Ci sono due estremi opposti da evitare: l’appartenenza obbligata in un solo partito come se si trattasse di un dogma di fede, e la diaspora, ossia l’altrettanto dogmatica tesi della negatività di qualsiasi forma di unità e raccordo politico dei cattolici. Il criterio più convincente potrebbe essere quello della “unità possibile”, laddove l’aggettivo possibile ha due significati: affermare che l’unità è fattibile, e che la si attuerà secondo il responsabile giudizio prudenziale relativo ai tempi, alle situazioni e alle scelte in gioco
di Giampaolo Crepaldi
Queste condizioni storiche sono state per esempio l’esistenza di una forte compattezza prepolitica del mondo cattolico, la permanenza di contesti di “cristianità” o comunque di una considerevole continuità tra religione e presenza sociale e politica; la presenza di sistemi elettorali che favorivano la convergenza per aree omogenee oppure la forte contrapposizione ideologica o la sensazione di essere minacciati, il che comportava l’organizzazione unitaria della difesa.
Di fronte all’attuale interesse per il tema di una ripresa di presenza più significativa e rilevante dei cattolici in politica, è opportuno fare qualche precisazione previa. In primo luogo, l’espressione politica dei cattolici in un solo (o prevalente) partito dipende da un giudizio prudenziale di convenienza.
Ci sono due estremi opposti da evitare. Da un lato l’appartenenza obbligata in un solo partito come se si trattasse di un dogma di fede, dall’altro la diaspora, ossia l’altrettanto dogmatica tesi della negatività di qualsiasi forma di unità e raccordo politico dei cattolici. Il criterio più convincente potrebbe essere quello della “unità possibile”, laddove l’aggettivo possibile ha due significati: affermare che l’unità è fattibile, e che la si attuerà secondo il responsabile giudizio prudenziale relativo ai tempi, alle situazioni e alle scelte in gioco, ossia per quanto possibile.
L’unità possibile è anche importante come segno visibile della dimensione storica e pubblica della religione cristiana, elemento che andrebbe dimenticato se nessuno nella politica effettiva vi si rifacesse esplicitamente. Si potrebbe forse adoperare qui il motto: in essentiolibus unitas, in dubiis libertas, in omnibus caritas. Sulle questioni fondamentali ci vuole unità, nelle questioni dubbie è lecito adoperare il libero giudizio personale, in tutto ci vuole la carità.
In secondo luogo, una unità politica sulle questioni fondamentali – i principi non negoziabili – ha bisogno comunque di essere costruita a livello prepolitico, e che ci deve essere una unità culturale prima ancora che politica. Esiste una unità culturale dei cattolici? Chi entra nella Chiesa, ha scritto Joseph Ratzinger, deve sapere di entrare in una realtà avente una cultura profondamente stratificata.
Il cristianesimo immette nelle culture una trascendente verità che invita le culture stesse a verificare la propria verità e così, nel dialogo, raggiungere una maggiore libertà. Esistono quindi diverse culture politiche dei cattolici, diversamente articolate, che accentuano più un aspetto o l’altro della vita sociale. Anche qui, però, bisogna porre attenzione al fatto che la fede cristiana nel mentre suscita diverse culture politiche, ne stabilisce anche i limiti: il cristianesimo non può stare senza cultura, non può non farsi cultura, ma non ogni cultura è conforme al cristianesimo.
Se il tema della ripresa della presenza dei cattolici in politica vorrà giungere a un qualche fecondo risultato sarà opportuno che venga trattato in stretta sintonia con il Magistero del Santo Padre Benedetto XVI. Con l’attuale pontefice il cristianesimo sta comprendendo che il mondo ha bisogno di Cristo come di qualcosa di indispensabile e che gli autentici diritti umani rischiano, senza di esso, di essere schiacciati sotto il peso della dittatura del relativismo.
Alcuni dei principali elementi per una ripresa della presenza dei cattolici in politica nell’epoca di Benedetto XVI sono: verità del cristianesimo, centralità dell’evangelizzazione, ripresa della missione, significato pubblico della fede cristiana, critica alla dittatura del relativismo, reazione alla versione individualistica e nichilistica della libertà, purificazione della ragione, liberazione dalle ideologie del dialogo senza verità, della tolleranza senza criteri di discernimento, della assolutizzazione del diverso, recupero della nozione di legge morale naturale, rifiuto della politica come compromesso al ribasso, emendazione dei temi dell’ambiente e della pace dal moralismo politico che spesso li strumentalizza, confronto serio con una laicità non ideologica, coerenza morale dei comportamenti personali nell’impegno politico.
Una delle componenti principali di tale necessaria ripresa sarà la consapevolezza che il moderno processo di secolarizzazione non è irreversibile. Ciò non vuoi dire far finta di non vedere i feroci attacchi contro il cristianesimo condotti oggi da più parti e la sofferenza e perfino il martirio che i cristiani devono subire sia ad opera dell’integralismo sia del nichilismo delle società postcristiane.
Né vuoi dire chiudere gli occhi nei confronti di una secolarizzazione di massa sempre più invadente. Considerare realisticamente queste situazioni è un’ulteriore spinta alla ripresa, a patto che una visione di fede non ceda al pessimismo della ragione.
La linea che nella modernità ha finora prevalso può essere invertita. In questo lavoro i cattolici non saranno da soli. La cultura di morte sprigionata da una modernità che ha voluto estromettere Dio dalla sfera pubblica ha raggiunto livelli di disgregazione del tessuto sociale veramente preoccupanti e drammatici. Molti spiriti liberi, anche non cristiani, si interrogano profondamente, sentono il bisogno di recuperare ragione e buon senso e considerano che per far questo c’è bisogno dell’aiuto della fede cristiana, di un Dio che è amore e verità.