La Chiesa cattolica di fronte al Nazismo
di Vitaliano Mattioli
La dottrina nazionalsocialista non solo era anticristiana ma anche antiumana. Minacciava l’uomo in quanto tale al di là della razza e religione di appartenenza. Andava subito stimmatizzata e condannata per i suoi contenuti senza aspettare che venisse applicata. Una omissione della Chiesa avrebbe potuto ingannare i fedeli.
Questo fu il primo impegno dell’episcopato tedesco distribuito su 24 diocesi per la cura spirituale dei cattolici il cui numero si aggirava circa alla metà della popolazione tedesca.
Nella loro collegialità i vescovi si espressero dall’agosto 1932, durante la riunione a Fulda, dichiarando illecita l’appartenenza al nazismo. La data ‘1932’ indica che la Chiesa in Germania non esitò un attimo ad anatemizzare il regime non appena vide chiaramente l’assurdità della dottrina; i Pastori presero posizione con chiarezza, fermezza e coraggio riguardo alle nuove teorie.
Questa condanna fu ribadita nella Nota emessa sempre a Fulda il 28 marzo 1933 e nelle Lettere pastorali a conclusione degli incontri a Fulda cominciando dal 1934, delle quali già abbiamo analizzato il contenuto. Maggiormente famose sono quelle del 1934, 1935, 1936 e 1938. Non meno importanti le seguenti del periodo bellico: 6 luglio 1941, 1942, 29 agosto 1943, 12 settembre 1943, fino al 1945.
I vescovi non si limitarono agli interventi collegiali ma si espressero anche singolarmente per illuminare i fedeli loro affidati. Solo come esempio si possono ricordare le proteste dell’arc. di Colonia, card. K.L. Schulte e del vescovo di Aquisgrana (1934) contro l’introduzione nelle scuole del libro del Rosenberg; il Supplemento ufficiale alla Rivista diocesana di Colonia che riportava ‘Studi sul Mito del XX secolo’ (1935).
Inoltre gli interventi dell’arc. di Friburgo K. Grober per confutare l’idea di una chiesa nazionale (1935) e l’opera dello stesso “Handbuch fur die religiose Genenwrtsfragen” (edito dalla Herder nel 1937). Vanno ricordati anche il card. di Breslavia A.J. Bertram, i cui interventi spesso provocarono violente reazioni naziste, i vescovi di Osnabruck mons. A. H. Berning e di Berlino mons. N. Bares, l’ordinario militare mons. Rarkowski.
La Curia di Colonia, per volere del card. Schulte, nel settembre 1936 fece stampare uno speciale catechismo ‘Katechismuswahrheiten – Verità del catechismo’ il cui leitmotiv era: la vera fede, voluta da Dio, non può derivare dal sangue.
Anche fuori della Germania, prima e durante la guerra, gli episcopati hanno preso posizione netta: “Il cardinale Joseph-Ernest von Roey in Belgio con i suoi appelli antinazisti diede un sostegno morale alla resistenza. In alcuni luoghi i prelati denunciarono risolutamente i maltrattamenti che gli ebrei subivano per mano dei nazisti e dei loro agenti locali, spezzando con questi gesti l’indifferenza prevalente e stabilendo un esempio per azioni di salvataggio.
Il cardinale Gerlier di Lione condannò le deportazioni e incoraggiò tutta la sua archidiocesi ad offrire rifugio agli ebrei. Nei Paesi Bassi l’arcivescovo de Jonge, di Utrecht, proibì agli olandesi di aiutare i tedeschi nei rastrellamenti di ebrei. Le proteste elevate dai vescovi protestanti norvegesi, nel novembre 1942, mentre si preparavano le deportazioni, mobilitarono forse aiuti per il salvataggio di un considerevole numero di ebrei” (1).
“L’arcivescovo di Tolosa ordinò ai sacerdoti della sua zona di protestare dal pulpito contro la deportazione degli Ebrei. Quando Laval venne a conoscenza di queste proteste, convocò un rappresentante del nunzio apostolico, monsignor Rocco, e gli chiese di far sapere al Papa e al segretario di Stato, cardinale Maglione, che il Governo francese non tollerava alcuna ingerenza in questo genere di questioni… Nella diocesi di Lione, diversi preti vennero arrestati per aver letto lettere di protesta ai loro fedeli e ospitato bambini ebrei nei locali della Chiesa” (2).
