Crisi. Quali scenari in un mondo complesso?

Ciclo di incontri su Toniolo e la dottrina sociale della Chiesa organizzato dalla Parrocchia Maria Ausiliatrice e dal Circolo ACLI «Don Bosco» di Marina di Pisa in collaborazione con Alleanza Cattolica, la Polisportiva Marinese Garzella e il Centro cattolico di documentazione.

Intervento del professor Giovanni Padroni al terzo ed ultimo incontro che si è svolto venerdì 11 maggio 2012 nella sala del Circolo Acli «Don Bosco» a Marina di Pisa

Crisi economico finanziaria e crisi antropologica:
Quali scenari  in un mondo sempre più complesso

orizzonte

Giovanni Padroni, Università di Pisa (Giovanni.pad@gmail.com)

I primi veloci passi del nuovo Millennio si muovono tra macerie di grandi illusioni e disastrose eresie: mitologie ottocentesche che il Secolo Breve aveva trasformato in pesanti macigni ideologici, dalla Rivoluzione all’ onnipotenza della scienza e della tecnica, dal progresso inarrestabile al relativismo culturale e morale, demiurghi ritenuti capaci di risolvere ogni problema.

La globalizzazione, da collegare ad una migliore costruzione del bene comune, non limitata all’ambito meramente economico, mette in relazione sistemi e popoli su terreni che vanno dalla storia alla cultura, dalla lingua alla religione all’ economia. Si aprono e si dilatano enormemente i confini di ogni sistema economico-sociale, ciò che richiede anzitutto una cultura più ricca, attenta al saper essere prima che al saper fare, al “valore” dell’eterogeneità, ad una leadership capace di reinterpretare, anche in termini di servizio, il proprio ruolo in sintonia con esigenze e dinamiche articolate.

Con il Wittgenstein del “Tractatus” ricordiamo come, se pure tutte le domande possibili della scienza ricevessero una risposta, i problemi della nostra vita non sarebbero nemmeno sfiorati. Puntualmente Benedetto XVI, il Papa della Città di Dio che abbraccia “con gioia” la Città dell’uomo, nel discorso del 21 maggio 2010, durante la  XXIV Assemblea plenaria del Pontificio Consiglio per i Laici, avverte come  il crollo delle ideologie possa collegarsi ad  una destrutturazione sistematica del pensiero sulla persona, ricordando significati e pericoli del nichilismo, invitando ad illuminare ogni aspetto umano con la luce della fede, nel segno di una visione lontana da ogni fondamentalismo.

Ed è forma di nichilismo considerare la persona mero strumento di produzione e consumo piuttosto che al centro di un complesso sistema economico-sociale le cui basi e componenti stanno profondamente cambiando: dai processi decisionali ai significati del tempo, dalle modalità di relazione ai processi evolutivi, con influenze sia all’interno sia nelle interrelazioni con i mercati e gli ambienti.

Si sono perse molte tranquillizzanti “sicurezze”: basti ricordare il Nobel della chimica Ilya Prigogine con il suo “manifesto” su “La fine delle certezze” (in realtà delle pseudo certezze), fisici come Heisenberg ed il “principio di indeterminazione”, enfatizzanti visioni lontane da rassicuranti prevedibili modelli.

Abbandonare tradizionali punti fermi non significa peraltro cadere nell’indeterminazione e nel buio ma piuttosto avere bisogno di più numerosi e migliori strumenti e conoscenze, di matrice quantitativa e qualitativa, per cercare di penetrare, probabilisticamente, il futuro. In questa cornice, talvolta definita postmoderna, si impone l’ esigenza di fare appello, con Alejandro Llano, ad una “nuova sensibilità”, cioè considerare e praticare, concretamente, approcci a lungo trascurati dai tradizionali bagagli scientifici e tecnologici: in primis gli elementi riferibili all’etica e alla responsabilità sociale.

Senza dimenticare, come ammette non casualmente il Nobel per l’economia 2001 Joseph Eugene Stiglitz, che i modelli macroeconomici standard, che non comprendevano un’adeguata analisi delle banche, si sono dimostrati incapaci di valutare opportunamente i rischi, tra le cause della recente crisi  mondiale.

Spesso tendiamo ad avvicinarci eccessivamente ad un problema, ingigantendolo sempre più, fino ad ostacolare il nostro sguardo. Allora la prospettiva si chiude e viene meno la luce. Se invece sappiamo utilizzare una visione più ampia l’argomento si situa nel contesto a cui veramente appartiene. In questo modo il nostro sguardo resta libero per scorgere radici e soluzioni possibili.

Caritas in Veritate di Benedetto XVI mostra che nello scenario che dobbiamo affrontare ci sono il mondo, la fraternità universale e la gratuità, la questione antropologica, l’etica, il senso del nostro esistere ed agire e soprattutto la trascendenza.

L’ enciclica, e tutta la tradizione della dottrina sociale della Chiesa, vanno nella direzione di allargare l’aspetto etico e della fede sopra l’individuo, verso la responsabilitá del mondo”, invitando il positivismo economico a entrare in dialogo con una più ampia e ricca visione dell’economia. Crisi finanziarie e disastri ambientali a ben guardare hanno spesso origini nella violazione o appannamento di norme etiche, con pesanti effetti negativi.

Come ha osservato Aldo Giordano, in un recente Convegno ad Urio su “Dio nella sfera pubblica”, un fondamentale contributo del Documento appare quello di aprire davanti a noi un orizzonte  nel quale  situare i temi e i problemi sociali con ci confrontiamo. La violazione di principi etici inquina gli assetti organizzativi, danneggia l’equazione economica e successivamente quella finanziaria.

Trascurando il riferimento alla realtà e alla verità si rischia di confondere le cause con gli effetti, inseguendo le conseguenze piuttosto che le fonti dei problemi.

