don Claudio Crescimano
Chi di noi non è mai stato “vittima” o almeno spettatore di due gentili ma insistenti signori o signore, che in qualche ora inopportuna del fine settimana suonano al campanello e con fare premuroso e insinuante entrano nelle nostre case, apparentemente interessati ai problemi della nostra vita, ma in realtà per proporre un’altra Bibbia, un’altra religione, un altro dio?
Per raggiungere il loro scopo, si servono di una “bibbia” che in realtà non è affatto tale: non si tratta infatti di una traduzione fra le altre, più o meno fedele, dell’unico vero Testo sacro biblico, ma di una manipolazione a tutto campo che ha prodotto un libro che poco o nulla ha a che fare con la Bibbia che leggono i cattolici, ma anche gli ortodossi e i protestanti! In queste pagine presenteremo i temi essenziali della loro dottrina e ne mostreremo la falsità, evidenziando la manipolazione compiuta sul testo biblico con cui supportano i loro errori.
IL VERO NOME DI DIO
Secondo i TdG, Dio ha un nome proprio, Geova appunto, che i cristiani hanno per secoli occultato, segno del loro tradimento verso la vera religione.
In realtà, il termine “Geova” è il prodotto dell’incontro tra le consonanti della parola Jahvè, forma arcaica del verbo essere in ebraico – il nome di Dio rivelato a Mosè -, e le vocali della parola Adonai cioè l’appellativo “Signore” che gli ebrei pronunciavano durante la lettura della Bibbia come sostitutivo ogni volta che incontravano Jahvè, nome sacro da non pronunciarsi.
La commistione tra i due termini e la conseguente nascita dell’ibrido e insensato “geova” avviene in epoca rinascimentale a causa di un’errata interpretazione del testo ebraico della Bibbia, che fino al XIV secolo era letta solo in greco o latino, ma che gli umanisti, secondo la moda del momento, volevano studiare nella versione originale.
Infatti, il testo ebraico, inizialmente scritto con le sole consonanti, fu nel primo secolo d.C. completato con la scrittura delle vocali, consistenti in trattini e punti disposti sotto le consonanti, per facilitare la lettura agli ebrei della diaspora, ormai incerti sulla pronuncia della lingua dei padri.
I compilatori della versione vocalizzata trovandosi davanti al sacro “tetragramma”, cioè alle quattro consonati del nome di Dio (JHWH), non avevano la necessità di porvi sotto le vocali corrispondenti, poiché la pronuncia era a tutti nota, ma preferirono invece ricordare al lettore eventualmente distratto il comando di leggere il termine sostitutivo “Signore”, e per questo ritennero di adottare questo stratagemma, cioè porre sotto le consonanti di Jahvè non le sue vocali, ma le vocali di Adonai (Signore).
Gli eruditi rinascimentali, all’oscuro di questo procedimento, fraintesero, e combinarono – come dicevamo – le consonanti dell’una con le vocali dell’altra! L’equivoco durò fino alla fine del XIX secolo, quando gli studiosi si resero conto della cosa e ripristinarono la giusta pronuncia.
Nel frattempo, però, i TdG avevano già fatto di questa parola insensata la loro bandiera. Questa immotivata battaglia per il nome di Dio, per giunta falso, ha fatto dimenticare ai TdG che il vero nome di Dio ce lo ha insegnato il nostro unico Maestro, Gesù, che ci ha detto di rivolgersi al nostro Creatore e Signore chiamandolo Padre!
UNO NELL’ESSERE E TRINO NELLE PERSONE
Secondo i TdG, II Padre è l’unico Dio e non vi è una trinità di Persone, poiché il Figlio è una creatura e lo Spirito Santo è un attributo di Dio.
In realtà, il mistero trinitario è adombrato nell’Antico Testamento e pienamente rivelato nel Nuovo: il Creatore del mondo che all’alba del tempo ha dato vita alle sue creature dicendo al plurale: «Facciamo l’uomo a nostra immagine…» (Gn 1,26), e ha fatto visita al patriarca Abramo in forma di tre angeli (Gn 18,1-3), si rivela nella pienezza dei tempi come Padre e Figlio e Spirito (tre Persone) che sussistono come un unico Nome (essenza) nel quale devono essere battezzati i futuri credenti (Mt 28,19); i Tre che sono l’unico Dio sono la famiglia di ogni credente: «La grazia del Signore nostro Gesù Cristo, l’amore di Dio Padre e la comunione dello Spirito Santo, sia con tutti voi» (2 Cori3,13).
Secondo i TdG, il dogma trinitario è un residuo di paganesimo, assurdo e irrazionale.
In realtà, non è contro la ragione, ma, piuttosto, è superiore ad essa: è un mistero soprannaturale in senso stretto! Spieghiamo (e non solo per i TdG ma per i positivisti di ogni genere…). Secondo l’assioma classico, si definisce “contro ragione” ciò che nega il principio detto appunto di non-contraddizione: una cosa non può essere se stessa e il suo contrario nello stesso tempo e sotto lo stesso aspetto. Ad esempio: una cosa non può essere contemporaneamente vera e falsa, bianca e colorata, viva e morta.