Tuttavia coloro che in Germania si distinsero maggiormente furono il card. M. Faulhaber, arcivescovo di Monaco e Mons. A.C. Graf von Galen, vescovo di Munster.
Avvento 1933
Le domeniche di questo Avvento e Natale sono rimaste famose per la predicazione dell’Arcivescovo Faulhaber. In tutto sono cinque sermoni. I primi tre evidenziano il rapporto tra i valori religiosi, morali e sociali dell’Antico Testamento ed il cristianesimo. Il quarto ed il quinto analizzano le connessioni tra il cristianesimo, la religione giudaica ed il germanesimo (3).
In tal modo il cardinale smontava una per una tutte le tesi sulle quali poggiava la dottrina nazionalsocialista. Si tratta di prediche estremamente chiarificatrici e molto opportune per illuminare la mente e le coscienze del popolo cristiano così fuorviate da una aberrante propaganda martellante.
Nella prima stigmatizzò il ‘peccato contro il sangue’ e ‘la grande illusione’, quella cioè di far credere ai cristiani che il V.T. non fa parte della Bibbia e che cristianesimo e giudaismo non possono coesistere l’uno a fianco dell’altro. Colpire gli ebrei era come colpire i cristiani. Si combatte l’idea che Cristo non fosse giudeo ma ariano (4).
Rivendica che “la civiltà umana e la religione cristiana sono debitrici all’Antico Testamento di un concetto puro ed elevato di Dio… Il concetto di Dio è il concetto più alto che lo spirito umano possa avere” (5).
Tra il V.T. ed il Nuovo esiste una continuità e completamento. E’ assurdo pretendere di scindere le due parti: “L’Antico Testamento era buono in se stesso; ma, confrontato col Vangelo, è un’opera non terminata, rimasta a metà, imperfetta. Il Nuovo Testamento l’ha terminata, esso ha recato l’intera rivelazione di Dio” (6). Nella seconda parla dei valori morali, contro i quali il regime rivolge gli strali più violenti (7).
Il cardinale difende in modo particolare il decalogo che “supera immensamente col suo valore morale tutte le leggi dell’antichità non biblica perché nel decalogo l’ordinamento morale è sorretto religiosamente dal concetto di Dio… Per conseguenza non esiste rispetto dei diritti umani né morale collettiva, dove non esiste timor di Dio né religione” (8).
Frasi forti che anticipavano tutte le atrocità del regime proprio perché fondato nella mancanza del rispetto per Dio, portante come logica conseguenza la mancanza di rispetto per l’uomo. Poi presenta i valori morali delle principali figure, quali Giuseppe, Mosè, Giobbe.
Nell’analizzare la morale dei comandamenti si scaglia contro la decisione votata il 13 novembre 1933 dai ‘Cristiani Tedeschi’ a Berlino che diceva: “Noi attendiamo che la nostra Chiesa Regionale si renda libera da tutto ciò che non è tedesco, e specialmente dall’Antico Testamento e dalla morale mercenaria giudaica” (9).
Contro questa proposta sostiene e conclude che “l’Antico Testamento rimane sempre la cronaca della mirabile pedagogia divina” (10). Nella terza tratta dei contenuti sociali. Chiarisce subito ciò che si deve intendere per sociale: “Sociale è ciò che si riferisce alla vita della comunità umana, ed apporta un qualche contributo alla organizzazione della vita pubblica, alla cura dei poveri, alla posizione degli individui nella famiglia e nello stato, al diritto degli operai e alla pubblica amministrazione del diritto, all’ordinamento economico” (11).
Analizza il rapporto tra individuo e Stato, contro la tendenza totalitaria di ogni dittatura. Nel V.T. evidenzia che “La personalità morale conservava la sua libertà personale anche di fronte alle masse, e l’individuo doveva respingere il diritto e la dittatura della strada e delle masse… La personalità morale conservava la sua proprietà pure di fronte allo stato” (12).
Nell’analizzare i libri sacri legislativi e profetici chiarisce come in questi testi “viene riconosciuta la dignità morale del lavoro” (13). Il cittadino rimane sempre persona umana al di là della religione e del sangue. Sono tutte staffilate che dal pulpito Faulhaber lanciava contro le teorie nazionalsocialiste. Andare contro gli ebrei significa rifiutare anche i principi sociali contenuti nella Bibbia.