Seguendo la lezione del Pontefice non sono sufficienti discorsi e semplici richiami morali. Anche l’economista, di fronte alla complessità e alla globalizzazione, rileva che non si possono risolvere tutti i problemi con i tradizionali strumenti, sempre più inadeguati. Nelle dinamiche strutturali e strategiche dell’azienda, ad esempio, non abbiamo ancora ben imparato a inserire e “pesare” elementi intangibili fondamentali per il livello delle performances, le politiche di qualità totale, l’equilibrio economico a valere nel tempo, come la qualità dei dipendenti, il loro senso di appartenenza e l’ attitudine a fare squadra, la capacità di innovazione dell’imprenditore.

E’ forse utile ricordare come nell’epistemologia, intesa come teoria della conoscenza “moderna”, si registri il primato del quantitativo sul qualitativo, contribuendo a generare il convincimento del progresso lineare e irreversibile  ma anche dell’ homo oeconomicus e dello stesso principio dell’”one best way”.

In realtà bisogna aprirci all’utilizzazione di nuovi e adeguati strumenti e paradigmi, basati sulla realtà e la verità. Con le parole di Simone Weil, l’unico progresso vero risiede nell’ordine dei valori umani.

Dobbiamo contribuire a formare  una società ed un sistema educativo in cui convivano la qualità con la quantità, l’economicità con l’etica, sforzarci di pensare ed operare nella logica dell’ e.- e, piuttosto che del più superficiale o – o.

Nuove branche di studio riguardano il management della diversità, sistemi discontinui e quindi non prevedibili, l’era dell’accesso raccontata dai fortunati scritti di Rifkin per il quale non è importante avere la proprietà di un bene ma piuttosto disporne. Nascono forme di imprenditorialità non tradizionali che non possono essere affrontate  imitando pedissequamente il passato. Si devono inventare strade nuove e sempre molto flessibili intimamente collegate con i sistemi formativi, ad ogni livello.

Le realtà complesse sono contemporaneamente potenti e fragili. Si può bloccare un sistema paralizzandone anche una parte apparentemente trascurabile, magari generando un effetto domino (si pensi alle crisi economico-finanziarie ma anche alle epidemie che viaggiano con gli aeromobili e ai virus informatici che si propagano alla velocità della luce).

La sensibilità  di tipo etico è strumento per capire e meglio gestire queste realtà, investimento prima che costo. E’ ciò che può assicurare ad ogni organizzazione la sopravvivenza e la crescita.

L’abilità dell’organizzazione di creare e sviluppare conoscenze e informazioni rappresenta una chiave importante per il vantaggio competitivo. Sono in molti, ormai, a ritenere che ci stiamo muovendo da un’epoca industriale  ad una vera e propria era della conoscenza. Bill Gates ha spesso proclamato che la risorsa più importante di Microsoft è la creatività dei suoi uomini. Perché, con Einstein, “la logica porta da A a B, mentre l’immaginazione porta ovunque”. Allora “Imagination is more important than knowledge”.

Nei nuovi scenari l’uomo dovrebbe avere fra le sue attitudini uno spirito filosofico ed etico, utile per comprendere la complessità; una propensione scientifica articolata su “certezze”, probabilità”,”percezioni”; un senso della realtà che si sviluppa a contatto con il quotidiano.

Proprio la filosofia è chiamata a combinare le proprietà di oggetti ancorché lontani e disparati suscitando curiosità, suggerendo orientamenti nei complessi rapporti che legano ad esempio etica, economia, comunicazione, cultura. Deve essere  potenziata un’efficace e continua azione a favore della cultura, sicuro strumento che consente di offrire risposte tempestive ed efficaci ad un ambiente in continua rapida trasformazione.

I valori favoriscono l’affermazione di una società aperta alla verità, che deve precedere la libertà per assicurarne la responsabilità. Con ciò restituendo a molti la dignità di persone in grado di esprimersi autonomamente mediante strumenti critici basati sulla conoscenza e sul sapere piuttosto che sull’uso acritico di macchine “prodigiose “. Non dobbiamo dimenticare come nel Trattato costituzionale dell’Unione europea si parli di rispetto della dignità umana, libertà, democrazia, uguaglianza, diritti umani. E, ancora con Simone Weil, “Se non c’è libertà di pensiero l’uomo è perduto….Ma se non c’è pensiero non c’è libertà.”

Tuttavia la questione non è così semplice. Rischiamo una vuota retorica – anche nei confronti dei giovani – se non ne approfondiamo contenuti, fondamento, interpretazione. Così  nome dello stesso “valore” si possono sostenere posizioni del tutto diversi sui temi collegati alla dignità umana .

L’Università sorgente primaria della cultura, luogo ideale per coniugare sinergicamente la didattica con la ricerca, dovrà offrire anzitutto un maturo possesso del “metodo” e la capacità di cogliere i rapporti tra singolo accadimento e visione complessiva, insegnare un uso critico degli strumenti acquisiti ed armonizzare le conoscenze specialistiche in una visione di ampio respiro . In ogni processo educativo ai giovani si deve dare molto e molto chiedere, proprio nel segno della responsabilità.

La cultura, nonostante le sue molte facce, è una. E tanto più un Paese “cresce” nel campo della tecnologia quanto maggiormente deve progredire sul terreno “umanistico”. Avvicinare i giovani al mondo del lavoro e della leadership rappresenta un problema urgente e di ardua soluzione che deve essere affrontato continuamente, a vari livelli. Ognuno ha o deve scoprirsi una “vocazione” e cercare di realizzarla nel migliore dei modi .

Del resto ormai gli studiosi di management concordano nel ritenere che il successo – nell’impresa come nelle realtà non profit – è strettamente legato alla capacità di lavorare soddisfacendo bisogni tendenti all’ autorealizzazione. Strategie aziendali vincenti come la “lean production”e la “total quality”sono emblematicamente legate a questa impostazione.

