In tutta Italia si moltiplicano gli appuntamenti per gli appassionati delle rievocazioni in costume Celti e cavalieri medievali fanno la parte del leone, ma spuntano anche interi villaggi neolitici.
di Marco Respinti
Non è certo una novità. Il fenomeno esiste da decenni. All’estero ci sono delle vere e proprie istituzioni: la rievocazione della terribile battaglia di Gettysburg, del 1863, oppure (mica solo gli americani fanno le cose in grande) il fantastico Puy de Fou di Les Epesses, in Francia, dove rivivono più di mille anni di storia, dai Romani ai Franchi Salii di Clodoveo, dalle invasioni vichinghe lungo la Loira ai moschettieri, su su fino all’insurrezione della Vandea durante la Rivoluzione Francese. Ma la notizia vera è che anche l’Italia realizza prodotti eccellenti.
Diverso e talora opposto all’ucronia (il non-luogo dove tutto è possibile), il divertimento del reenactmen tpossiede anche un alto livello di serietà. La living historyè infatti un laboratorio animato dove lo storico può sperimentare tenendo i piedi ben ancorati al suolo, immaginare senza farsi surreale e soprattutto provare, sondare e verificare ipotesi. Per il relativismo contemporaneo, lo studio della storia è afono poiché basato su verità soggettive, interpretative, ma la sua confutazione è proprio il reenactment.
Perché l’esperimento ricostruttivo vale per la storia come per le scienze esatte, vale quel metodo galileiano che garantisce alle ipotesi il sigillo della verità dei fatti attraverso la constatazione empirica dell’esistenza dell’oggetto studiato, la sua osservazione descrittiva diretta e la ripetizione per via sintetica di esso un numero di volte congruo all’accertamento.
Ci sono accademici che, onde capire come le legioni romane potessero costruire quei capolavori ingegneristici con cui conquistarono l’Europa, il fine settimana s’infilano elmo, corazza e caligae e provano a costruire strade e ponti con le stesse tecniche, gli stessi materiali e gli stessi tempi dei nostri antenati. Il pubblico assiepato tutt’attorno impara senza saperlo e si diverte con semplicità.
Il reenactment, infatti, è un mondo parallelo, ma non inesistente cha spazia dal più sofisticato atelier specialistico en plein air alla ricreazione alla portata di tutti. Il segreto del suo successo crescente è l’alchimia perfetta che sa raggiungere: la cura filologica d’indumenti, armi, vettovaglie, monete e monili sapientemente miscelata alla ricreazione ludica più pura.
Da noi spopolano il celtico e il medioevale. La Compagnia del Cardo e del Brugo di Milano
li realizza entrambi, primeggiando nell’attenzione ai particolari, e così fanno i varesotti di Sagitta Barbarica e quelli della Compagnia del Corvo di Selene, arcieri provetti.
Altra ambientazione affascinante è quella garantita dalla Legio I Italica di Villadose (Rovigo) o, saltando più avanti nel tempo, quella assicurata dai Cavalieri del Fiume Azzurro, che a Lonate Pozzolo (Varese) rievocano la Battaglia di Tornavento del 1636 fra truppe franco-sabaude e spagnoli. Il reenactment seicentesco è raro, e il gruppo Tercio de Saboya, che impersona gli iberici, conferisce il tocco magico. Una bella novità è poi la riproposizione della vita neolitica proposta dal Parco archeologico di Travo (Piacenza), sede di veri ritrovamenti preistorici.
I confini del reenactment sono le feste patronali e i vari pali (decine oltre a quello, arcinoto, di Siena), diffusissimi in Toscana e in Umbria. Imperdibili sono quello di Città della Pieve, la capitale dello zafferano in provincia di Perugia, e quello di Arezzo (anche a Milano se n’è celebrato uno al Castello Sforzesco, con amazzoni bellissime e tiratori d’arco degni di attenzione, ma purtroppo se ne sono perse le tracce: il calendario completo delle manifestazioni, comunque, si trova su http://www.rievocazioni.net/).
I puristi storcono il naso, ma è mero snobismo. Escogitare modi per non lasciare che il passato, il nostro, ci scivoli addosso; capire come i nostri avi facessero una cosa e perché non ne fecero un’altra; comprendere come, nel bene o nel male, siamo giunti tutti sino a qui è meritorio, sempre.
E la spettacolarizzazione non guasta mai. Soprattutto se è stratagemma dalle virtù mnemoniche. Altrimenti si finisce per ridurre la storia alla Champions League dei parrucconi. In una scuola pubblica elementare di una zona decentrata a Milano si è appena svolta una domenica al campo, medioevale.
Brandendo una spada, indossando una cotta metallica, filando la lana o scottando una tortiglia povera (ma ai palati dei piccoli cavalieri cimentatisi a impastarla e a cuocerla più succulenta di mille manicaretti), si è fatta più didattica ed educazione in un pomeriggio che in interi cicli scolastici. E pensare che c’è ancora qualche amministrazione locale o zonale che, vuoi per un’ideologia più vecchia dei Neanderthal, vuoi per microcefalia conclamata, nega patrocini o spazi al reenactment giacché «guerrafondaio», forse un po’ fascio, sotto sotto leghista.