Già numero tre dell’esercito libanese, ora conduce una battaglia per la pace e la famiglia. La sua arma? Il dialogo
di Maddalena Maltese
In fondo un po’ comandante è rimasta sempre Jocelyne Khoueiry, anche se sono trascorsi un bel po’ di anni da quella notte del 6 maggio del 1976 quando, con sei ragazze, su una barricata nel centro di Beirut riuscì a respingere ben trecento combattenti siriano-palestinesi.
Leader della resistenza libanese tra il 1975 e il 1985, oggi ha i capelli bianchi, ma la determinazione e i sogni sono gli stessi di quella ventenne che dopo mesi di battaglie in trincea, tra fame, interrogativi, paure, decise che doveva cambiare vita. «Nelle notti buie della trincea accompagnava la solitudine del nostro cuore l’icona della Madonna di Vladimir – racconta Jocelyne -. La tenevamo nascosta, ma con una candela sempre accesa, rischiando di essere individuate dal nemico».
Rivive il travaglio di quei momenti, questa donna minuta, mentre narra la sua storia. Aveva pensato al convento, ma non era riuscita neppure a pronunciare la parola che il suo superiore, Bashir Gemayel, futuro presidente del Libano, assassinato pochi giorni prima di entrare in carica, la promuove comandante capo delle militanti delle forze libanesi. In quel momento il Paese dei cedri ospitava mezzo milioni di profughi palestinesi a seguito del conflitto arabo-israeliano del 1967. Il Libano, già vulnerabile per il delicato equilibrio interconfessionale tra cristiani e musulmani di differenti correnti, si ritrovò impantanato in una guerra civile.
«Sentivo che potevo rinnovare il senso dell’etica militare e comunicare Dio anche in un corpo armato, ravvivando la fede nella pace e nella convivenza tra le religioni», mi dice l’ex comandante. Un sentimento che la porta a distribuire vangeli tra le giovani reclute e che si traduce in programmi di formazione spirituale per le militanti. Lo scetticismo degli altri capi è palese, ma che soddisfazione per Jocelyne veder sfilare nel 1983 più di mille militanti che presentavano Maria come modello di una donna impegnata al servizio del proprio Paese.
L’assassinio di Bashir Gemayel scatena guerre fratricide per la conquista del potere e Jocelyne con tutto lo Stato maggiore si dimette. È il 1985. Tre anni dopo questa donna indomita fonda “La Libanaise-Femme du 31 May”, un movimento di azione sociale, che si dedica al dialogo islamico-cristiano con ex-combattenti appartenenti ai diversi schieramenti che si fronteggiavano nella guerra civile. «Tutti ci interrogavamo sul significato di queste lotte, ma soprattutto sui progetti di ricostruzione del Paese a partire dal ruolo che le donne potevano avere».
Dal 2000 un nuovo progetto: il centro Giovanni Paolo II «Qui la nostra divisa – spiega Jocelyne, che ancor oggi non dismette il linguaggio militare -, è ricostruire la vita della famiglia attraverso corsi di psicoterapia, progetti di accompagnamento durante le crisi, sostegno economico soprattutto per i bambini in età scolare, poiché le scuole sono costosissime». A oggi sono più di 300 le coppie seguite. «La pace scaturisce dal cuore dell’uomo. Guarire l’uomo è costruire una nazione» è il piano strategico del comandante Jocelyne ed è quello che la fa restare ancora in trincea.