Nel nostro caso sarebbe contraddittorio affermare che Dio è “una Persona” e “tre Persone”; ma la fede cattolica non insegna questo; insegna che Dio è uno nell’Essenza e trino nelle Persone, cioè che è, sì, due cose opposte (unità e molteplicità) ma sotto due aspetti diversi: dunque, non è contro la ragione perché non viola il principio di non-contraddizione, ma supera la ragione, cioè è un mistero soprannaturale, poiché un’intelligenza creata non può capire come queste due caratteristiche possano costituire l’Essere divino.
IL VERBO SI E’ FATTO CARNE
Secondo i TdG, il Figlio di Dio è la prima delle creature e risiedeva nei cieli col nome di Michele, l’arcangelo; poi per salvare gli uomini si è fatto uomo nel grembo di Maria diventando Gesù di Nazareth.
In realtà, i vangeli mostrano chiaramente che Gesù è vero Dio e vero Uomo nell’unità di una sola Persona: infatti, i sacri Testi parlano di Lui alle volte sottolineando la sua divinità e altre volte sottolineando la sua umanità, e solo mettendoli insieme, comprendendoli insieme, abbiamo una visione completa e quindi vera, non mutilata, di chi sia il Figlio di Dio fatto uomo.
Ecco alcuni passi che indicano Gesù vero Dio
– nel prologo al suo vangelo, san Giovanni proclama che il Verbo è fin da principio presso Dio ed è Dio (in greco Theos = Dio e non theios = divino, come invece compare nella pseudo bibbia geovista);
– all’apostolo Filippo che gli chiedeva: «Mostraci il Padre», Gesù risponde: «lo e il Padre siamo una cosa sola! Chi vede me vede il Padre … io sono nel Padre e il Padre è in me» (Gv 14,8-10);
– annunciando la sua passione imminente, Gesù dice: «Quando avrete innalzato (sulla croce) il Figlio dell’uomo, allora saprete che lo Sono» (Gv 8,28), usando una formula che contiene il nome veterotestamentario di Dio (quello vero!) – Jahvè – che possiamo tradurre lo Sono Colui che Sono (Gn 3,14);
– prima di incarnarsi ed esistere come uomo in questo mondo, Gesù preesisteva nell’eternità, come ha detto nel congedarsi dai discepoli: «Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio il mondo e torno al Padre» (Gv 16,28); infatti va a riprendere «quella gloria che aveva presso il Padre prima che il mondo fosse» (Gv 17,5);
– Gesù “corregge” i precetti dell’Antica Alleanza («Avete inteso che fu detto agli antichi… ma io vi dico…», Mt 5,21.27.33.38.43) e ne da uno nuovo (Gv 13,34); ma noi sappiamo che i precetti furono dati agli antichi da Dio stesso per mezzo di Mosè: dunque cambiandoli e integrandoli, Gesù si fa uguale al Padre;
– si considera padrone del sabato, cioè non vincolato al riposo festivo, e quindi come il Padre suo opera sempre, anche lui può operare sempre (Gv 5,17);
– i nemici di Gesù hanno ben capito chi lui ritiene di essere e per questo non possono che condannarlo come bestemmiatore, perché lo considerano un semplice uomo che presume empiamente di essere Dio (ad esempio Gv 10,33; Le 22,70);
– nelle Lettere di san Paolo in particolare, Gesù è sempre chiamato «Signore» (in greco Kyrios) che è il titolo dato a Jahvè nella versione greca dell’Antico Testamento, e che san Paolo utilizza ugualmente per la Prima e la seconda Persona della Trinità (ad es. Fil 2,9; Ef 1,20; Rom 10,9; 1 Cor 2,16);
– nella Lettera ai Romani, l’Apostolo definisce Cristo come colui che è «sopra ogni cosa, il Dio benedetto nei secoli! (9,5);
– nella Prima Lettera ai Corinzi, chiamai Padre «unico Dio dal quale tutto proviene» e chiama il Figlio «unico Signore dalla cui potenza tutto esiste» (8,6) stabilendo così un’equivalenza di terminologia e di contenuto;
– nella Lettera ai Filippesi, san Paolo dice che Gesù Cristo è «di natura divina», e ne proclama «l’uguaglianza con Dio» (2,6);
– nella Lettera ai Colossesi, definisce Cristo «immagine del Dio invisibile» e dichiara che è stato «generato prima di qualunque creatura», (1,15) ponendolo così fuori dal numero di esse; e poco dopo afferma che in Cristo «abita in forma umana tutta la pienezza della natura divina» (2,9).
Accanto a questi, ci sono i passi nei quali si afferma la vera umanità di Gesù, e che, così intesi, non possono più essere interpretati in maniera unilaterale come fanno strumentalmente i TdG.
