Il Giornale domenica 12 Luglio 2020
di Nicola Porro
Ci sono libri che per liberisti, liberali con una certa attenzione al mercato, sono puro godimento. Uno di questi lo ha appena scritto Carlo Lottieri, che noi del Giornale conosciamo bene. Si chiama Beni comuni, diritti individuali e ordine evolutivo. È scritto con calma e con rigore. Comprensibile ai più.
In questo caso Lottieri affronta uno dei nemici più insidiosi e contemporanei del mercato e dell’ordine spontaneo e capitalistico, e cioè il benecomunismo. «In nome del comune afflato anticapitalistico, in varie occasioni s’è assistito ad un incontro tra egualitarismo, socialismo, protezionismo, welfare, comunitarismo ed ecologia. Ne sono risultate ibridazioni che talora poggiano sull’utilizzo di una nozione, quella dei beni comuni, usata per immaginare un nuovo collettivismo e che è al centro anche di una serie di progetti politici».
Uno su tutti, per fare un esempio, è molto di moda oggi: l’acqua pubblica. Ma ovviamente non è il solo. Essi metterebbero in gioco l’idea stessa di proprietà e la sua legittimità. Con la morte delle pianificazioni socialiste di stampo marxista, i reduci hanno puntato a scardinare i principi liberali del mercato e dell’ordine spontaneo cercando proprio nei beni pubblici, la chiave di volta del nuovo collettivismo, verrebbe da dire non più socialista. Ma anche più pericoloso.
L’obiettivo del libro «è mostrare come una società libera vede emergere in maniera spontanea proprietà condivise e in questo senso comuni, le quali non sono però in alcun modo la negazione della proprietà e dell’ordine giuridico, ma anzi ne rappresentano una possibilità fondamentale.
I beni comuni sono forme di «istituzioni plurali» e la «libera iniziativa degli uomini lascia quindi spazio ai beni individuali come a quelli comuni». Il libro si svolge con un percorso logico, si criticano le teorie che involontariamente o meno, come quelle di Samuelson, sembrano tirare fuori l’oggetto della discussone (i commons) dall’alveo della necessità di gestione privata.
Ma a chi scrive è particolarmente piaciuto il capitolo dedicato agli «enclosure acts», i provvedimenti che nel ‘700 e ‘800 resero l’Inghilterra la patria della rivoluzione industriale. La rottura dello schema storico marxiano per il quale l’introduzione delle recinzioni nei campi comuni inglesi fosse il principio nella nascita del proletariato da parte dei capitalisti (semplifichiamo) è magnificamente e criticamente corretta da Lottieri.
Paradossalmente è grazie alle recinzioni che si è potuto dispiegare un incremento di produttività incredibile e di conseguenza un innalzamento delle condizioni sociali dell’uomo. Da leggere. Ognuno troverà uno spunto a cui non aveva sufficientemente pensato, e un pensiero forte in un mercato delle idee in cui il riflusso socialista prospera.