla religione cristiana la convinzione della sua necessità anche per la costruzione dell’ordine civile, il senso della sua dignità pubblica. Dopo molti anni in cui questo è stato negato, soprattutto dentro il mondo cattolico, in quanto considerato fonte della trasformazione della fede in ideologia, si tratta ora di un punto di svolta di grande importanza.
Se la natura umana si potesse autonomamente salvare con le sole sue forze, la dimensione pubblica della religione non potrebbe più essere legittimamente sostenuta. La Caritas in veritate però dice che il cristianesimo non è solo utile ma anche indispensabile per lo sviluppo umano. La Chiesa non può rinunciare al principio che la redenzione non abbia elevato, o purificato come dice Benedetto XVI, tutta la dimensione umana e l’intera storia.
Ora, una simile pretesa non rischia di soffocare la legittima autonomia del piano naturale? Affermando i principi non negoziabili dal punto di vista religioso, Benedetto XVI non soffoca irrimediabilmente il loro significato autonomo sul piano razionale? Dal punto di vista cristiano il problema non si pone perché l’annuncio di Cristo non può non essere rispettoso dell’uomo. Ma dal punto di vista del non cristiano, del “laico” come si dice oggi? Può egli accogliere un messaggio religioso, che per di più pretende di essere una luce vera ed originaria, senza sentirsi soffocato? Non nasce proprio da qui la difficoltà nel cosiddetto dialogo tra laici e cattolici?
Cristo ci ha detto che il suo gioco è leggero e che Lui è umile di cuore. La pretesa cristiana non è pretenziosa e arrogante. Essa consiste nel suggerire alla ragione: vieni e vedi!, come Gesù disse ai suoi primi discepoli. I principi non negoziabili nascono dalla natura dell’uomo ma illuminata dalla vita della “nuova creatura”. Questa non soffoca la prima, la sollecita, la illumina, la spinge ad approfondire se stessa, a non perdere fiducia in sé. Non le toglie niente nel mentre la trasforma in tutto. La forza della pretesa va di pari passo con l’umiltà della proposta: la fede invita la ragione solo ad essere se stessa. Il cristianesimo ha fatto così con la ragione platonica e con quella aristotelica, perché dovrebbe cessare di farlo oggi?
Forse perché la ragione è talmente indebolita da non sentire più, come dicevo sopra, il bisogno stesso di guardarsi dentro? Forse nemmeno il bisogno di essere ragione? Benedetto XVI ha ben chiaro questo problema. Lo capiamo quando dice che il relativismo di oggi è assertorio e immotivato, frutto di una ragione che ha rinunciato a motivare le proprie affermazioni. Il relativismo, infatti, è immotivabile se non usando una ragionamento che lo contraddirebbe. Ma proprio qui si chiarisce il valore dell’appello ai principi non negoziabili come servizio che la fede fa alla ragione e fa quindi anche a se stessa perché la ragione è anche dentro il perimetro della fede e non solo fuori.
Mi rendo conto che sto chiedendo ai “laici” un grande sforzo. In fondo, il noto appello di Ratzinger a vivere come se Dio esistesse, interpretato spesso come provocatorio, aveva dentro di sé una proposta costruttiva: vedete se l’ipotesi di Dio toglie qualcosa al buon uso della ragione. Vieni e vedi!
Ma mi rendo conto di chiedere qualcosa di molto impegnativo anche ai credenti di questa nostra chiesa italiana. Mi sono chiesto spesso se la Chiesa italiana stia facendo il proprio dovere in ordine ai principi non negoziabili e se stia corrispondendo alle attese del Papa su questo punto. Noto un significativo cammino condotto avanti almeno dal Convegno ecclesiale di Loreto in poi e diretto alla formazione di un popolo cristiano convinto che dalla signoria di Cristo nei cuori rinnovati debba derivare anche una signoria di Cristo sulla verità dei rapporti umani e sociali.
