Newsletter di Giulio Meotti 22 Gennaio 2021
La testimonianza-choc di Gulbahar Haitiwaji. “3 anni nei campi, le catene ai piedi, il ‘numero 9’, la sterilizzazione e ogni mattina dovevamo ripetere ‘grazie al nostro caro presidente Xi Jinping”
di Giulio Meotti
Gulbahar Haitiwaji viveva in Francia da dieci anni. Ma, se il marito e le figlie avevano lo status di rifugiati politici, Gulbahar aveva preferito mantenere il passaporto cinese per poter visitare l’anziana madre. Nel novembre del 2016, Haitiwaji ha acquistato un biglietto per la Cina. Il regime l’avrebbe deportata in un “campo di rieducazione” destinati al suo popolo, gli uiguri.
Due anni di detenzione, lavaggio del cervello, freddo e fame, per sradicare la cultura e la lingua del suo popolo, prima di essere rilasciata grazie alle pressioni del Quai d’Orsay francese. Ora Gulbahar pubblica un resoconto agghiacciante, “Rescapée du goulag chinois”. È la prima uigura ad essere liberata e rimpatriata in Francia. La prima a far sentire la sua voce in un libro.
Lo Xinjiang dove vive, terra ricca di gas e petrolio, è uno degli assi principali delle nuove “Vie della Seta” di Pechino. Senza di esso, l’enorme progetto economico di Xi Jinping non potrebbe vedere la luce. “Xi Jinping vuole lo Xinjiang senza gli uiguri”, riassume Gulbahar. Per fare questo, Xi deve sradicare un popolo. Assimilarlo.
“Pensavo di essere morta decine di volte. Alla fine, avrebbero potuto spararmi, non mi importava. È come se fossi morta dentro”. L’ideatore della repressione, Chen Quanguo, è noto per i suoi drastici metodi di repressione usati in Tibet.
Prima il bando delle importazioni di cotone e pomodori dallo Xinjiang. Poi il segretario di Stato americano uscente, Mike Pompeo, ha classificato come “genocidio” quello commesso dalla Cina contro gli uiguri. Li abbiamo visti i treni con cui le autorità cinesi hanno deportato la popolazione uigura. Sappiamo molto dei campi di rieducazione usati dal regime per fare il lavaggio del cervello agli uiguri.
Sappiamo, per ammissione di Pechino, che il tasso di fertilità degli uiguri è crollato di quasi la metà negli ultimi due anni, a seguito della campagna di “controllo delle nascite”. Che sta per donne uigure sterilizzate con l’inserimento forzato di una spirale, tramite contraccettivi e operazioni chirurgiche. Donne sottoposte a visite ginecologiche e ad aborti forzati. Il Partito ha costretto le donne uigure a sposare uomini non uiguri e ha separato i bambini dalle loro famiglie.
Haitiwaji ora racconta da dentro cosa sta succedendo. Si trovava nello Xinjiang per firmare le pratiche, quando la polizia l’ha arrestata. Le mostrano una foto della figlia maggiore, Gulhumar, durante una protesta organizzata dall’Associazione degli Uiguri di Francia al Trocadéro di Parigi. “Tua figlia è una terrorista!”. Mani e piedi incatenati e passamontagna sopra la testa, Gulbahar passa da un centro di detenzione a un altro. Prima il centro di custodia cautelare, con le regole appese al muro: “E’ vietato parlare uiguro; è vietato pregare; è vietato fare lo sciopero della fame… ”.
Si defeca in un secchio di plastica, davanti agli altri. Gulbahar è incatenata al letto per venti giorni, dal 1 al 20 aprile 2017. La portano in uno di questi nuovi “centri di formazione professionale”, il nome dato dal regime ai Gulag. Più di un milione di uiguri sono deportati in questi campi. Il campo di Baijintan, tre edifici “grandi come piccoli aeroporti” ai margini del deserto, è protetto da palizzate ricoperte di filo spinato. I prigionieri non vedono più la luce del giorno, solo al neon.
L’odore della vernice fresca gli fa pensare che il campo sia appena spuntato dal nulla. Le telecamere seguono i detenuti nei loro movimenti. “Grazie al nostro grande paese. Grazie al nostro caro presidente Xi Jinping”, devono ripetere i detenuti dall’alba al tramonto. Dopo aver preso i nuovi nomi (Gulbahar è diventata il “numero 9”), via i loro vestiti e i loro capelli e la rieducazione cinese prende piede anche nella testa dei detenuti.
“Quando una mano ci passava sopra violentemente un tosaerba e altre mani mi strappavano i ciuffi di capelli che mi cadevano sulle spalle, ho chiuso gli occhi pieni di lacrime”. Una guardia del campo mostra al gruppo di reclusi un muro: “Di che colore è?”, chiede. “Bianco”, rispondono. “No, è nero. Sono io che decido che colore è”. Poi arrivano queste strane “vaccinazioni”.
Si chiedono se vengano sterilizzati con la forza. “Le donne non hanno più le mestruazioni. Una volta tornata in Francia ho sentito davvero dell’esistenza della sterilizzazione nei campi”. Il 23 novembre 2018, Haitiwaji è processata in meno di dieci minuti e condannata a sette anni di detenzione. Verrà rilasciata grazie alle pressioni della Francia.
“Vogliono farci sparire, è un genocidio culturale, un’assimilazione totale, ma c’è resistenza tra le persone, non si distrugge un’intera cultura. È mio dovere come uigura raccontare. In nome di tutti coloro che non possono scappare. Quando sono tornata in Francia, grazie all’aiuto di mia figlia e dello stato francese, ho davvero capito il valore della parola ‘libertà’”.