L’etica è la capacità di conoscere il bene e la volontà di seguirlo. Ricordiamo, parafrasando Aristotele, che l’uomo è un animale etico. Infatti, ogni azione e giudizio presuppone una scelta ed una scelta basata su valori presuppone l’etica. Comportarsi tenendo conto di principi etici significa porre il fondamento su valori presenti nella nostra coscienza e condivisi, accettandone la responsabilità,

E’ comunque significativo che in alcuni grandi complessi industriali si accosti spesso al concetto di total quality management quello, intriso di significato etico, di “total value management”. La qualità presuppone infatti una modalità nuova nello svolgimento del lavoro, piuttosto che un’aggiunta alle vecchie tipologie . Ma è importante che l’etica non si fermi alle mere dichiarazione di intenti, ancorché solenni e proclamate, addirittura tradotte in formali certificazioni. E’ necessario che si radichi nella realtà dei valori aziendali e costituisca elemento non occasionale ed opportunistico della cultura di ogni persona.

Come affermava un personaggio protagonista della storia industriale giapponese, Konosuke Matsushita, “le attività oggi sono così complesse e difficili, la sopravvivenza delle aziende così a rischio in un ambienti imprevedibili e competitivi al punto che la loro sopravvivenza dipende dall’utilizzo quotidiano di ogni grammo di intelligenza”. In altri termini l’industria, per rimanere con successo sul mercato, deve saper utilizzare e sviluppare al meglio tutte le sue risorse.

Il vecchio rassicurante Q.I. non tiene conto di culture diverse, di molti fattori comportamentali, ereditari, ambientali. E’ spuntato anche il Q.E., intelligenza emotiva, quella che permette di inserirsi in una rete di relazioni in maniera adeguata, di gestire lo stress, essere flessibili, prendere decisioni in modo rapido, correggere eventuali errori.

Un bisogno di progresso ed integralità che fa ricordare la forte pagine di Friedrich Nietzsche nel “Così parlò Zarathustra”. Di fronte ad una massa di sofferenti colpiti da menomazioni atroci il fondatore dell’antica religione spinge ad una riflessione secondo una diversa prospettiva. Ci grida che il male maggiore, più della mancanza di un organo, è piuttosto avere esageratamente sviluppato una parte del proprio corpo in un mondo di uomini in frantumi che non sono nient’altro se non un grande occhio o una grande bocca o un grande ventre o qualcos’altro di abnorme che si regge su un esile stelo.

La più radicale tentazione dell’umanità nasce sempre dallo sbriciolare il volto dell’uomo per poi sceglierne feticisticamente un frammento e ingigantirlo fino a farlo diventare “ideologicamente” il tutto: un risultato mostruoso che mortifica  l’umanità, fa sparire l’armonia e la bellezza, eliminando dimensioni di non minore importanza. Questo grave rischio è presente anzitutto nelle visioni antropologiche che riducono l’uomo ora soltanto a materia, ora solo a corpo, a spirito, a lavoro, a tecnica, a ragione…

Anche l’economia rischia questa deriva. Sistemi basati esclusivamente sulla puntiforme enfatizzazione del profitto, della finanza, della tecnologia, hanno creato e creano squilibri e crisi anzitutto per la mancanza di cultura globale e scarse capacità di conoscere e applicare “nuove sensibilità”.

La “crescita” di ogni lavoratore consisterà nel cogliere impegnative opportunità e spesso nel dover operare nell’ambito di gruppi complessi, rendendo necessario  un cambiamento culturale di cui i sistemi educativi e formativi non possono non tenere conto. Abbandonata l’esasperata divisione e frammentazione dei compiti, urge l’esigenza di nuovi paradigmi focalizzati sull’organizzazione “snella” al cui centro sta la persona, non un’idea astratta: con minori livelli gerarchici, maggiore ampiezza di controllo, espansione generalizzata della sfera delle responsabilità.

Non è comunque l’organigramma che determina di per sé il miglioramento: occorre sempre tener presenti le motivazioni che giustificano le strutture, anzitutto per implementarle a misura d’uomo.

Le strutture, non importa se professionali, sociali, educative, devono aiutare a motivare la persona. Di per sé non sono sufficienti per garantire un nuovo ordine, non possono assicurare il bene completo dell’uomo in mancanza della libera adesione agli obiettivi. Al cuore di queste riflessioni non può dunque essere che l’Uomo, nella totalità del suo essere, nelle multiformi possibilità espressive, nell’incommensurabile valore della libertà.  Non possono venir separati gli aspetti che qualificano la vita dell’uomo nelle sue manifestazioni; esiste la globalità della vita, analogamente alla globalità della cultura.

Le aziende hanno necessità di personale con mansioni polivalenti piuttosto che esclusivamente specialistiche, chiedono responsabilizzazione e coinvolgimento sulle strategie, spingono i livelli decisionali verso il basso. L’ingresso di nuove tecnologie spingerà verso la formazione permanente. Questo comporta, da parte dei lavoratori, l’esigenza di accettare che le proprie capacità e competenze professionali necessitino, ciclicamente, di corsi di riqualificazione e di aggiornamento.

Se il ruolo imprenditoriale continuerà ad affermarsi sotto il profilo essenzialmente economico, tuttavia per raggiungere risultati soddisfacenti in quest’area dovranno dispiegarsi crescenti energie anche in altri campi, da quello etico a quello politico, associativo, relativo all’ambiente.

Come scrive il fisico Franco Bassani, già direttore della Scuola Normale Superiore, “Occorre sempre ricordare che la scienza non solo è fatta dall’uomo, ma è fatta per l’uomo, per la sua mente ma anche per la sua anima”. Ci è proposta spesso  un’immagine poetica di Antoine de Saint Exupery, datata ma che continua ad essere attuale: “se volete costruire una nave non radunate uomini per avere il legname, distribuire i compiti e organizzare il lavoro ma infondete loro la brama degli spazi aperti e del mare infinito”.

Per raccogliere questa sfida e soddisfare questo obbligo  la Società deve riguadagnare la sua più profonda identità fondata sul diritto naturale della persona. E si rafforza l’esigenza della solidarietà quale metodologia e strumento per impostare e risolvere correttamente problematiche complesse: una sfida per l’economia globale chiamata ad assicurare sviluppi con caratteristiche economiche e solidali.