Un popolo cristiano che non accetta la riduzione del cristianesimo a fatto devozionale privato, a sétta quindi. Un popolo consapevole che ciò significherebbe permettere la creazione di un mondo ove la salvezza delle anime sarebbe strutturalmente ostacolata e per ciò invivibile anche dal punto di vista umano. La lotta per la libertà cristiana va di pari passo con la lotta per la presenza pubblica della religione cristiana e questo a vantaggio della libertà di tutti.
Noto però anche dei ritardi. I principi non negoziabili vengono spesso posti sullo stesso piano di altri valori e finiscono così per essere stemperati in una astratta genericità. In occasione degli ultimi referendum sull’acqua e sul nucleare, il mondo cattolico si è mobilitato in modo straordinario come con ogni probabilità non avrebbe fatto per la vita o, meno ancora, per la libertà di educazione. Noto una disponibilità a battersi per le stesse battaglie per cui si batte il mondo e una voglia senz’altro minore di battersi per ciò che il mondo oggi osteggia anche in forme autoritarie.
L’importanza dei principi non negoziabili per il popolo cattolico non è sempre presente nella consapevolezza dei singoli Vescovi. Ci vorrebbe più coraggio. Sul piano del pensiero i principi non negoziabili pongono il problema della verità e della metafisica, oggi sostituita dall’ermeneutica, ma mi sembra che se istituzioni culturali cattoliche si sono messe sulla strada di un recupero di un pensiero sul reale altre fatichino a staccarsi da un ossequio eccessivo alle mode accademiche dominanti.
Sappiamo bene che il discorso di Benedetto XVI sulla verità non è stato contestato solo alla all’Università La Sapienza di Roma, ma lo è anche in molti Studi teologici dei nostri Seminari. Eppure penso che solo rilanciando la riflessione sui principi non negoziabili, in modo aperto e franco si possano affrontare in modo degno molte questioni irrisolte.
Una di queste è rappresentata dal problema educativo. Benedetto XVI, nel suo iniziale discorso sulla “questione educativa” aveva chiaramente posto il problema del rapporto tra la crisi educativa e la crisi della verità. I vescovi italiani, molto opportunamente, hanno proposto questo argomento per il decennio pastorale in corso. Ritengo che un più chiaro inserimento della prospettiva richiamata dai principi non negoziabili in questo sforzo educativo o rieducativo sia da ritenersi indispensabile. Le scuole in genere, e le scuole cattoliche in particolare, sono in crisi, dice il Papa, perché non sanno più che uomo educare. I principi non negoziabili fanno riemergere la verità della persona umana e richiedono per loro conto una prospettiva teologica e filosofica diversa da tante impostazioni odierne.
Una seconda è quella dell’impegno politico dei cattolici. Il riferimento ai principi non negoziabili richiede che la Dottrina sociale della Chiesa sia sistematicamente adoperata e intesa non come una generica espressione di solidarietà sociale che cavalchi acriticamente ogni proposta ideologica del momento purché che abbia l’aggettivo di “etica”, ma come ceppo da cui nasce una nuova cultura, originale perché fondata sulla originalità della fede.
I principi non negoziabili richiedono che la fede venga concepita anche come conoscenza e questo comporterebbe nella mentalità dei cattolici italiani un notevole cambiamento di prospettiva, senza contare che, proprio per questo, essa è abilitata a dialogare con la ragione e quindi con il mondo laico. In questo modo i principi non negoziabili e la cultura che li sostiene e che ne deriva nutrirebbero l’impegno politico dei cattolici di criteri e orientamenti in modo da correggere la loro subalternità.
La mia idea è che l’appello ai principi non negoziabili risvegli energie sopite, sia dentro la Chiesa che nel mondo. Sono passaggi che toccano da vicino la verità del rapporto tra la Chiesa e il mondo e la comprensione corretta del mondo stesso.