LO SPIRITO CHE È SIGNORE E DA LA VITA
Secondo i TdG, lo Spirito Santo non è una Persona, ma una proprietà di Dio, la sua “forza attiva”. In realtà, già la precedente dimostrazione della divinità del Figlio fatto uomo porta con sé la verità del dogma trinitario e questa a sua volta porta con sé la dimostrazione dell’esistenza della terza divina Persona. Non serve dunque soffermarci ulteriormente, se non per ricordare come i vangeli parlino della venuta dello Spirito come di Colui che si incarica di completare ed estendere l’opera del Verbo incarnato: dunque, dopo il Dio fatto uomo che ha redento il mondo, viene il Dio Spirito che santifica il mondo.
Infine, se lo Spirito non fosse la terza persona della Trinità, il già citato brano conclusivo del vangelo di san Matteo si dovrebbe assurdamente tradurre: Andate e istruite tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e della forza attiva del Padre!
L’IMMORTALITÀ DELL’ANIMA E LA VITA ETERNA
Riguardo alla natura dell’uomo e al suo destino dopo la morte, i TdG si trovano nella singolare condizione di una piena sintonia con i più agguerriti materialisti! Affrontiamo il tema che più ci sta a cuore: l’immensa dignità dell’essere umano che, dotato di un’anima spirituale e quindi immortale, è chiamato ad una vita che è per sempre; la prerogativa, drammatica ed esaltante ad un tempo, della libertà umana, che rende decisiva la nostra scelta di vita, per il presente e per il futuro. Il geovismo nega tutto questo: l’uomo è solo la materia di cui è fatto (sic!) e con la morte del corpo egli muore totalmente; solo una porzione infinitesimale dell’umanità usufruisce della risurrezione e ha parte al regno eterno e celeste di Cristo, uomini scelti arbitrariamente da Lui e già prestabiliti; gli altri geovisti attendono un paradiso di “serie B” qui in terra e il resto dell’umanità è semplicemente annientato, per sempre.
Ecco le stravaganti dottrine antropologiche (= sull’uomo) ed escatologiche (= sull’aldilà) del geovismo, che la Società Torre di Guardia proclama essere fondate sulla Bibbia, ma che in realtà sono l’esatto contrario dell’insegnamento della divina Rivelazione.
UOMO: ANIMA E CORPO
Secondo i TdG, la Bibbia definisce “anima vivente” sia l’uomo (Gn 2,7) sia l’animale (Gn 1,20): dunque l’uomo è identico agli animali, non c’è un’anima distinta dal corpo.
In realtà, la parola “anima”, in queste citazioni, come risulta chiaramente dal contesto, significa “essere vivente”, quindi i geovisti fanno la sensazionale scoperta che l’uomo e gli animali, secondo la Bibbia, sono tutti esseri viventi! Ma è evidente che è così! Ma come si fa a concludere da questo che l’uomo è uguale all’animale, cioè privo di un’anima spirituale? I geovisti possono fare questo perché tralasciano molto opportunamente di leggere il resto…
Il racconto del Genesi, infatti, mette in evidenza che nella creazione dell’uomo, a differenza di quella degli animali, si parla di due distinti elementi: il corpo, indubbiamente materiale perché tratto dalla terra; e l’anima, indubbiamente spirituale per due motivi: perché infusa da Dio, Essere spirituale, che a motivo di questa infusione può dire che l’uomo è fatto a «propria immagine e somiglianza» (Gn 1,26); e perché infusa nel corpo, dunque distinta da esso: ma se è distinta dal corpo eppure è unita ad esso, non può essere materiale, e quindi può solo essere spirituale.
Secondo i TdG, con la morte finisce tutto l’uomo, poiché in lui non c’è alcuna anima immortale; dunque al momento della morte avviene un vero e proprio annientamento dell’essere umano. In realtà, la Bibbia dice tutt’altro! Fin dagli inizi della Rivelazione, Dio mostra di aver creato l’uomo per chiamarlo ad una piena e definitiva comunione con sé.
Nell’Antico Testamento Dio rivela gradualmente il destino immortale dell’uomo, con una pedagogica, progressiva chiarezza che raggiunge il suo culmine nel Libro della Sapienza (che naturalmente i TdG rifiutano). Questa rivelazione viene poi definitivamente esplicitata dagli insegnamenti del Signore Gesù che svela pienamente all’uomo la grandezza della sua vocazione. Ecco alcuni passi dell’Antico Testamento che ci mostrano la fede biblica nella sopravvivenza dell’anima dopo la fine del corpo:
– la morte dei patriarchi viene così descritta dal Libro della Genesi: «Abramo morì, carico di giorni, e fu riunito ai suoi antenati…» (25,8); «Poi Isacco spirò, morì e fu riunito ai suoi antenati…» (35,29); e Giacobbe così preannuncia la sua fine: «lo sto per essere riunito ai miei antenati» (49,29);
– nel primo Libro di Samuele si racconta che il re Saul incerto sugli esiti di una battaglia, contravvenendo alla legge d’Israele, chiede a una negromante di evocare l’anima del profeta Samuele, il quale apparendo a Saul lo rimprovera: «Perché mi hai disturbato e costretto a ritornare?» e dopo aver preannunciato la disfatta, aggiunge: «domani tu e i tuoi figli sarete con me» 1 (28,15-19);
– il profeta Isaia così descrive il passaggio all’aldilà del re di Babilonia, stroncato dal castigo di Dio: «Gli inferi che sono sotto di noi si agitano per te, per venirti incontro al tuo arrivo; per te essi svegliano le ombre dei dominatori della terra… prenderanno la parola per dirti: anche tu sei morto, come noi, ora sei diventato uguale a noi…» (Is 14,9-10);
– nel Libro della Sapienza si fa l’elogio dei giusti che muoiono nel Signore: «Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio, nessun tormento le toccherà. Agli occhi degli stolti parvero annientati, la loro fine fu ritenuta una sciagura, la loro partenza da noi una rovina, ma essi sono nella pace. Anche se agli occhi degli uomini subiscono castighi, la loro speranza è piena di immortalità. Per una breve pena riceveranno grandi benefici» (3,1-5).