Purtroppo quella dignità morale del lavoro è stata interpretata con estrema ironia all’ingresso di ogni campo di sterminio: ‘il lavoro nobilita l’uomo’. Tutto questo perché si è disprezzato il V.T. e non si è accettato il Nuovo: il primo perché ebraico, il secondo perché cristiano.
Tutti i mali sono derivati perché non si è più rimasti fedeli ai principi evangelici, senza i quali non si può costruire un retto ordine sociale. E’ questa la tesi che difende nell’ultima parte: “l’apostasia da Dio è la radice più profonda degli abusi sociali, mentre il ritorno a Dio è l’unico modo di tirarsi fuori dal disordine sociale” (14).
Termina la predica con una grande esortazione: “Popolo tedesco, conserva ciò che hai! Non ti lasciar strappare dalle mani la preziosa eredità dei Libri santi, e non tollerare che si sopprima l’istruzione biblica nelle scuole tedesche e che si compia questo grave ladrocinio a danno dei fanciulli tedeschi! Amen” (15).
Nella quarta, tenuta nella notte di Natale, esamina il rapporto tra la religione ebraica e quella cristiana. Viene evidenziata la figura di Cristo come completamento di tutto, “salvatore del mondo nel più ampio senso della parola; è il redentore del mondo intero, sia dell’umanità precristiana, sia di quella posteriore a Cristo” (16).
Il cristianesimo sorpassa i limiti angusti della carne e del sangue perché si fonda sullo spirito. In questo punto viene mostrato il contrasto più nevralgico con il nazionalismo che andava affermandosi. Se veramente il popolo tedesco fosse stato ‘più’ cristiano, se avesse affermato di più lo ‘spirito di Cristo’ nella società, non si sarebbe lasciato abbindolare e non avrebbe sofferto il tradimento di tali nefaste dottrine!
Le teorie paganeggianti del nazionalsocialismo hanno potuto aderire sulle masse, perché dal loro animo già era stato espulso il Cristo, l’unico salvatore e benefattore dell’umanità. Ecco perché il cardinale conclude: “Cristo non è una fra altre strade, ma è l’unica strada che conduce al Padre. Egli non è una verità fra molte cognizioni, ma è la verità che sola protegge dall’errore. Egli non è una vita, ma è la vita che sola salva dalla morte eterna” (17).
Nell’ultima omelia, 31 dicembre 1933, mette a confronto cristianesimo e germanesimo. Obietta contro l’insano tentativo di istituire in Germania una religione settentrionale-germanica in parallelo alle due chiese cristiane (protestante e cattolica). Definisce questo tentativo un contro senso e fa una terribile previsione: “Secondo la mia opinione, quando si difende il cristianesimo si difende pure il germanesimo: il popolo tedesco infatti, o sarà cristiano oppure non sarà nulla, mentre una apostasia dal cristianesimo e una ricaduta nel paganesimo sarebbero il principio della fine del popolo tedesco” (18).
Purtroppo una certa parte di questo popolo ha scelto l’apostasia, rovinando così l’intera nazione. L’arcivescovo ripercorre le tappe di sviluppo del popolo tedesco da prima della conversione, quando gli dei erano creati dall’uomo e lui stesso era senza valore, quando la vendetta del sangue era un dovere morale e la schiavitù era cosa abituale (19).
E’ con il cristianesimo che si è invece fatta strada la nuova antropologia personalista: “Secondo la dottrina cristiana, l’uomo è creato ad immagine e somiglianza di Dio, e non Dio ad immagine e somiglianza dell’uomo” (20). E’ sempre “grazie al cristianesimo che i Germani divennero un popolo di cultura” (21).
Razza e cristianesimo in sé non sono valori antitetici. “Non abbiamo perciò alcun motivo di voltare le spalle al cristianesimo e fondare una religione settentrionale-germanica per poter rendere una testimonianza al nostro popolo” (22).
Il ‘Leone’ di Munster
A Mons. Von Galen è ben appropriato questo appellativo per la sua voce ruggente e coraggio intrepido con cui fronteggiò il gigante nazista (23). Hitler lo avrebbe ucciso volentieri se non avesse temuto una reazione popolare. Per questo nelle Note si legge: “Il vescovo von Galen sappia bene che a guerra finita, regolerò fino al centesimo i conti con lui” (24).
