di Massimo Introvigne
Proseguendo nella sua «scuola della preghiera», all’udienza generale del 9 maggio Benedetto XVI ha proposto una meditazione sull’ultimo episodio della vita di san Pietro di cui parlano gli Atti degli Apostoli: la sua carcerazione voluta dal re Erode Agrippa (10 a.C.-44 d.C.) e la sua liberazione grazie all’intervento miracoloso di un angelo, alla vigilia del suo processo a Gerusalemme (cfr At 12,1-17).
Il racconto degli Atti degli Apostoli, nota il Pontefice, «richiama i grandi elementi della liberazione d’Israele dalla schiavitù dell’Egitto, la Pasqua ebraica. Come avvenne in quell’evento fondamentale, anche qui l’azione principale è compiuta dall’Angelo del Signore che libera Pietro.
E le stesse azioni dell’Apostolo – al quale viene chiesto di alzarsi in fretta, di mettersi la cintura e di legarsi i fianchi – ricalcano quelle del popolo eletto nella notte della liberazione per intervento di Dio, quando venne invitato a mangiare in fretta l’agnello con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano, pronto per uscire dal Paese (cfr Es 12,11)».
L’eco di queste antiche vicende bibliche si ritrova nelle parole stesse di Pietro: «Ora so veramente che il Signore ha mandato il suo angelo e mi ha strappato dalla mano di Erode» (At 12,11). Nello stesso tempo l’angelo è «del Signore», cioè di Gesù: «Ed ecco, gli si presentò un angelo del Signore e una luce sfolgorò nella cella. Egli toccò il fianco di Pietro e lo destò» (At 12,7). «La luce che riempie la stanza della prigione, l’azione stessa di destare l’Apostolo, rimandano alla luce liberante della Pasqua del Signore che vince le tenebre della notte e del male».
Anche le parole dell’angelo: «Metti il mantello e seguimi» (At 12,8), non sono casuali. Pietro certamente ne percepiva l’analogia con la prima chiamata che aveva ricevuto da Gesù (cfr Mc 1,17), «ripetuta dopo la Risurrezione sul lago di Tiberiade, dove il Signore dice per ben due volte a Pietro: “Seguimi”» (Gv 21,19-22). «È un invito pressante alla sequela: solo uscendo da se stessi per mettersi in cammino con il Signore e fare la sua volontà, si vive la vera libertà».
Il Pontefice ci fa anche notare che, mentre la comunità cristiana stava pregando con tanto fervore per lui, Pietro «stava dormendo» (At 12,6). «In una situazione così critica e di serio pericolo, è un atteggiamento che può sembrare strano, ma che invece denota tranquillità e fiducia; egli si fida di Dio, sa di essere circondato dalla solidarietà e dalla preghiera dei suoi e si abbandona totalmente nelle mani del Signore».
Un ricordo a noi che «così deve essere la nostra preghiera: assidua, solidale con gli altri, pienamente fiduciosa verso Dio che ci conosce nell’intimo e si prende cura di noi».Pietro «vive la notte della prigionia e della liberazione dal carcere come un momento della sua sequela del Signore, che vince le tenebre della notte e libera dalla schiavitù delle catene e dal pericolo di morte».
In seguito – sempre guidato dall’Angelo, e nonostante la sorveglianza delle guardie – «attraversa il primo e il secondo posto di guardia, sino alla porta di ferro che immette in città: e la porta si apre da sola davanti a loro (cfr At 12,10)». Poi «Pietro e l’Angelo del Signore compiono insieme un tratto di strada finché, rientrato in se stesso, l’Apostolo si rende conto che il Signore lo ha realmente liberato e, dopo aver riflettuto, si reca in casa di Maria, la madre di Marco, dove molti dei discepoli sono riuniti in preghiera».
Il Papa ricorda che le persecuzioni non sono le sole difficoltà che hanno vissuto i primi cristiani. San Giacomo nella sua Lettera descrive «una comunità in crisi, in difficoltà, non tanto per le persecuzioni, ma perché al suo interno sono presenti gelosie e contese» (cfr Gc 3,14-16).
Com’è possibile, a pochi anni dalla morte e resurrezione del Signore? San Giacomo «trova due motivi principali: il primo è il lasciarsi dominare dalle passioni, dalla dittatura delle proprie voglie, dall’egoismo (cfr Gc 4,1-2a); il secondo è la mancanza di preghiera – “non chiedete»” (Gc 4,2b) – o la presenza di una preghiera che non si può definire come tale – “chiedete e non ottenete, perché chiedete male, per soddisfare le vostre passioni” Gc 4,3)».
Il Papa commenta che «anche il discorso su Dio, infatti, rischia di perdere la sua forza interiore e la testimonianza inaridisce se non sono animati, sorretti e accompagnati dalla preghiera, dalla continuità di un dialogo vivente con il Signore». Questo richiamo vale anche per noi: «hanno pregato in questa comunità di san Giacomo, ma hanno pregato male, solo per le proprie passioni. Dobbiamo sempre di nuovo imparare a pregare bene, pregare realmente, orientarsi verso Dio e non verso il bene proprio».
Ed ecco invece un esempio di preghiera ben fatta: «la comunità, invece, che accompagna la prigionia di Pietro è una comunità che prega veramente, per tutta la notte, unita. Ed è una gioia incontenibile quella che invade il cuore di tutti quando l’Apostolo bussa inaspettatamente alla porta. Sono la gioia e lo stupore di fronte all’azione di Dio che ascolta».
E Pietro stesso si sente avvolto «dalla luce sfolgorante della Risurrezione e per questo può testimoniare sino al martirio che il Signore è il Risorto e “veramente ha mandato il suo angelo e lo ha strappato dalle mani di Erode” (At 12,11). Il martirio che subirà poi a Roma lo unirà definitivamente a Cristo, che gli aveva detto: quando sarai vecchio un altro ti porterà dove tu non vuoi, per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio (cfr Gv 21,18-19)».
Tutto questo episodio «ci dice che la Chiesa, ciascuno di noi, attraversa la notte della prova, ma è la vigilanza incessante della preghiera che ci sostiene». «Anche io – confida il Papa, con un commovente riferimento personale – fin dal primo momento della mia elezione a Successore di san Pietro, mi sono sempre sentito sorretto dalla preghiera di voi, dalla preghiera della Chiesa, soprattutto nei momenti più difficili. Ringrazio di cuore.
Con la preghiera costante e fiduciosa il Signore ci libera dalle catene, ci guida per attraversare qualsiasi notte di prigionia che può attanagliare il nostro cuore, ci dona la serenità del cuore per affrontare le difficoltà della vita, anche il rifiuto, l’opposizione, la persecuzione». Vale per Benedetto XVI come per il primo Papa, San Pietro. E vale anche per tutti i cristiani.