di mons. Luigi Negri
C’è una icona che sembra esprimere in maniera significativa gli intendimenti di buona parte della ecclesiasticità. È l’icona del Cortile dei gentili. Iniziative di questo tipo pullulano nella Chiesa italiana: dalle cattedrali fino alle più diverse istituzioni ecclesiali e culturali.
Mi chiedo: questa volontà di dialogo e di confronto con chi, per scelta, appartiene a orizzonti culturali diversi da quelli della fede nasce da una volontà di evangelizzazione e si conclude in una esplicita richiesta di conversione al mistero di Cristo e della Chiesa o no?
Non mi sembra sempre chiaro. Il Cortile dei gentili è stato emblematizzato in maniera insuperabile dall’intervento di san Paolo all’Areopago di Atene (cfrAt 17). È del tutto evidente che san Paolo vuole annunziare al mondo pagano l’assoluta novità dell’evento di Cristo: «Quello che voi adorate senza conoscere, io ve lo porto».
Questo esplicito annunzio di Cristo consente a san Paolo di penetrare nella profondità della cultura greca, costituita da una inesorabile domanda religiosa e conseguente-mente dalla coscienza della presenza di un mistero che trascende l’esistenza e la storia. A questa domanda profonda e radicale che anima la cultura e la civiltà greco-romana solo la presenza di Cristo è risposta definitiva, nella concretezza e storicità della sua risurrezione.
Per questo il discorso conclude con una esplicita richiesta di conversione, che è la ragione del non successo della predicazione paolina ad Atene. Dialogare non vuoi dire cercare di immedesimarsi il più possibile con la cultura dell’interlocutore, lasciando implicito l’evento di Cristo e il dovere per noi di annunziarlo, in qualsiasi condizione.
Paolo non ha concluso la sua predicazione dicendo: «Cari amici ateniesi, sul senso religioso siamo d’accordo», ha invece affermato in modo esplicito che solo Cristo redime e compie il senso religioso dell’uomo.
Insieme ai cosiddetti Cortili dei gentili sta fiorendo una letteratura: libri scritti a quattro mani da ecclesiastici e da miscredenti, che rivisitano spesso i nodi centrali del dogma cattolico o i momenti fondamentali della storia della Chiesa. Mi confidava un eminentissimo in questi mesi: alla fine della lettura di questi volumi si capisce che l’ecclesiastico è andato molto avanti nel tentativo di assumere la posizione laica, ma il laico non si è spostato di un centimetro dalle posizioni di partenza.
Il popolo cristiano ci chiede di essere educato nella certezza critica della fede e nel desiderio di una testimonianza limpida e forte di fronte al mondo, veicolo di quella nuova evangelizzazione che il beato Giovanni Paolo II ha consegnato alla Chiesa del Terzo millennio come compito ineludibile.
Dialogo sì, incontro si, valorizzazione reciproca sì, ma come espressione di quella identità cristiana forte, perché resa consapevole in un cammino educativo reale che apre l’intelligenza e il cuore al mistero di Cristo e che contemporaneamente mette sulla strada dell’uomo, di ogni uomo, con una grande capacità di immedesimarsi nella struttura fondamentale della sua vita e della sua cultura. Se tutto questo lavoro di incontro e di dialogo con chi non crede rende sempre meno chiara l’identità della Chiesa e la sua missione, c’è da chiedersi se tutti questi tentativi siano obiettivamente utili.
Per questo io non vorrei che dimenticassimo un’altra grande icona, espressiva della vita della Chiesa di oggi. Una prestigiosa e intelligente rivista da più di quarant’anni contiene una rubrica I Colossei del XX– ed ora XXI – secolo. Lungo tutto il XX secolo e in questi decenni del XXI secolo, migliaia di cristiani sono stati e sono martirizzati per la loro fedeltà a Cristo e alla Chiesa.
Il martirio è la grande ricchezza della Chiesa, in ogni generazione, perché ricorda a tutti noi che la testimonianza cristiana contraddice il mondo e le sue regole, non può accettare di adorare gli idoli del tempo, perché solo Cristo è il Signore della vita e della morte.
Lo penso spesso, quando rivisito con commozione e gratitudine la splendida testimonianza del seminarista Rolando Rivi, massacrato in odio a Cristo e alla Chiesa in uno dei punti più tragici della nostra storia nazionale. Bisogna tener presenti contemporaneamente le due icone: la Chiesa del dialogo non può dimenticare la Chiesa del martirio, e la Chiesa del martirio è fonte adeguata e positiva di qualsiasi tentativo di dialogo e di confronto.