A. Rosenberg scrisse nel Diario (scoperto nel 1948): “Dopo la vittoriosa conclusione della guerra, il vescovo von Galen dev’essere fucilato” (25). In compenso nel febbraio 1946 Pio XII come premio lo creò cardinale. Nell’ottobre 1956 è stata iniziata la Causa di beatificazione.
Sul piano dottrinale, fin da quando fu eletto vescovo (19 ottobre 1933) ha sempre smascherato il carattere antiumano e anticristiano della nuova dottrina. Si è continuamente battuto per la giustizia, il bene del popolo tedesco e la difesa della religione. Aveva coscienza che i suoi interventi potevano procurargli l’arresto. E’ per questo che il 22 febbraio 1936 invia una lettera al clero della diocesi “nel caso del mio arresto” (26).
Di lui si ricordano soprattutto le prediche tenute nell’estate 1941. Questi suoi interventi sono stati definiti “sfide tonanti e dirette al furore nazista in termini che ancora adesso sollevano meraviglia ed ammirazione” (27). Prende lo spunto dai molteplici soprusi contro la Chiesa che si verificavano ormai continuamente.
Non esita ad accusare la Gestapo ritenendola responsabile di tutte le violazioni alla più elementare giustizia sociale: “Il comportamento della Gestapo danneggia gravemente larghissimi strati della popolazione tedesca… In nome del popolo germanico onesto, in nome della maestà della giustizia, nell’interesse della pace e della compattezza del fronte interno, io alzo la mia voce e nella mia qualità di uomo tedesco, di cittadino onorato, di ministro della religione cattolica, di vescovo cattolico, io grido: esigiamo giustizia!” (28).
Nella predica della domenica seguente (20/7/41) ritorna sulle violazioni, sulla incarcerazione dei sacerdoti per cui i fedeli rimangono in un momento tanto triste, senza pastori. Dichiara vani tutti i tentativi e le suppliche inoltrate in favore di tanti cittadini tedeschi ingiustamente offesi e amaramente conclude: “Tutto inutile. L’ingiustizia venne proseguita e si è giunti a quello che già da tempo avevo previsto” (29).
“Ora noi vediamo e sperimentiamo chiaramente che cosa c’è dietro la nuova dottrina che da anni ci viene imposta, e a favore della quale si è scacciata dalle scuole la religione, si è proceduto all’oppressione delle nostre organizzazioni, e ora si tende a distruggere le nostre scuole materne: odio profondo come un abisso nei confronti del cristianesimo, che si vorrebbe estirpare!… Che cosa ascoltano nelle scuole in cui vengono costretti, senza la minima attenzione all’opinione dei loro genitori? Che cosa leggono nei nuovi libri scolastici?… Genitori cristiani, queste sono questioni che vi riguardano” (30).
Nella domenica 3/8/41 affronta il problema delle uccisioni e del valore dell’uomo. Condanna le ‘morti’, le ‘soppressioni’ di tanti cittadini malati di mente; fa risalire il tutto alla malsana dottrina nazionalsocialista: “Essi sono stati soppressi perché si segue la dottrina in base alla quale i soggetti indicati come ‘vite inutili’ devono essere eliminati. Una dottrina spaventosa intende giustificare l’assassinio di innocenti, l’uccisione violenta di invalidi che non sono più in grado di lavorare, di storpi, di incurabili, di vecchi e inabili. Attualmente nelle case di cura della Westfalia vengono approntate liste di malati e di assistiti, indicati col termine ‘individui improduttivi’, che sono destinati ad essere deportati per essere poi, dopo un breve tempo, assassinati” (31).
Queste prediche scatenarono ancora di più l’ira delle Autorità. Gruppi di giovinastri furono organizzati per la propaganda, per far chiassate nella città. Lo stesso capo delle organizzazioni giovanili delle SS pubblicò una dichiarazione con questi toni: “Io lo chiamo il porco C.A., cioè Clemens August. Come lo si possa chiamare diversamente, non lo so… Questo alto traditore e traditore del paese, questo porco è libero di andare di qua e di là, e si prende la libertà di parlare contro il Fuhrer… Questo volgare traditore del paese è roba da stare al muro, per ricevervi la fucilazione” (32).