La solidarietà non è una nuova “tecnica” ma piuttosto una “filosofia” che consente di agire – in un’ottica svincolata dal contingente – per l’ottenimento di positivi risultati economico-finanziari anche percorrendo strade apparentemente lontane e divergenti. Come ha osservato Giovanni Paolo II nella Centesimus Annus “E’ l’abilità di prevedere sia i bisogni degli altri sia le combinazioni di fattori produttivi più adatte a soddisfare questi bisogni che costituisce un’altra importante fonte di benessere nella società moderna.”

L’innovazione(e tutte le aziende devono essere innovative) rappresenta ormai un sicuro vantaggio competitivo. Le risorse professionali dell’azienda diventano il fattore strategico di elezione, prendendo il posto dei tradizionali investimenti. Tuttavia, come suggerisce una corretta antropologia, è essenziale che non si riduca l’innovazione, necessariamente ricco processo sociale, a mera invenzione di tipo tecnico.

Anche se l’abilità tecnologica di operare sui processi e distribuire informazioni strutturate in modo sofisticato rappresenta una straordinaria risorsa di questo momento storico, le aziende  richiedono in sempre maggior misura l’intelligenza e l’esperienza degli esseri umani per trasformare un certo tipo di informazione in conoscenza utile e in un corretto processo decisionale.

L’istruzione e la conoscenza sono e saranno un potente volano anche di promozione sociale.

Elementi quali le capacità intellettuali, l’attitudine a risolvere problemi, i contributi al miglioramento dei processi, la dimostrazione di spirito di gruppo saranno in questa ottica alla base di più efficaci sistemi premianti, oltre che di innovativi criteri di selezione: nel mondo aziendale ma necessariamente anche nel sistema universitario.

Tra i compiti  più importanti da svolgere nei confronti dei giovani è sicuramente quello di ”insegnare” la leadership. Il termine può assumere molti significati, è di difficile traduzione. Richiama il concetto di guida ma non si esaurisce nel semplice atto di condurre o indicare un cammino. Significa autorità  ma è ben distante dal concetto di comando puro e semplice , aspetto secondario del lavoro. Dobbiamo essere consapevoli che è difficile  garantire un futuro per i nostri giovani ma la nostra generazione deve essere  in grado, anche ripensando all’etica, di preparare bene i giovani per il loro futuro.

Leadership vuol dire anzitutto dare l’esempio, ispirare e motivare, agire in termini di servizio. Non basta fare bene le cose: è fondamentale fare bene le cose giuste. E non possiamo dimenticare le debolezze di una mera “cultura del risultato”, nell’economia e nella società, perché il solo risultato non è sicuro criterio di misura delle cose.

Nella visione di Drucker (1993) la concorrenza in un mercato globalizzato richiederebbe un vero e proprio “post capitalismo” in cui la conoscenza, soprattutto innovativa e riconducibile all’area del capitale umano(Scott, 2000), appare come chiave per il successo, tanto importante da configurare una “Knowledge Society” .

La conoscenza non sarebbe un fatto elementare né schematico ma piuttosto caratterizzato da complessità, che si genera considerando molteplici aspetti interrelati tra loro (Ferraris Franceschi, 1998).

La logica della complessità spinge verso una più ampia “valorizzazione” delle persone, portando a sintesi il valore intellettuale ed in generale delle risorse immateriali (Amietta, 1998; Padroni, 2000).

Ciò anche per un più adeguato controllo della gestione in cui, da uno spettro di attività tradizionalmente  limitato all’area contabile e finanziaria ci si sposta verso modalità di “essere” ed operare del “sistema aziendale”. Si genera così un potente strumento di assistenza e cooperazione verso il top management che può coinvolgere le soluzioni organizzative, i sistemi di controllo, il grado di attendibilità dei sistemi informativi.

Nella determinazione del valore attribuito al capitale umano è importante valorizzare una dimensione prospettica, considerare aspetti monetari e non monetari capaci di incidere sui livelli di efficacia e di efficienza (Zanda, Lacchini, Orecchio, 1993).

Alla base della creazione del valore vi è la capacità di ogni decisione di generare flussi di cassa. Su questa base è determinato e misurato l’impatto degli obiettivi e decisioni nell’ambito della combinazione (dalle quote di mercato all’efficacia ed efficienza organizzativa, alla struttura finanziaria).

In ambienti turbolenti divengono essenziali condizioni di self organization, rapportate alla capacità dei membri interni di assumere liberamente modalità decisionali e di comportamento coerenti con set di valori condivisi (Dolan, Garcia, Diegoli, Auerbach, 2000). La creatività, essenzialmente capacità di generare innovazioni sia sul piano concettuale sia relazionale, appare come punto di partenza di processi aziendali molto complessi: esplicati in periodi di difficoltà e turbolenza, giocati tra realismo ed utopia, comunque difficilmente riconducibili a modelli dinamici tradizionali.

L’organizzazione si presenta come un sistema cognitivo, costituito da persone che entrano in relazione con un mercato-ambiente cercando di influenzare sistemi di valori e culture(Gratton, 2000), segnati da progressiva eterogeneità. Fa in alcuni casi eccezione la piccola impresa, luogo d’integrazione e costruzione delle appartenenze (de Bortoli, 2006), anche nel segno di sistemi di valori maggiormente omogenei.

La “capacità visionaria” del “piccolo imprenditore” è preziosa nella ricerca dell’efficacia e nella focalizzazione verso le “cose giuste” piuttosto che verso forme di vero e proprio “efficientismo” che indirizzano l’esasperata managerialità verso la mera attenzione nel “fare bene le cose” invece di “fare in maniera corretta le cose giuste”.

Nuovi scenari e dinamiche spesso tumultuose, sia di tipo interno sia esterno alla combinazione aziendale, determinano enormi cambiamenti nei sistemi di controllo. Anche la presenza di elevate  dosi di tecnologia informatica nei processi influisce in questo campo e negli stessi processi decisionali.