Ora traiamo dal Vangelo le parole di Gesù stesso, per alcuni esempi sul tema che ci interessa:
– «Non temete coloro che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l’anima; temete piuttosto colui che può distruggere sia il corpo che l’anima nella Geenna» (Mt 10,28). Come si può ben vedere, il Signore Gesù mette in guardia i suoi discepoli dalle insidie di Satana, riprendendo la dualità corpo-anima che già abbiamo visto nel Libro della Genesi; di fronte a questo esplicito insegnamento di Gesù, il Corpo direttivo geovista ricorre a una stravagante manomissione del testo: “In questo caso la parola ‘anima’ viene impiegata come equivalente di ogni diritto alla vita”.
Sicché il significato delle parole di Gesù sarebbe: «non temete coloro che uccidono il corpo, ma non possono togliere il diritto alla vita»; ora è evidente che una volta che uno è morto, anche il suo diritto alla vita è seriamente compromesso… dunque questa versione non è altro che un malriuscito tentativo di arrampicarsi sugli specchi!
– Anche ai tempi di Gesù c’erano strani credenti che negavano l’immortalità dell’anima, si tratta della casta aristocratica dei sadducei. Gesù ha con loro una memorabile disputa, nella quale li rampogna dicendo: «Non avete mai letto nel Libro di Mosè, nell’episodio del roveto, come Dio gli parlò dicendo: lo sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e di Giacobbe? Egli non è un Dio dei morti ma dei viventi!» e conclude con un monito che può essere applicato pari pari ai TdG: «Voi siete in grande errore!» (Me 12,26-27). L’argomentazione di Gesù chiara: se il Dio dei viventi si autodefinisce Dio dei patriarchi, significa che i patriarchi, pur essendo morti secoli prima sono vivi, cioè la loro anima vive.
– Cristo crocifisso promette al ladrone pentito: «In verità ti dico: oggi sarai con me nel Paradiso» (Le 22,43). Il sen so delle parole di Gesù è evidente: stiamo per morire, ma ti assicuro che tra poco ci ritroveremo insieme nell’aldilà.
Non con il corpo, ovviamente, visto che i loro cadaveri saranno deposti dalla croce e poi chiusi in un sepolcro; quindi con l’anima. Ma anche in questo caso, il Corpo direttivo ha escogitato una lettura alternativa: spostano la punteggiatura e traducono «Veramente di dico oggi: tu sarai con me in Paradiso», nel senso che Gesù promette in quel momento al buon ladrone una salvezza che si realizzerà quando nel mondo rinnovato gli darà una nuova vita. Ma in realtà che cosa significa quella frase, dopo la manipolazione geovista?
Essi fanno dire a Gesù: «In verità ti dico che la promessa del Paradiso te la faccio oggi». Ora, ci domandiamo: che bisogno c’era di impegnare un giuramento solenne, in punto di morte, per garantire che la promessa del Paradiso gliela stava facendo davvero, proprio nel momento in cui gliela stava facendo?! È ovvio, il ladrone lo stava ascoltando con le proprie orecchie, quindi lo sapeva che glielo stava dicendo. Quell” “oggi” collocato in quella) posizione è superfluo e insensato.
Infine qualche esempio tratto dalle lettere apostoliche:
– san Paolo ci dice che «finché abitiamo nel corpo siamo in esilio lontano dal Signore… ma siamo pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo e abitare presso il Signore… Tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo per ricevere la ricompensa delle opere compiute finché era nel corpo» (2 Cor 5,6-10); – san Pietro, parlando di Cristo morto e in attesa della risurrezione, dice che «in spirito andò ad annunciare la salvezza anche agli spiriti (= le anime dei giusti morti prima di Cristo) che attendevano in carcere (= gli inferi, cioè il Limbo detto appunto dei patriarchi)» (1 Pt 3,19).
I REGNI ULTRATERRENI
Secondo i TdG, come già abbiamo detto – e confutato -, la morte annienta l’uomo e non esiste l’anima immortale; di conseguenza non esistono “luoghi” ultraterreni che attendono le anime dei defunti. In realtà, il mistero della morte apre all’uomo un orizzonte nuovo e articolato, che ora descriveremo schematicamente:
1) dopo la morte e il giudizio particolare (2 Cor 5,10), l’anima, separata dal corpo, entra o nella salvezza eterna o nella perdizione eterna. Ecco come Gesù spiega la realtà dei regni ultraterreni, mediante il linguaggio simbolico di una parabola: «C’era un uomo ricco, che vestiva di porpora e di bisso… e un mendicante che stava alla sua porta… Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto; stando nell’inferno tra i tormenti, vide di lontano Abramo…» (Lc 16,19 e ss).
