Il Corriere del Sud 17 Aprile 2021
di Andrea Bartelloni
In principio era l’asterisco. Poi è scomparso per un rigurgito di realismo che ancora sopravvive, ma subito sostituito dalla sottolineatura costante della doppia presenza di maschile e femminile: bambini e bambine, fratelli e sorelle che si affianca al sempre presente: signore e signori, ladies and gentleman, madame et monsieur.
Ora arriva una novità “rivoluzionaria”: la schwa, scritta come un e, ma capovolta ə (che si pronuncia scevà). Non è una invenzione come quelle della lingua di “Trono di spade”, ma un fonema presente in molte lingue e che ha un suo suono intermedio a metà strada tra le vocali esistenti. Un suono presente in molte lingue europee e in molti dialetti del sud Italia, ma nelle intenzioni dei “linguisti” di un piccolo comune emiliano, Castelfranco Emilia, in provincia di Modena, vorrebbe assumere lo stesso valore del dimenticato asterisco: essere “inclusivo”, e non discriminare, col genere maschile di molte parole in un uso comune, il genere femminile.
Si tratta di un altro tentativo di imporre la “neolingua” di orwelliana memoria? Forse esageriamo e diamo troppa importanza a questa manifestazione, ma “Il rispetto e la valorizzazione delle differenze sono principi fondamentali della nostra comunità e il linguaggio che utilizziamo quotidianamente dovrebbe rispecchiare tali principi. Ecco perché vogliamo fare maggiore attenzione a come ci esprimiamo: il linguaggio infatti non è solo uno strumento per comunicare, ma anche per plasmare il modo in cui pensiamo, agiamo e viviamo le relazioni”.
Così dicono dal Miniver di Castelfranco Emilia, quindi una vera e propria operazione culturale al fine di modificare il nostro modo di pensare e di agire: “neolingua”. Una neolingua che alla lunga farà sparire le differenze a danno anche delle vere identità, anche di quella femminile: dire donna sarà discriminatorio come dire brava o bella?
La neolingua, come descritta nel romanzo distopico “1984” di George Orwell, era costruita per eliminare la possibilità di esprimere opinioni diverse da quelle approvate dal partito. Dovremmo dire: bravə o bellə senza far sentire la finale! Certo che il mondo meridionale sarà avvantaggiato, sono molte le parole che nei vari dialetti finiscono tronche.
Quindi addio al maschile che, in italiano serve anche a indicare il neutro. Per cui dire “buongiorno a tutte” vuole dire che ci si rivolge a un pubblico femminile, mentre dire “buongiorno a tutti” indica anche un pubblico misto. Allora per superare questo binarismo non inclusivo si è pensato all’asterisco: “buongiorno a tutt*” o alla “u”, per esempio dicendo: “Buongiorno a tuttu”. E fa abbastanza ridere!
È stata Vera Gheno, nel libro “Femminili Singolari” , a proporre la schwa: “Al contrario di altri simboli non alfabetici – scrive l’esperta – ha un suono davvero medio, non come la U che in alcuni dialetti denota un maschile”. Maschile che va abolito, ma si sta abolendo anche il femminile! Sono contente le donne? Ops, ho detto donna!