E la stessa evoluzione del controllo interno, in senso quali-quantitativo, contribuisce a determinare ed ampliare il carattere di complessità nelle attività di gestione, attribuendo al concetto contenuti sempre più ampi (Cori, 1997; Corsi, 2003), sia in termini di governance sia operativi.

L’esistenza e la comunicazione di un “corpus” organico di norme etiche costituiscono un requisito fondamentale per l’effettivo funzionamento di un sistema di controllo interno. Norme e meccanismi non sono, infatti, in grado di assicurare, da sole, la corretta conduzione delle operazioni.

Un vero e proprio “codice etico” non dovrebbe limitarsi a “fotografare” una certa realtà ma di preferenza essere proiettato verso assetti non completamente realizzati, spingendo verso il cambiamento. Le norme deontologiche, riferibili al comportamento dei lavoratori, potrebbero avere un’utilità interna, quindi estensibile al più vasto universo degli stakeholders, nella direzione di una concezione più ampia della governance.

Cresce la coscienza che le norme, da quelle giuridiche a quelle contabili, da sole non siano sufficienti, benché possano essere molto importanti. Occorre, infatti, dotarsi della capacità di applicarle, trasformarle in progetti e programmi organizzativi che tengano conto delle aspettative dei clienti esterni ma anche in generale delle risorse umane e dei valori espressi nella cultura generale e aziendale.

Perché, con le parole del Card. Scola, uno stato democratico non può essere indifferente ai grandi valori che stanno a fondamento della stessa convivenza democratica.

Il capitale umano, “risorsa” dai contenuti contabili ma anche strategici, è fonte di valore economico che dal momento dell’assunzione si sviluppa con diverse modalità qualitative e quantitative in relazione alle modalità di impiego.

Ciò si accompagna all’esigenza di sistemi informativi capaci di valutare correttamente i contributi alla creazione del valore nel sistema aziendale (Bruni, 1990). Il senso del mondo si trova oltre le scienze. Lo sviluppo è anche radicalmente questione culturale. I sistemi socio economici, sempre più interrelati, devono cercare anzitutto “fini” ed obiettivi: “bussole” per orientarsi nelle situazioni tumultuose che la quotidianità produce senza sosta.

Le crisi hanno una componente morale che nessuno puó non vedere. L’etica è interiore alla razionalitá e al pragmatismo. Se una gran parte  delle azioni dell’uomo e delle realtà della vita, ad un certo livello, sono “relative”, cioè dipendenti dalle diverse epoche, dalle culture e dalle circostanze, è inaccettabile  l’affermazione che “nulla” è assoluto, che non esiste alcuna dimensione di assolutezza e di universalità è inaccettabile una dittatura del relativismo, modo di vivere e prassi che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e i propri desideri.

Occorre sempre leggere la realtà ricordando con Max Weber che ci sono cose che si possono dimostrare e altre soltanto mostrare. E’ una sfida a pensare e considerare come interdipendenti e in unità le dimensioni dell’esistere e dell’agire umano. Non si possono più considerare in modo separato le questioni del lavoro, dell’economia, della politica, della vita, della demografia, della salute, della famiglia, della religione, della tecnica, dell’ambiente, delle scienze… Occorre, finalmente, una “fraternità” tra le dimensioni dell’esistere umano, come tra i saperi.

La questione antropologica è dovunque e comunque centrale. Le scienze offrono un contributo essenziale ma non possono, e non devono, coprire tutto il reale.

E’ importante non cessare di riflettere sui grandi incessanti cambiamenti che caratterizzano le attività professionali ed il lavoro in generale. E saranno verosimilmente il lavoro e l’occupazione tra le sfide più vicine e critiche, in qualche caso drammatiche, per i sistemi socio-economici mondiali.

Per risolvere i problemi il primo passo è quello di comprendere e mettere a fuoco una buona impostazione metodologica. Stanno divenendo evanescenti i confini tra molti tradizionali mestieri, ciò che impone con urgenza il bisogno di approfondimento delle culture nonché di una loro efficace ed efficiente integrazione .

Si afferma una “nuova economia” completamente diversa da quella tradizionale legata ai fattori terra, lavoro e capitale, basata in gran parte sulla conoscenza e le informazioni, la cultura, libera nello stesso tempo da quasi tutti i limiti imposti dalle distanze, dal tempo e dalla scarsità delle risorse; una dimensione “senza frontiere”  tale da imprimere un’ulteriore accelerazione allo sviluppo di un mondo inevitabilmente globalizzato.

I valori hanno bisogno della verità per essere correttamente orientati; priva di valori la verità manca delle risorse etiche che permettono l’orientamento delle conoscenze verso il bene della persona (Gadamer, 1985).

Nell’ambito delle risorse umane insieme all’etica pare opportuna un’ermeneutica del profitto:una continua ricerca volta all’interpretazione di realtà che, come nel fenomeno aziendale,sono in continuo divenire,ciò che richiede anzitutto una lucida coscienza del valore dell’uomo,nella sua complessità ed integralità.

Un uomo che, anche ricordando Kierkegaard, è spinto verso una scelta esistenziale, tra il bene e il male. O si lavora per un motivo che trascende il lavoro stesso o si finisce per rifuggire il lavoro. Nessun senso della vita si può ricavare da una visione “schizofrenica” del mondo.

Viktor Frankl, uno psicologo che ha perso moglie e alcuni figli nel dramma dell’olocausto, ricorda come coloro che riuscivano a sopravvivere più a lungo alla terribile esperienza del lager non erano i soggetti più forti fisicamente, bensì coloro che avevano un più solido motivo d’amore per sopravvivere (Frankl,1995).

E risulta chiaro che affrontare problemi sociali e strategie d’impresa come se fossero separati e distinti è stato poco avveduto in passato, e lo è tanto più oggi (Porter, 1987). E’ dunque necessaria una “People strategy” per coordinare gli interventi nell’ambito delle politiche relative alle risorse umane, coerentemente alle altre strategie .

Per comprendere e competere nella società complessa si domanda anzitutto apprendimento ininterrotto, riqualificazione delle competenze, formazione permanente, forte attenzione e rapporto “amichevole” con il cambiamento scientifico e tecnologico, leadership partecipativa, team working.