Von Galen si erse come difensore della giustizia e degli oppressi non solo con la predicazione ma anche con interventi diretti presso le autorità. Ne sono prova le lettere che scrisse al Ministro di Stato H.H. Lammers (22 luglio 1941) ed al Maresciallo H. Goring (16 marzo 1942).
Vi condanna “l’orribile strapotere della Gestapo” e la continua violazione di “quei diritti fondamentali della personalità umana che sono imprescrittibili” (33). Purtroppo la protesta dell’eroico vescovo non ha per niente ostacolato la carneficina. E’ servita a riempire ancora di più i carnefici di odio e rabbia. Questa amara constatazione dovrò riscontrarla parecchie volte: quasi nessun intervento pubblico della Chiesa ha sortito effetti positivi; anzi più di una volta negativi, come vedremo per il caso dell’Olanda.
La prima condanna dell’uccisione dei minorati è stata inoltrata dallo stesso S. Ufficio (2 dicembre 1940) (34); dopo ce ne sono state altre; se ne contano otto. “Tutte furono perfettamente inutili. Questo ci sembra dimostri ad abundantiam l’inammissibilità del punto di vista di Hochhuth, secondo il quale una protesta avrebbe ottenuto magicamente l’effetto di far cessare il genocidio ebraico.
La protesta episcopale non impensieriva nemmeno lontanamente i dirigenti nazisti, i quali avevano tutte le armi per annullarla, per renderla del tutto inutile, per impedirne la diffusione” (35).
Note
1) M. Marrus, L’Olocausto nella storia, Il Mulino, Bologna 1994, p. 145.
2) R. Hilberg, La distruzione degli Ebrei d’Europa, Einaudi, Torino 1995, vol. I, p. 642.
3) Cardinal Faulhaber, Giudaismo-Cristianesimo-Germanesimo, a c. G. Ricciotti, Morcelliana, Brescia, 1934.
4) Ibidem, p. 25-34.
5) Ibidem, p. 35 s.
6) Ibidem, p. 46.
7) Ibidem, p. 54.
8) Ibidem, p. 58 s.
9) Ibidem, p. 70.
10) Ibidem, p. 74.
11) Ibidem, p. 88.
12) Ibidem, p. 97.
13) Ibidem, p. 101.
14) Ibidem, p. 116.
15) Ibidem, p. 120.
16) Ibidem, p. 132.
17) Ibidem, p. 140.
18) Ibidem, p. 154.
19) Ibidem, p. 155-157.
20) Ibidem, p. 156.
21) Ibidem, p. 166.
22) Ibidem, p. 171 s.
23) Cfr. R. Esposito, C. A. Graf Von Galen, Un vescovo indesiderabile – Le grandi prediche di sfida al nazismo, Ed. Messaggero, Padova 1985; V. Mattioli, Il Leone di Munster, Palestra del Clero, 15 novembre 1986, p. 1385-1396 e 1 dicembre 1986, p. 1453-1464; R. Lettmann – H. Mussinghoff, Il Leone di Munster e Hitler, Herder, Roma-Freiburg-Wien 1996
24) Hitler A., Conversazioni a tavola, a c. Di Picker H., Longanesi, Milano 1983, 4/VII/1942, p. 252.
25) Der Monat, n. 10 (1949).
26) Il testo in R.Esposito, Graf von Galen. Un vescovo indesiderabile, Ed. Messaggero, Padova 1985, p. 80-82.
27) G.C. Zahn, I cattolici tedeschi e le guerre di Hitler, Le Monnier, Firenze 1965, p. 86.
28) R.F. Esposito, Un vescovo indesiderabile, o.c., p. 122 s.
29) Ibidem, p. 129.
30) Ibidem, p. 131-133 (passim).
31) Ibidem, p. 145. Su questo argomento: cfr. R.A. Graham, Il ‘Diritto di uccidere’ nel Terzo Reich – Preludio al genocidio, La Civiltà Cattolica, 15 marzo 1975, vol. I, p. 557-576.
32) Ibidem, p. 154.
33) Ibidem, p. 136-140 e 160-163.
34) D.B., ed. XXXIV, n. 3790. 35) R.F. Esposito, Processo al Vicario, SAIE, Torino 1964, p. 141.