Tempi 28 luglio 2021
Una delle più laceranti contrapposizioni che si è manifestata è quella che riguarda il diritto di libertà e il diritto alla salute
di Aldo Vitale
Con l’avvento della pandemia, come hanno rilevato autorevoli costituzionalisti di diverso orientamento, sono stati sovvertiti alcuni principi giuridici fondamentali come l’ordine delle fonti, il principio di legalità, la piena tutela di diritti e libertà costituzionali provvisoriamente compressi e limitati e così via.
Una delle più laceranti contrapposizioni che si è manifestata – oltre quella tra sinistra chiusurista e destra aperturista, tra no-vax e pro-vax, tra virologi e politici – è quella che riguarda il diritto di libertà e il diritto alla salute, essendosi trovati questi due diritti fondamentali in contrasto l’un con l’altro così che pare che per essere in salute non si possa essere liberi o che per essere liberi si possa rischiare il proprio e l’altrui stato di salute.
Ma è proprio così?
Evidentemente no, poiché non si può essere realmente liberi se non si è anche in salute e non si può essere davvero in salute se non si è anche liberi.
Una situazione precaria
Occorre, però, comprendere il perché di questa intima relazione esistente tra salute e libertà che riflette, in buona sostanza, il rapporto tra materia e forma, tra corpo e anima, tra lettera e spirito.
Posto che la libertà assoluta, cioè senza limiti, non esiste e che se esistesse sarebbe l’esatto contrario della libertà, cioè il puro arbitrio (nel senso di capriccio), occorre anche precisare che anche il concetto di salute è da ricondurre nell’alveo di quella costitutiva precarietà tipica dell’umano, così che la salute è tanto difficile da misurare quanto da garantire in modo pieno e totale.
Chiarita la relatività specifica – non in base ad banale schema di consunto relativismo, ma in base alla loro connaturata instabilità – dei concetti di libertà e salute, occorre altresì ricordare che la malattia comporta sempre un certo grado di mancanza di indipendenza – non già di libertà – perché non soltanto tende ad isolare esistenzialmente il malato (come si evince dalla tragedia greca di Sofocle Filottete), ma spinge quest’ultimo all’interdipendenza soggettiva con gli altri che lo circondano, per avere appunto assistenza medica, pratica, psicologica
. Contesto sociale
La libertà, per parte sua, è del resto sempre precaria, proprio perché può sempre essere perduta: giuridicamente in seguito alla condanna ad una pena detentiva; socialmente in seguito alla sclerotizzazione delle dinamiche sociali; politicamente in seguito all’avvento di un regime totalitario; psicologicamente in seguito all’assoggettamento ad eventuali dipendenze (per esempio la ludopatia); esistenzialmente in seguito allo smarrimento del senso della vita e dell’umano.
Anche la libertà, del resto, proprio come la salute si può sperimentare soltanto in un contesto sociale, quindi non isolandosi dagli altri, ma soltanto con gli altri esistendo e co-esistendo.
Falsa libertà e falsa salute
Tuttavia, proprio perché sia la salute che la libertà esprimono in egual misura la caducità ontologica dell’essere umano non soltanto sono assurte a categoria giuridica autonoma condensandosi addirittura nella essenzialità del nucleo dei diritti fondamentali – cioè appunto quelli che fanno da supporto a tutto il resto della struttura sociale della civile convivenza –, ma devono necessariamente essere tutelate in modo paritario proprio per evitare di ledere la fragilità umana di cui sono espressione.
Ecco perché una libertà rivendicata contro il diritto alla salute – come per esempio sostenuto da chi si batte per la legalizzazione della morte assistita – è una falsa libertà, ed ecco perché un diritto alla salute rivendicato contro la libertà – come per esempio l’interruzione volontaria di gravidanza – è un falso diritto alla salute.
L’umano nella sua integralità
Un ordinamento di uno Stato di diritto, dunque, non può permettersi di porre in scontro la libertà e la salute, come fossero cavalieri in giostra l’un contro l’altro armati, senza rischiare di disconoscere la natura degli stessi e della stessa dimensione assiologica del diritto in quanto tale inteso.
Tutelare l’uno e non l’altro, o comprimere l’uno per garantire l’altro, significherebbe tutelare soltanto una parte dell’umano, cioè negare o respingere l’umano nella sua integralità.
L’alternativa, dunque, che è emersa con maggiore eminenza durante la pandemia del Covid, cioè se essere liberi, ma malati o sani, ma non liberi, dimostra non già l’inevitabilità del problema, ma la sua errata soluzione non solo per una forma di anemia teoretica ampiamente diffusa specialmente nel mondo scientifico, ma anche e soprattutto a causa di uno strabismo etico che si rifiuta di intendere l’interezza della persona preferendo scomporla nelle sue singole dimensioni.