2) La salvezza eterna, che Gesù raffigura con l’immagine del «seno di Abramo», è il regno (cioè la condizione di vita ultraterrena) della comunione con Dio e con gli altri salvati, per una beatitudine che è per sempre: è ciò che la Scrittura chiama Cielo, Paradiso, Vita eterna. Ma non sempre l’uomo salvato è pronto per l’unione piena e definitiva con Dio.
Alle volte questo richiede un’adeguata preparazione, che la Tradizione della Chiesa chiama Purgatorio, cioè, appunto, luogo di purificazione, come ci testimonia la sacra Scrittura: nel secondo Libro dei Maccabei (anche questo eliminato dalla Bibbia geovista…) leggiamo che gli uomini di Giuda, avendo scoperto il peccato commesso dai loro compagni, appena morti, raccolsero il denaro per l’offerta di sacrifici espiatori da offrire in loro suffragio.
E l’autore sacro commenta: «Offrirono il sacrificio espiatorio per i morti, perché fossero assolti dal peccato» (2 Mac 12,38 e ss). Così pure san Paolo dice: l’opera di ciascuno sarà manifesta nel giorno del giudizio; se la sua opera sarà bruciata, sarà punito; tuttavia egli si salverà, però come attraverso il fuoco (cf. 1 Cor 3,13 e ss).
3) La dannazione eterna è la condizione di tormento, che il Signore Gesù paragona alla Geenna, cioè la discarica-inceneritore di Gerusalemme; è il luogo di pena eterna dove la “spazzatura” del mondo, cioè gli angeli e gli uomini malvagi (cf. Mt 25,41), subiscono un fuoco inestinguibile (= sofferenza) e vengono divorati da un verme che non muore (= rimorso) (cf. Mc 9,32 e ss). L’inferno, dunque, è una condizione di sofferenza definitiva (Mt 25,46), non è il simbolo dello “stroncamento eterno”, cioè dell’annientamento, come scrivono i geovisti: la parola greca kòlasis non significa affatto annientamento, distruzione, ma significa inequivocabilmente supplizio.
4) Alla fine del mondo (quella vera, non quelle annunciate dai TdG), quando Cristo tornerà come Giudice e Signore della storia, i corpi risorgeranno e si riuniranno alle proprie anime e si compirà quel giudizio generale e definitivo di cui ci parla il Signore nella parabola del giudizio: Riunite davanti a lui tutte le genti, egli separerà gli uni dagli altri come il pastore separa le pecore dai capri, poi dirà ai giusti: Venite benedetti del Padre mio a possedere il regno preparato per voi da sempre; invece dirà ai malvagi: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno! E se ne andranno questi al supplizio eterno e i giusti alla vita eterna (cf. Mt 25,32 e ss).
IL CULTO A MARIA
II culto alla Vergine santissima e ai Santi è I uno dei primi obbiettivi contro cui si scagliano i TdG, dopo aver gettato la maschera di cortesia iniziale: appena si accorgono di aver catturato l’interesse dello sprovveduto ascoltatore e resisi conto di aver messo in crisi la sua posizione superficialmente cattolica squalificando Chiesa e preti, sparano la loro prima cartuccia: “Voi adorate la Madonna, i Santi, le immagini. Ma nella Bibbia Dio reclama solo per se l’adorazione; quindi voi siete idolatri”.
Vediamo, allora, la corretta posizione cattolica, conforme alla Scrittura e alla Tradizione.
MADRE SEMPRE VERGINE DEL FIGLIO DI DIO FATTO UOMO
Secondo i TdG, noi adoriamo la Madonna, facendone così una divinità. In realtà, il culto di adorazione è rivolto solo a Dio, e significa il riconoscimento della sua maestà infinita ed eterna, da cui tutto viene e tutto dipende: è il culto riservato al Creatore e Signore di tutte le cose. Il culto di venerazione invece è rivolto a quelle creature che Dio ha scelto per un ruolo di particolare importanza nella storia della salvezza, e quindi anzitutto e sopra tutti la Madre del Salvatore, e poi gli Apostoli e i Santi dell’Antico Testamento e della storia della Chiesa.
Secondo i TdG, noi diamo troppa importanza al ruolo di Maria nella storia della salvezza.
In realtà, questa importanza straordinaria gliel’ha data Dio! Infatti, è Lui che la sceglie come Madre del Verbo fatto uomo, ed è Lui che la vuole onorata da tutte le creature, sin dall’inizio: Egli invia il suo angelo a salutarla con la più solenne deferenza quale «piena di grazia» e “ricolma di Dio” (Lc 1,28) e ispira ad Elisabetta di riconoscerla quale «Madre del suo Signore» (Lc 1,43). Noi non facciamo che accodarci all’esempio evangelico, noi siamo “le generazioni che la riconoscono beata” (Lc 1,48).
