di Massimo Introvigne
C’è qualcosa che manca nei commenti della stampa, anche italiana, al viaggio del Papa in Messico e a Cuba. Si dibatte appassionatamente se Benedetto XVI, tra le righe, abbia spezzato una lancia in Messico per il centro-destra del PAN contro il centro-sinistra del PRI in vista delle prossime elezioni, se abbia incontrato o no in segreto a Cuba il presidente venezuelano Hugo Chávez, se il regime cubano tragga più vantaggi dall’incontro del Papa con Fidel Castro o più svantaggi dall’anticamera che il líder máximo ha dovuto fare attendendo il Pontefice e cui, a casa sua, non è certo abituato.
Gli attivisti politici di centro-destra in Messico e i dissidenti anti-castristi – a Cuba e nell’esilio – avrebbero voluto una condanna esplicita della sinistra messicana che non rinnega l’eredità sanguinaria dei governi laicisti del XX secolo e del regime comunista cubano. Ma lo stile di Benedetto XVI – come già quello del beato Giovanni Paolo II (1920-2005) – non è mai stato questo. Il Papa si pone sempre su un piano diverso, volando più in alto dei problemi contingenti – pur senza ignorarli – e riaffermando i grandi principi che sono già di per sé stessi giudizio e condanna delle ideologie.
Il Pontefice parla spesso di dittatura del relativismo, e proprio questa è stata la caratteristica dei regimi della prima parte del secolo XX in Messico, che hanno imposto a ferro e fuoco un insegnamento e una politica relativista, cercando di soffocare – talora nel sangue, come durante la guerra dei Cristeros degli anni 1926-1929 – la voce della Chiesa. Quanto all’ideologia di Fidel Castro, si tratta di una versione tropicale di quel relativismo aggressivo portato alle estreme conseguenze che è tipico del marxismo, dove chi esprime anche un timido dissenso dalla dittatura del relativismo finisce in galera o in campo di concentramento.
Benedetto XVI, senza entrare in particolari forse poco compatibili con la natura anche diplomatica dei viaggi pontifici, ha condannato senza mezzi termini il relativismo. Di fronte a trecentomila persone a L’Avana il Papa ha ricordato il legame tra verità e libertà. «In effetti, la verità è un anelito dell’essere umano, e cercarla suppone sempre un esercizio di autentica libertà. Molti, tuttavia, preferiscono le scorciatoie e cercano di evitare questo compito. Alcuni, come Ponzio Pilato, ironizzano sulla possibilità di poter conoscere la verità (cfr Gv 18,38), proclamando l’incapacità dell’uomo di raggiungerla o negando che esista una verità per tutti.
Questo atteggiamento, come nel caso dello scetticismo e del relativismo, produce un cambiamento nel cuore, rendendo freddi, vacillanti, distanti dagli altri e rinchiusi in se stessi». E senza verità non c’è libertà: «la verità sull’uomo è un presupposto ineludibile per raggiungere la libertà, perché in essa scopriamo i fondamenti di un’etica con la quale tutti possono confrontarsi e che contiene formulazioni chiare e precise sulla vita e la morte, i doveri ed i diritti, il matrimonio, la famiglia e la società, in definitiva, sulla dignità inviolabile dell’essere umano».
Sono le regole comuni del gioco chiamato società, che valgono anche per la società internazionale, e senza queste regole – che coincidono con la legge naturale – non ci può essere la pace.
L’idea di una legge naturale che la ragione può conoscere e che vale per tutti è esattamente il contrario del relativismo. E perché sia chiaro che il relativismo che ha di mira, e che fa più danni, è quello – che si è manifestato appunto nel laicismo messicano e nel comunismo cubano – che esclude Dio dalla vita della società e degli Stati, Benedetto XVI ha ribadito in Piazza Maceo a Santiago de Cuba che Dio vuole fare parte della storia degli uomini.
Quando le ideologie lo escludono da questa storia, finiscono per costruire un mondo che non solo è ostile a Dio, ma è ostile all’uomo: «quando Dio è estromesso, il mondo si trasforma in un luogo inospitale per l’uomo». Anche per gli Stati, come per i singoli, resta vero che «allontanarsi da Dio ci allontana da noi stessi e ci precipita nel vuoto».
Contro il relativismo la Chiesa – oggi paladina di una ragione in gran parte oscurata e non solo della fede – propone la legge naturale, che fonda i diritti della persona umana, a partire dal diritto alla vita e da quello alla libertà religiosa. In Messico il Papa ha lanciato ben alto il grido dei Cristeros, un grido vietato ed espulso perfino dai libri di scuola, quando ha ricordato commosso «tanti martiri che, al grido “Viva Cristo Re e Maria di Guadalupe”, hanno dato una perenne testimonianza di fedeltà al Vangelo e di dedizione alla Chiesa».
E a León ha voluto visitare il monumento a Cristo Re, che fu distrutto nel 1926, bombardato dal governo all’inizio della guerra dei Cristeros, e ricostruito solo nel 1940, che ha definito «luogo emblematico della fede del popolo messicano», tornando sul tema a lui carissimo della regalità di Gesù Cristo, regalità mite e pacifica ma che nello stesso tempo non può non essere anche sociale.
Oltre ai forti richiami a Cuba, anche in Messico il Papa si è presentato come pellegrino della libertà religiosa. La legge naturale, ha detto al suo arrivo in Messico, postula la «incomparabile dignità di ogni persona umana, creata da Dio, e che nessun potere ha il diritto di dimenticare o disprezzare. Questa dignità si manifesta in modo eminente nel diritto fondamentale alla libertà religiosa, nel suo genuino significato e nella sua piena integrità».
La libertà religiosa, come il Pontefice l’ha presentata, non consiste nella sola libertà di culto. La Chiesa, ha ricordato all’aeroporto di Silao, dev’essere libera di testimoniare la fede, la speranza e la carità. Questo implica il diritto dei fedeli cattolici, che è anche politico, di «essere fermento nella società, contribuendo a una convivenza rispettosa e pacifica, basata sulla incomparabile dignità di ogni persona umana, creata da Dio, e che nessun potere ha il diritto di dimenticare o disprezzare». Anche la piaga tipicamente messicana del narcotraffico, che spesso ha attaccato e anche ucciso sacerdoti e vescovi, viola – in modo diverso dalle persecuzioni e discriminazioni governative – la libertà religiosa, cercando d’impedire alla Chiesa di compiere la sua missione.
Il Papa, dunque, non ha rinnegato la diplomazia, che in Messico cerca di sanare antiche ferite e a Cuba prepara una lentissima transizione, ha celebrato i suoi risultati – pure indicandoli sempre come soltanto parziali – e, negli incontri e nei toni, si è talora adattato alle sue esigenze. Ma nello stesso tempo ha attaccato le ideologie proprio dove esse hanno la loro radice, nel relativismo che nega la legge naturale e nel totalitarismo che rifiuta la piena libertà religiosa.
E ai vescovi ha ricordato che questi mali si combattono formando laici fedeli alla dottrina sociale della Chiesa e sacerdoti – su cui ogni vescovo, ha detto accennando così anche al delicato tema della pedofilia, deve esercitare un’adeguata vigilanza – che abbiano come bussola il Catechismo della Chiesa Cattolica, che è al centro del prossimo Anno della Fede.