Il Nuovo Arengario 27 Dicembre 2020
Andreas Hofer, grande patriota tirolese, nemico di Napoleone, non dell’Italia
di Luciano Garibaldi
Considerato dai tirolesi, senza alcun fondamento storico, il simbolo della lotta contro l’Italia, Andreas Hofer fu in realtà l’eroe dell’indipendenza del Tirolo dalla Francia e dalla vassalla Baviera napoleonica e il difensore ad oltranza dell’imperatore d’Austria. Ma soprattutto rimane il campione in ogni tempo della controrivoluzione cattolica, il nemico eterno dei giacobini e, più in generale, dei rivoluzionari di sinistra. Lo è al punto che formazioni tradizionaliste di ogni Paese ne adottano l’inno, il celebre e trascinante «Tiroler Adler» (l’Aquila tirolese), come una propria musica.
Queste cose molti Schutzen di Bolzano e provincia nemmeno le sanno. Così come non sanno che fu una città italiana, Mantova, a cercar di strappare Andreas Hofer alla morte decretata per lui da Napoleone. Potranno forse porsi qualche domanda leggendo quel che segue.
Andreas Hofer nacque a Sand, in Val Passiria, nel 1767. Benestante, albergatore, proprietario di malghe e terreni, era conosciuto ed apprezzato soprattutto per la sua grande fede cattolica in un ambiente che alla religione romana era tradizionalmente legato fin dai tempi della Riforma e del Concilio di Trento. Come capo militare emerse quasi improvvisamente nel mese di aprile 1809, all’età di 42 anni, allorché si pose alla testa di quattrocento insorti della Val Passiria, decisi a disarmare il presidio franco-bavarese.
Era in corso da mesi una delle tante guerre napoleoniche contro gli eserciti dell’imperatore Francesco I d’Asburgo. Hofer e i suoi compaesani stavano naturalmente dalla parte dell’imperatore contro l’usurpatore corso, ex giacobino ed ex rivoluzionario. Giunta la notizia che gli arciduchi Carlo e Giovanni, figli dell’imperatore Francesco, avevano dato inizio ad una controffensiva, i passiriani si armarono di schioppi e sciabole e sopraffecero i francesi.
L’insurrezione divampò rapidamente in tutto il Tirolo, grazie all’appoggio dei parroci, che trasformarono le canoniche in comandi militari, sull’esempio di ciò ch’era accaduto in Vandea tanti anni prima. Hofer divenne ben presto un formidabile generale, capo di un’armata di più di 50 mila uomini, 18 mila dei quali italiani di Trento che avevano risposto al suo proclama «Ai tirolesi italiani» (Hofer era tra l’altro perfettamente bilingue). Non è certo privo di significato che, dei volontari di lingua italiana, ben quattromila morirono ai suoi ordini.
Il successo militare dell’esercito tirolese fu travolgente. Hofer batté il generale francese Lefèvre in due sanguinose battaglie a Sterzing (Vipiteno) e ad Innsbruck, ma soprattutto a Berg Isel, dove fece ben 10.000 prigionieri, risparmiando loro la vita, cosa che non facevano certo i francesi nei confronti dei suoi uomini. Hofer era infatti generoso coi vinti, al punto da far curare i nemici feriti dalle donne del Tirolo, trasformate in infermiere. Ciò ch’è tipico dei combattenti cattolici, proprio a partire dalle guerre di Vandea. Lo storico Carlo Botta, nella sua opera «Storia d’Italia dal 1789 al 1814» (Pisa, 1824) lo definì «uccisore ardentissimo di chi resisteva, difensore magnanimo di chi si arrendeva».
Famoso anche per i suoi proclami e i suoi discorsi (fu il primo a parlare di «Nazione tirolese»), Hofer faceva vita semplice, quasi monacale, non portava insegne né gradi, vestiva come qualsiasi altro valligiano, con gli stessi abiti che oggi sono la folkloristica divisa degli Schutzen: gilet, pantaloni al ginocchio, cappello piumato. La sua guerra ai franco-bavaresi fu caratterizzata soprattutto da agguati, imboscate, rapide scaramucce. Una vera e propria guerra partigiana, che rese impossibile la vita degli orgogliosi occupanti. Sovente, quando passava qualche pattuglia francese a cavallo, i tirolesi le scaraventavano addosso giganteschi massi fatti rotolare dalla cima delle montagne.
All’interno del Tirolo, di cui Hofer il 15 agosto 1809 fu acclamato «comandante supremo», vigevano disposizioni molto severe soprattutto in materia religiosa: vietati i balli e i canti nelle osterie tranne che per le feste di matrimonio, locali pubblici chiusi durante qualsiasi tipo di cerimonia religiosa. E di canti in latino, dal «Te Deum» al «Gloria», echeggiavano le vallate dopo ogni battaglia o scaramuccia vinta dai tirolesi. Così come «Heil Maria!» (Viva Maria!) era il loro grido di battaglia, mutuato dagli insorgenti antifrancesi italiani degli ultimi anni del Settecento.
Napoleone aveva sconfitto l’esercito austriaco a Wagram il 5 e 6 luglio 1809, costringendo l’imperatore alla resa. L’11 luglio fu firmata la pace di Vienna. Ma Andreas Hofer e il suo esercito continuarono la resistenza ad oltranza. Per piegarli, Napoleone, che nel frattempo aveva annunciato il proprio fidanzamento nientemeno che con la figlia dell’imperatore sconfitto, Maria Luisa d’Austria, inviò due armate al comando del generale D’Hilliers. I francesi si abbandonarono ad ogni sorta di crudeltà, compreso il massacro di trecento donne di Bolzano sorprese con le armi (le «ausiliarie» di Hofer).
Braccato dai francesi, il comandante si rifugia in Val Passiria, nella malga Mader, sull’Alpe di Pfandler, a 1350 metri, con la moglie Anna, il figlio Giovanni e l’aiutante di battaglia Gaetano Sweth. Centinaia lo proteggono e lo riforniscono, uno lo tradisce rivelandone il nascondiglio. D’Hilliers manda mille soldati a stanarlo. Hofer si arrende il 18 gennaio 1810, a condizione che si risparmi la vita della moglie e del figlio.
Trasportato a Mantova, qui processato e condannato a morte da un tribunale militare francese, invano la cittadinanza tenta di comprarne la libertà offrendo ai francesi un riscatto di 5000 scudi, pari a 500 mila euro odierni: Napoleone lo vuole morto. E Hofer viene fucilato il 20 febbraio 1810, proprio il giorno in cui l’imperatore dei francesi celebra ufficialmente a Vienna, nel tripudio della folla, il proprio fidanzamento con Maria Luisa, che sposerà il 2 aprile.
Hofer ordinò egli stesso il fuoco al plotone d’esecuzione. Prima di morire gridò «Viva l’imperatore Francesco!». Ma l’imperatore per lui non fece nulla, impegnato com’era a patteggiare le nozze della figlia con Napoleone. Nel 1823 la salma sarà trasportata dalla chiesa di San Michele, a Mantova, dove la pietà popolare gli aveva dato cristiana sepoltura, alla cattedrale di Innsbruck, la Hofkirche, accanto alle tombe degli imperatori d’Austria. Omaggio tardivo ad un eroe che non fu capito allora, né è del tutto capito oggi.
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