Secondo i TdG, noi attribuiamo a Maria una esenzione dal peccato che è contro la Bibbia, la quale afferma che tutti gli esseri umani sono peccatori (Rom 3,9). In realtà, è vero che tutti gli esseri umani hanno bisogno di essere redenti da Cristo salvatore, ma per la Vergine santissima cambia il modo in cui si realizza questa redenzione: ella – unico caso – è stata redenta dal peccato prima che il male la potesse anche solo sfiorare: ecco perché l’angelo Gabriele la chiama«piena di grazia» (Lc 1,28), cioè ripiena di quella presenza di Dio che è incompatibile con il peccato.
Secondo i TdG, Maria non è la Madre di Dio, ma solo dell’uomo Gesù di Nazareth.
In realtà, questa negazione è l’ovvia conseguenza della negazione della divinità di Cristo, che già abbiamo confutato. Maria è colei che ha concepito e generato la natura umana di una Persona divina e dunque in questo senso è la Madre del Dio fatto uomo.
Secondo i TdG, Maria e Giuseppe ebbero una normale vita coniugale, poiché nel vangelo di san Matteo si legge che “non ebbero rapporti sino a quando ella non partorì il figlio e gli mise nome Gesù” (Mt 1,25), il che sottintende che dopo il parto vissero insieme come normali marito e moglie. In realtà, questo modo di esprimersi, nel linguaggio biblico, serve a specificare ciò che si vuole dire sul “prima” e non sul “dopo”: così, ad esempio in 2 Sam 6,23 troviamo che «Micol, moglie del re Davide, non ebbe figli sino al giorno della sua morte»; ora, è evidente che non può averli avuti da quel momento in poi!
Secondo i TdG, Maria ebbe altri figli dopo Gesù, perché nel vangelo di san Luca si dice che ella «diede alla luce il suo figlio primogenito» (2,7): se Gesù è primogenito, significa che ce ne sono altri dopo di lui; e nel vangelo secondo Marco si parla dei fratelli e delle sorelle di Gesù.
In realtà, il termine “primogenito” ha anzitutto un significato teologico e si riferisce alla dedicazione a Dio del primo frutto del grembo materno di uomini e animali, come è prescritto nel Libri dell’Esodo (13,2) e dei Numeri (18,15)1 da questo significato teologico deriva una valenza giuridica, ed è questa! che sta a cuore all’evangelista. Il termine primogenito non significa, quindi, che ci siano altri dopo di lui, cornei è provato anche da un importante reperto archeologico, una lapide funeraria per una donna, scoperta in un cimitero ebraico, in Egitto, risalente all’anno 5 d.C., quindi praticamente contemporanea all’evento di cui stiamo parlando, nella quale si legge: «La sorte mi condusse a morire nel dare alla luce il mio primogenito».
Quanto ai cosiddetti fratelli di Gesù, basti dire che si tratta genericamente di parenti, e non di figli dei medesimi genitori. Gli evangelisti usano questo termine poiché nel linguaggio ebraico – da cui deriva il greco dei vangeli – un’unica parola serve a indicare anche i cugini, i nipoti e i parenti tutti. Così, ad esempio, nel Libro della Genesi, Abramo chiama “fratello” il nipote Lot, che è il figlio di suo fratello.
Secondo i TdG, noi attribuiamo a Maria un ruolo di intercessione presso Dio che oscura l’unica mediazione di Cristo. In realtà, è Cristo stesso che nel Vangelo ci mostra di accogliere ed esaudire sempre l’intercessione di Maria santissima, come è accaduto durante lo sposalizio di Cana: per effetto della preghiera di sua Madre, Gesù compì il suo primo miracolo cambiando l’acqua in vino (Gv 2,1-11).
SANTI: MODELLI DI VITA E INTERCESSORI NELLA PREGHIERA
Secondo i TdG, il culto dei Santi è un retaggio del culto pagano per gli eroi. In realtà, è la Bibbia, e non il paganesimo, che ci insegna a venerare e a pregare i Santi. La Bibbia ci insegna che anzitutto è Dio il santo per eccellenza (Is 6,3) in quanto somma e fonte di ogni perfezione e separato da qualsiasi male. Per conseguenza Gesù, Figlio di Dio, è definito il «Santo di Dio» (ad es., Mc 1,24). Ma anche il popolo che serve Dio e che appartiene a Lui è chiamato santo: Israele è una nazione santa (Es 19,6) e più ancora la Chiesa è la comunità dei santi (Ef 5,25; 2 Cor 8,4; Rom 1,7).
Ma la Chiesa non vive solo sulla terra, poiché «certa è questa parola: se moriamo con Cristo, vivremo anche con lui; se con lui perseveriamo, con lui anche regneremo» (2 Tim 2,11). Dunque, coloro che sono stati fedeli discepoli di Cristo in questo mondo, uscendo da esso hanno raggiunto Cristo per vivere e regnare con lui nella Città del Cielo, dove sono a ricevere la meritata ricompensa (Ap 11,18; 16,6; 19,8).