I sistemi sociali sono caratterizzati da “reti” di parti “viventi” auto-organizzate che formano un intero costantemente co-evolvente e complesso, qualificate da variabili interconnesse e che possono produrre esiti non previsti dagli attori: un sistema variegato con un peso crescente delle relazioni di mercato rispetto a quelle gerarchiche.

L’azienda di successo non può limitarsi ad aggiungere valore: deve con continuità reinventarlo. Le tradizionali e obsolete logiche lineari della catena del valore non consentono infatti di affermare la molteplicità delle interrelazioni che si creano tra i vari soggetti. E’ tratteggiato l’orientamento verso un sistema che in connessione con il vantaggio competitivo e i tradizionali elementi della catena può arricchire anche in termini innovativi la tradizionale teoria del valore.

È necessario uno sforzo per trovare un nuovo equilibrio, anche di regole, tra scienza ed economia nell’era della conoscenza, fondato sul principio che la conoscenza è un bene comune. Il sapere costituisce il legame tra il sistema economico e sociale e quello formativo. In entrambi sono presenti processi di apprendimento che interessano persone fisiche sia individualmente sia all’interno delle organizzazioni.

Diversamente dagli altri fattori produttivi il capitale trasformato in conoscenza genera valore attraverso la capacità di moltiplicare gli usi, di dare un significato soggettivo alle esperienze, valorizzare i meccanismi di autoregolazione anche nel campo dei  rapporti sociali tra gli attori.

La professionalità è sempre meno associata al “compito” e sempre più alla competenza espressa nell’interpretazione del ruolo. Si può concordare con Drucker che le attività intangibili, dal personale al sistema dei valori, dalla leadership alla ricerca e innovazione continua, dalla reputazione alla forza del marchio alle capacità di immaginazione, si confermino quale strumento di efficace cambiamento strategico e dei processi, integrando sia il capitale sia il lavoro come emblematico fattore di produzione.

Dovremo saper coniugare efficacemente la professionalità ed il servizio all’uomo, potenziare la nostra azione a favore di una cultura che proprio la millenaria esperienza europea  ha saputo strettamente collegare all’ essere piuttosto che all’ avere ed attingere continuamente ad essa, sentirci partecipi allo sviluppo integrale delle nostre comunità .

Queste esigenze caratterizzano anche gli obiettivi dell’imprenditore “obbligato” – parallelamente al raggiungimento di una durevole economicità – ad essere costantemente creativo ed innovativo, orientato verso la “filosofia” della “qualità”, quindi “flessibile”, ciò che richiede crescenti e raffinate capacità di comprensione e di espressione, decisamente lontane da ogni tipo di “pseudo – cultura”  .

La politica della qualità inizia in chiave organizzativa culturale – con una particolare modalità di osservare i problemi, una mentalità da acquisire che è condizione necessaria per alimentare concrete fasi operative .

Una particolare modalità d’apprendimento e soluzione dei problemi è basata sul presupposto che non esiste un modo “ottimo” per risolvere i problemi, ogni modalità potendone ipotizzare altre. La focalizzazione su semplicità e praticità sembra essere idonea a ben rappresentare alcune problematiche dell’azienda “minore”.

Ricordando il “pensiero laterale”, termine che può essere avvicinato all’idea di creatività, non ci si propone soltanto la soluzione di problemi singoli ma si cerca di trovare nuove interpretazioni della realtà attraverso inconsueti punti d’attacco dei problemi, differenti approcci e modelli, uso di mezzi all’apparenza “illogici”: una metodologia che facilita l’acquisizione d’idee diverse anche alla base di nuovi prodotti, processi e servizi.

Il pensiero laterale rappresenterebbe il necessario intervento in un sistema informativo auto-organizzato al fine di rendere possibile un più completo uso delle informazioni stesse. N’è condizione fondamentale quella di pensare ed operare in termini di “flusso di valore “. Ed il trasferimento di mansioni e responsabilità ai lavoratori, essenzialmente solutori di “problemi”, contribuisce all’incremento del valore del prodotto.

Se tutti i valori autentici, dovunque si trovino, possono essere ricercati e accolti, solo mantenendosi in una prospettiva di verità si può scampare al rischio di trasformarli in idoli. I valori senza la verità sono ciechi, senza i valori la verità è sprovvista delle risorse etiche che rendono possibile indirizzare le conoscenze al bene dell’uomo. Così, con Husserl, il centro di gravità della crisi non sarebbe tanto legato alle particolari strutture tecnico-scientifiche o sociali bensì piuttosto al possibile scollamento rispetto al mondo vitale.

La capacità di tenere sotto controllo situazioni in cui il cambiamento è rapido e l’incertezza elevata è prerogativa del manager, chiamato ad affrontare e risolvere problemi, esprimere giudizi su fatti, persone, cose, tenendo conto di molteplici prospettive. Potrà vincere la sfida competitiva se riuscirà a cambiare meglio e più in fretta dei concorrenti, coevolvendo con l’ambiente esterno

Il ruolo imprenditoriale continuerà ad affermarsi sotto il profilo essenzialmente economico; tuttavia per raggiungere risultati soddisfacenti in quest’area dovranno dispiegarsi crescenti  energie anche in altri campi, da quello politico a quello cooperativo, relativo all’ambiente, etico.

Cultura, per il ricercatore come per l’imprenditore od ogni altro soggetto, dovrà significare – tra l’altro – capacità di esaminare un’idea da varie angolazioni, formulare generalizzazioni al di là di pregiudizi o convincimenti meramente personali, agire con costante umiltà intellettuale facendo cadere barriere ed incomprensioni, nemiche delle scienza ma anche del buon senso .

Purtroppo le ragioni del bene non hanno mai impedito l’uso nocivo delle scienza e le guerre più atroci. Spesso si comprende il valore etico delle scelte soltanto “a posteriori” quando i disastri si sono già verificati. Tornano alla memoria le profetiche parole di Simone Weil, appassionata della cultura del dovere, allorché smaschera una società segnata dal devastante naufragio della verità.

La scienza agisce in quanto attività dello spirito umano che ricerca la verità:una verità sempre parziale e perfettibile, ed in questo è umile la scienza di oggi. Anzi, proprio l’umiltà è grande acquisizione della scienza moderna.

Sappiamo che cercare la verità non è facile; ed ancor più costa difenderla ed esigerla come stile di vita. Per raccogliere queste sfide la Società deve anzitutto riguadagnare la sua più profonda identità fondata sul diritto naturale della persona, coniugare sviluppo e solidarietà, economia e valori dello spirito. Tutto ciò con fondamento nella collaborazione e nel servizio, facendo rientrare gli aspetti dell’esistenza umana in una visione unitaria ed  organica, fondata sulla motivazione di fondo del proprio esistere .

Dobbiamo lavorare instancabilmente per perfezionare quell’importante aspetto della cultura rappresentato dal servizio, creare rapporti tra i popoli sulla base di un’autentica “cultura del dare”, senza mai perdere di vista l’obiettivo della comprensione. Se sapremo aprirci e stabilire rapporti di pace e di servizio con ogni persona agiremo concretamente per favorire un mondo più giusto, quindi più umano .

La premessa necessaria del dialogo è il confronto tra identità ben chiare ed affermate. Per poter dialogare bisogna essere prima di tutto se stessi, possedere idee e proporle con chiarezza, convinzione e coraggio. Assecondare passivamente i comportamenti e le mentalità correnti, immergersi in esse fino a sciogliersi perdendo la propria identità, è negazione del dialogo.

La transizione postmoderna si accompagna a cambiamenti nel lavoro caratterizzati da mercati frammentati, specificità, discontinuità, insicurezza, forme d’imprenditorialità non tradizionali, valori legati alla persona, enfatizzazione sull’accesso piuttosto che sulla proprietà, confermando la tendenza a collocare la ricchezza, oltre che nella proprietà, nelle capacità fisiche ed intellettuali dei lavoratori.

Non soltanto nelle combinazioni aziendali, tentare di rispondere alle crescenti specificità solo con il bagaglio culturale del passato e rapporti lineari di causa-effetto rischia di innestare o intensificare circoli viziosi di comportamento inefficiente. Obsoleti”strumenti”, pur continuando ad esistere, non sono più in grado di spiegare compiutamente la realtà.

Politiche del personale aperte al “Diversity management”, concretamente evidenziate dalla creazione di un “Integration manager”, possono favorire la valorizzazione del personale dando  vita ad un ambiente in cui tutte le forme di soggettività possano esprimersi e interagire sinergicamente.

Si evidenzia al contempo l’esigenza di far crescere un terziario “ricco” di formazione, logistica, servizi di supporto alle imprese, ricerca di una più fitta trama di relazioni tra imprenditori ed istituzioni, alle quali s’indirizzano richieste crescenti in tema di infrastrutture, coordinamento ed incentivazione per l’innovazione.

Se reti e sistemi capaci di facilitare le interrelazioni tra i diversi protagonisti delle filiere produttive contribuiscono alla riduzione dei costi di transazione, appare comprensibilmente importante dedicare attenzione ed energie a specifiche forme di diversity training, con l’obiettivo di ricondurre la diversità ad attività di business, coinvolgendo i lavoratori in chiare visioni strategiche da proiettare sul mercato e sull’ambiente.

Le modalità con cui un’azienda rappresenta se stessa all’esterno non possono prescindere dal fatto di avere al proprio interno persone diverse per etnia, abilità, genere, età. Tuttavia la diversità non riguarda soltanto questi aspetti bensì anche, e forse in modo ancora più radicale, il modo di pensare, gli orientamenti culturali, gli atteggiamenti.

I problemi connessi ai ventagli di specificità possono, tra l’altro, influenzare il Risk Management, ben sapendo che la “prevenzione”, ineluttabilmente connessa all’organizzazione, crei valore.  Network interno ed esterno rappresentano in questo senso  due sfere relazionali fondamentali nell’analisi delle motivazioni e dei percorsi che caratterizzano l’organizzazione della prevenzione.

L’attività formativa nei confronti d’appartenenti ad etnie diverse deve anzitutto tener conto che la creazione e lo sviluppo di conoscenze assume un rilievo fondamentale e che un confronto critico tra le variegate posizioni culturali potrà risultare davvero fecondo dando vita ad una dinamica educativa che introduca le persone nella realtà e nel suo significato.

E’ noto come i sistemi economico-sociali non siano più connotati dall’acquisizione e trasformazione di materie prime quanto piuttosto dalle competenze, le abilità e l’intelligenza delle persone. La capacità di “metabolizzare”i principi di questa nuova “economia della conoscenza”ed usare le lenti della complessità per rappresentare anche importanti differenze possono divenire condizione per il successo.

Conoscenze di tipo tecnico-scientifico s’intrecciano con quelle di tipo economico ed “umanistico”. Frequentemente l’azienda è identificata da un vero e proprio patrimonio di risorse, interne ed esterne, molto variegate, in cui le correnti immigratorie ed in generale le eterogeneità si rivelano fattori “critici”.

Le persone che apportano specificità possono costituire forti risorse per lo sviluppo in quanto fonte non solo di competenze tecniche e professionali ma anche di senso comune, saperi, conoscenze, punti di vista. Esse rappresentano un fondamentale strumento sia per la raccolta d’informazioni nel mercato e nell’ambiente di provenienza, sia per l’elaborazione di processi decisionali “ricchi” e consapevoli.

Non dimenticando come l’informazione asimmetrica rappresenti, come afferma Stiglitz, la chiave di volta dell’economia moderna.

Se il protagonista del diciannovesimo secolo è stato l’imprenditore, quello del ventesimo il professional manager, nel futuro si affermerà verosimilmente la figura del “leader consapevole” che penserà ed opererà tenendo conto di varie prospettive e sensibilità: da quella economica a quella etica, da quella ecologica a quella estetica, talvolta vero e proprio “regista” dell’entusiasmo.