Di questi “uomini illustri e virtuosi” la Scrittura ci esorta a non dimenticare gli esempi (cf. Sir 44,1-10), anzi ci spinge a farci loro imitatori come loro lo furono di Cristo (cf. 7 Cor 11,1).
Ma i Santi non sono solo un esempio di vita; come insegna san Paolo, siamo tutti membra di un solo Corpo e le membra devono prendersi cura le une delle altre (2 Cor 12): è la meravigliosa dottrina cattolica detta appunto Comunione dei Santi. I fedeli di Cristo si amano e pregano gli uni per gli altri: quelli che sono in terra, e quelli che dal Cielo vegliano e intercedono per i fratelli che sono ancora nella battaglia spirituale della vita terrena (cf. Ap 6,9 e ss).
LA VENERAZIONE DELLA CROCE…
Secondo i TdG, Gesù non è morto sulla croce, ma appeso a un palo.
In realtà, sappiamo dalla letteratura dell’epoca che i romani chiamavano “crocifissione” la pratica che inchiodava il condannato ad un asse orizzontale (in latino stipes) issato su di un asse verticale (in latino patibulum) già conficcato nel terreno. L’insieme aveva il nome latino di crux, nel greco dei tempi di Gesù stauròs. Ci confermano in questo i reperti dell’archeologia: l’ancora cruciforme delle catacombe di Priscilla, l’iscrizione di Rufina, l’affresco degli Aurelii, il graffito del Palatino e molti altri sono testimonianze della devozione alla croce delle prime generazioni cristiane.
Secondo i TdG, la croce è un simbolo di morte, quindi non va esposta e venerata.
In realtà, la croce non rappresenta una morte qualunque, non è una morte e basta: è la morte del Figlio di Dio fatto uomo, che da quel patibolo irradia sul mondo l’amore e la salvezza; la croce è la sorgente della vera vita. Per questo noi ripetiamo con san Paolo che non c’è vanto più grande che nella croce di Cristo (cf. Gal 6,14); mediante l’esposizione e la venerazione della croce, noi «predichiamo Cristo crocifisso», e sappiamo bene che questo è «scandalo per i giudei e stoltezza per i pagani» (1 Cor 1,24). Con il loro atteggiamento i TdG si qualificano da soli come «nemici della croce di Cristo» (Fil 3,18).
…E DELLE SANTE IMMAGINI
Secondo i TdG, «a Dio dispiace l’uso delle immagini come ausilio per la devozione» (La verità che conduce alla vita eterna, pag. 144).
In realtà, Dio non ha mai detto questo; al contrario quando si è trattato di predisporre le decorazioni per la Casa di Dio, «Mosè chiamò tutti gli artisti nel cuore dei quali Jahvè aveva messo la saggezza… uno di loro fece la Dimora con figure di cherubini artisticamente lavorati» (Es 36,2 e ss). Ciò che la legge antica proibiva erano le immagini e le statue degli idoli pagani, che erano il veicolo per la corruzione religiosa e morale di Israele.
Secondo i TdG, le raffigurazioni di Dio e delle creature (di cui pure sono pieni i loro libri!) sono un invito all’idolatria e quindi proibite dal 2° comandamento. In realtà, il comandamento citato serviva a proteggere il popolo ebraico, sempre tentato di passare alle religioni dei popoli circostanti e ad adorarne gli idoli, come avvenne fin dagli inizi con il caso del vitello d’oro.
Superata questa fase, i precetti dati a Mosè il sul Sinai cedono il passo alla più piena e definitiva manifestazione di Dio nel mondo: Gesù Cristo, Dio fatto uomo, che è l’Immagine del Padre (Col 1,15). Come spiega, fin dagli albori della cristianità, il secondo concilio di Nicea, dal momento in cui l’invisibile Dio si è reso visibile, la natura umana, assunta dal Verbo, e in certo modo tutto il creato, vengono nobilitati ad esprimere e manifestare la bellezza e la santità di Dio.
LA FINE DEL MONDO
Nel 1879 il “padre” della “congregazione” geovista, Charles Taze Russell, fonda la rivista Torre di Guardia, e dalle sue pagine comincia ad annunciare la tesi fondamentale del suo nuovo movimento: questo “malvagio sistema di cose” (cioè il mondo) sta per avere fine. Già dal 1874 – secondo lui – era cominciata la presenza invisibile ma attiva di Cristo sulla terra, e sarebbe continuata sino al 1914, quando finalmente Cristo si sarebbe manifestato visibilmente a tutti, avrebbe portato in Cielo i 144.000 eletti e avrebbe instaurato il suo regno sulla terra, annientando tutti i non geovisti.
Alla vigilia della scadenza, l’attesa dei discepoli era febbrile: tutti erano pronti per iniziare sotto la regia del Cristo glorioso e del medesimo Russell il nuovo mondo. Passata inutilmente la data, venne la grande delusione – la prima della serie – a cui il corpo direttivo geovista tentò di mettere rimedio dichiarando che c’era stato un fraintendimento; ma il gruppo subì numerose defezioni e quando Russell morì, due anni dopo, la crisi era tutt’altro che placata.
Il suo primo successore, l’avvocato Joseph F. Rutherford, rilancia l’attesa della fine, “spostandola” alla primavera del 1918. Fallita anche questa predizione, nel 1920 pubblicò il volumetto Milioni di uomini che oggi vivono non moriranno mai, in cui annunciava per il 1925 la risurrezione dei giusti d’Israele e la fine del mondo.
La mancata realizzazione della nuova profezia provocò l’ennesima gravissima crisi nella Società, superata grazie all’ulteriore potenziamento del regime “totalitario” già in atto. Rutherford morì l’8 gennaio 1942 nella sua villa di san Diego, preparata per i patriarchi e i profeti redivivi, attesi ma mai arrivati.
Anche riguardo agli appuntamenti del ’18 e del ’25, ai quali Geova non si era presentato, il gruppo direttivo spiegò che si era trattato di un equivoco: i seguaci troppo zelanti avevano scambiato una semplice “probabilità” con una “certezza” (Annuario dei TdG, anno 1976, pag. 145) e quindi si erano ingannati.
Il terzo presidente della Società è Nathan H. Knorr. Per tenere alto l’ardore missionario e giustificare i tanti sacrifici che il geovismo impone, anche Knorr si lancia nella profezia: la fine sarebbe giunta per l’autunno del 1975. L’attesa si fece incontenibile: molti fedeli lasciavano il lavoro, rinunciavano a sposarsi, abbandonavano ogni cosa per dedicarsi alla predicazione, sponsorizzata come migliore preparazione alla “fine”.
Ma passò anche il 1975. La delusione fu tremenda e a poco o nulla valsero le giustificazioni del Corpo direttivo: numerosi fedeli abbandonarono, le nuove adesioni calarono fortemente e si sollevarono critiche e contestazioni verso i vertici della Società. Knorr si spense, in piena bufera, nel giugno del 1977.
Quarto presidente della Società è Frederick Franz, già vice presidente. Il suo primo impegno fu quello di porre riparo alla grave crisi: modificando abilmente la dottrina precedente, spiegò che l’ultima generazione di cui si parla in Mt 24,34 era sì quella del 1914 (inizio del regno invisibile), ma a partire da quelli che erano anche solo appena nati e non già arrivati all’uso di ragione, come prima era stato detto. Per questo, finché tutti i nati del 1914 non fossero morti era giusto attendere. Ma il tempo passa e i sopravvissuti scarseggiano. Per questo i dirigenti geovisti hanno adottato da diversi anni una nuova politica: non possiamo sapere quando sarà la fine, ma sicuramente sarà presto!
Ecco la nuova stupefacente posizione, con il nostro commento fra parentesi: «In vari momenti della loro storia, i TdG hanno nutrito aspettative premature riguardo a quando sarebbe venuta la fine del malvagio sistema di Satana [dunque i poveri fedeli geovisti hanno fatto tutto da soli...]. Ma Geova non ha rivelato in anticipo il tempo esatto [dunque finalmente è chiaro che nessuno può sapere quando verrà la fine]. Perciò il suo popolo ha dovuto modificare le proprie idee [e quelle sbagliate come se le era fatte? Non erano forse proclami del corpo direttivo in continuo aggiornamento?]. Questi aggiustamenti non indicano che il proposito di Dio sia mutato, né fanno pensare che la fine di questo sistema sia remota [ma non si è appena detto che nessuno può saperlo?]. Al contrario, l’adempimento delle profezie della Bibbia riguardanti il termine del sistema di cose conferma che la fine è prossima [e queste profezie chi le interpreta, lo stesso corpo direttivo che ha già fallito una decina di previsioni?]”. (Da: I T. di G. proclamatori del regno di Dio, 1993, pag. 709). E così l’inganno continua…
Per saperne di più…
Guido Bibini, Risposta ai “Testimoni di Geova”, 5 ed., Elladici, 1989.
Lorenzo Minuti, I testimoni di Geova non hanno la Bibbia, Coletti, 1997.
Paolo Sconocchini, La Bibbia dei Testimoni di Geova. Traduzione o manipolazione?, Elledici, 1994.
Nicola Tornese, Bibbie a confronto, Istituto Anselmi, Marigliano (Na) 1996.
Achille Aveta, I Testimoni di Geova. Un’ideologia che logora, Dehoniane, 1990.
Salvatore Senese, I Testimoni di Geova e la Torre di Guardia, edizioni Segno, 2002.
Aldo Lorenzi, I Testimoni di Geova. Scritti, dottrine ed evoluzione storica, il Cerchio-Iniziative editoriali, 2010.
Raymond Franz, Crisi di coscienza. Fedeltà a Dio o alla propria religione. Parole franche di un Testimone di Geova, EDB, 2005.
Massimo Introvigne, I Testimoni di Geova: già e non ancora, Elledici, 2002.
Ernesto Zucchini, I Testimoni di Geova, in I nuovi Movimenti Religiosi (a cura del CESNUR),Elledici,19922
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