Perché la globalizzazione, fenomeno con aspetti socio-economici e culturali ma soprattutto categoria mentale, che combina la diversità dei luoghi, delle lingue, delle culture, non produca esiti negativi, sul piano economico oltre che sociale, occorre che alla progressiva “mondializzazione” corrisponda una cultura “globale” attenta anche ai bisogni dei più deboli, capace di coniugare sviluppo con solidarietà e sussidiarietà, sviluppare adeguati codici di responsabilità, generare leader capaci di perseguirli regolarmente.

La nozione di solidarietà richiama la coscienza di partecipare agli obblighi di una comunità variegata condividendone le necessità, dando vita ad  organizzazioni sociali fondate sul collegamento e la collaborazione . La solidarietà, prima di tradursi in gesti concreti, deve essere atteggiamento interiore, presupponendo il riconoscimento della stessa dignità per ogni persona.

ùConsiste nella cognizione dell’appartenenza ad una comunità in cui vi sia una sostanziale convergenza di interessi, idee, sentimenti. Si definiscono come una serie di cerchi concentrici: dalle aggregazioni più ristrette a quelle più ampie. Infatti, così come c’è solidarietà all’interno della famiglia, dovrebbe esserci all’interno delle istituzioni, nella direzione di una “global governance” sensibile alle aspettative ed ai bisogni dell’intera società, indispensabile per affrontare correttamente le sfide tecnologiche e dimensionali.

Vi è interazione tra aspetti materiali, spirituali, individuali, sociali, che trovano sintesi in una sinergia cooperativa che consente uno sviluppo sostenibile  attento alle problematiche economiche, sociali, ambientali e ad un corretto pluralismo, pragmaticamente sensibile alle specificità: una teoria che sta affiancando in modo irreversibile l’impostazione tradizionale del valore per gli azionisti.

Ogni persona, a qualunque livello della scala gerarchica, è realmente o potenzialmente un “formatore”, pure ricordando che i progressi ottenuti per mezzo degli ammaestramenti sono lenti. Quelli invece che si ottengono con gli esempi concreti risultano più immediati, efficaci, duraturi.ì

E’ condivisibile l’affermazione che misurare tutto ciò che può essere facilmente misurato “funziona entro certi limiti”; tralasciare ciò che non è facilmente misurabile e assegnargli un valore arbitrario è artificioso e sicuramente fuorviante; pensare che quanto non può essere facilmente misurato non è importante è cecità. Ma sarebbe estremamente pericoloso ritenere che tutto ciò che non può essere misurato, come alcune specificità, non  esiste: potrebbe essere pregiudizievole per le stesse condizioni di esistenza del sistema.

Occorre ripensare il circuito dell’economia aziendale stimolando la riflessione sull’impegno etico per sviluppare l’economicità. Se il profitto è vitale per l’equilibrio aziendale, è fondamentale che l’utile venga realizzato in modo corretto, rispettando i principi etici. In caso contrario l’azienda sarà “punita”. E’ opinione condivisa da molti manager che nell’arco di pochi anni la maggior parte delle aziende conterà un direttore etico che, tra i suoi compiti, avrà quelli di “gestire” il personale nei multiformi aspetti, anche innovativi.

Il dibattito futuro in campo organizzativo riguarderà verosimilmente l’etica e la moralità più che le tecnologie. Dunque le risorse umane si presenteranno come custodi etici, vera e propria “bussola morale” (Etzioni,1988). Come “precedere” il futuro? L’unico modo è cercare di “inventarlo”, con intelligenza e capacità di adattamento, agendo con anticipo in modo “proattivo”.

La gestione delle risorse umane pone ogni organizzazione di fronte ad alcuni grandi problemi, la cui soluzione condizionerà profondamente la capacità di raggiungere e mantenere il successo.

Una sfida significativa riguarda la scelta dei lavoratori, nei confronti dei quali sarà opportuno realizzare una sorta di “personalizzazione di massa”, analogamente al mercato dei beni e dei servizi. Ciò in quanto il lavoratore esprimerà crescenti aspettative in ordine al luogo di lavoro, alle modalità della carriera, dello svolgimento e dei tempi delle prestazioni, ai sistemi premianti.

La scelta deve avvenire all’interno di un’ampie relazioni interpersonali, favorita dall’organizzazione. Anche mediante questa chiave di lettura si comprende come la realtà divenga sempre meno “prevedibile” e più complessa, ciò che impone uno sforzo adeguato per cercare di comprenderne i significati e dar vita ad una sostanziale”filosofia” del cambiamento.

L’azienda moderna si caratterizza ormai come sistema di risorse e di obiettivi piuttosto che di stabilimenti. Chi lavora non può più cercare la sicurezza nel “posto” bensì nella propria “impiegabilità” legata alla capacità e alle competenze in continuo processo di aggiornamento auto orientate.

Dunque il fattore critico per la creazione del valore si conferma costituito dalle persone, ciò che configura nell’azienda ma anche in ogni organizzazione una rivoluzione di portata assimilabile a quella industriale. Si comprende dunque perché strategie, comportamenti, visioni soggettive siano costantemente collegati, innovando rispetto ad obsoleti approcci tradizionali.

L’ideale del servizio può aiutare ogni persona, non importa il suo livello gerarchico nella combinazione aziendale, a dare senso alle proprie attività, umane e professionali, nel non facile ma entusiasmante sforzo di coniugare gli aspetti materiali ed economici con quelli etici e spirituali, esercitare un lavoro o una qualsiasi professione in termini d’autentico servizio. Mediante il lavoro l’uomo non solo trasforma la natura adattandola alle proprie necessità ma anche realizza se stesso ed anzi, in un certo senso, diventa più uomo.

Perché ci sia morale occorre anche uno slancio interiore, una emozione, una passione che ci porti al di là di noi stessi, al di là dell’egoismo. E l’uomo scopre – prima o poi – che il desiderio del bene altrui, della felicità degli altri , sono la fonte più generosa della propria felicità.

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