Tradizione Famiglia Proprietà Newletter 11 Novembre 2021
di Edwin Benson
Viviamo tempi difficili per il mondo della musica classica. La Critical Race Theory (Teoria Critica della Razza)* e i suoi compagni di viaggio la stanno prendendo massicciamente di mira, erodendo il terreno sottostante più velocemente di quanto si possa puntellare le sue fondamenta.
La matematica del razzismo sistemico
Le accuse alla musica classica somigliano a quelle rivolte ad altri settori. Non ci sono nell’ambito della classica abbastanza neri o ispanici tra il pubblico, le orchestre, i direttori, gli amministratori, i compositori o i mecenati. Gli agitatori della Teoria Critica della Razza ammettono solo due possibili spiegazioni. O l’establishment della musica classica è “apertamente” razzista o lo è in modo “sistemico”. Non ci sono altre spiegazioni.
Non ci sono prove di razzismo palese. Infatti, per oltre trent’anni, le scuole di musica d’élite hanno attivamente reclutato musicisti neri e ispanici. Hanno setacciato le biblioteche alla ricerca di opere composte da membri di gruppi “emarginati”. Hanno scritto ambientazioni orchestrali per brani di altri generi, come il jazz e il rock and roll. I risultati sono stati deludenti.
I razzisti della mTeoria Critica della Razza sostengono che il problema deve essere più profondo. Cioè, alcune correnti sinistre di una cultura razzista bianca impediscono ai neri di avere successo nel mondo della musica classica.
L’insicurezza finanziaria genera paura
La maggior parte delle orchestre erano già appese a un filo prima degli attuali attacchi culturali. Infatti, il pubblico della musica classica si stava riducendo. Cinquant’anni fa, la maggior parte delle scuole superiori aveva delle orchestre. La gran parte dei ragazzi non diventavano mai musicisti professionisti, ma l’esperienza li metteva in condizione di apprezzare la musica classica e di assistere ai concerti.
Da allora, il numero di orchestre scolastiche è diminuito costantemente. I genitori, condizionati da tre generazioni di rock and roll, comprano ai loro figli chitarre elettriche e batterie, non violini o corni francesi. Quando gli insegnanti di musica sono andati in pensione, molti sistemi scolastici hanno allocato i loro stipendi in programmi di scienze e matematica.
Questo fattore spiega in parte un fenomeno che il critico Terry Teachout aveva notato nell’aprile 2005 quando scrisse: “La musica classica in America si trova sempre più messa all’angolo. Anche se molti gruppi affermati continuano ad attirare folle rispettabili, la maggior parte di essi sta trovando più difficile farlo, e persino ensemble ancora popolari come la New York Philharmonic vedono i capelli dei loro abbonati diventare più grigi di anno in anno. I grandi media hanno perso da tempo l’interesse per gli artisti classici. Le stazioni radio classiche stanno rapidamente diventando una cosa del passato, e le principali etichette discografiche classiche sono in malattia terminale”.
La “bianchezza” della musica classica
Gli auditori in declino costringono le orchestre a limitare i loro sforzi di raccolta fondi verso un gruppo sempre più ridotto di corporazioni e fondazioni interessate a finanziare il loro lavoro. Come risultato, le orchestre stanno scoprendo che il mondo dei sostenitori della musica classica è intimidito dai “woke” di sinistra. Così, i fornitori di musica classica sono particolarmente vulnerabili ad accuse come la seguente di Alex Ross sul New Yorker: “La ‘bianchezza’ (whiteness) della musica classica è, soprattutto, un problema americano. La composizione razziale ed etnica del settore non è sorprendente, data la demografia europea prima del ventesimo secolo. Ma, quando quella tradizione fu trapiantata negli Stati Uniti multiculturali, si confuse con la gerarchia razziale consolidata nel Paese fin dalla sua fondazione. La maggioranza bianca tendeva ad adottare la musica europea come distintivo della sua supremazia… Si fece poco sforzo per coltivare i compositori americani; sembrava più importante fabbricare una fantasia di grandezza beethoveniana”.
Quando le emozioni salgono Molti dati confutano l’analisi del signor Ross, giacché le minoranze sono molto coinvolte nella musica. Compositori e musicisti afroamericani hanno usato le loro abilità in forme musicali più popolari (e più redditizie). Università come la Julliard School di New York forniscono programmi di lunga data per reclutare musicisti nelle comunità minoritarie, creando opportunità da cui spesso non si trae profitto. Del resto, i musicisti asiatici sono sempre più numerosi e prominenti sulla scena della musica classica americana.
Per quanto fattivi possano essere questi dati, non vengono affatto recepiti nel lessico “woke”: sono argomenti troppo logici per entrare nel regno emotivo che la sinistra predilige.
Così, le aziende e le fondazioni sono intimidite dalla mentalità “antirazzista” che promana dalla Teoria Critica della Razza. Le culture aziendali, di per sé già avverse al rischio, gridano di terrore alla sola idea di finire nel mirino della controversia culturale. Molte grandi fondazioni, come la assai liberal Ford Foundation e la Carnegie Corporation, smettono di sovvenzionare le iniziative diventate improvvisamente radioattive.
Così anche le orchestre capitolano. Heather Mac Donald documenta la profondità della loro sottomissione nel suo articolo “Classical Music’s Suicide Pact” (Il patto suicida della musica classica). “[T]he League of American Orchestras (La Liga delle orchestre americane) ha rilasciato una dichiarazione in cui confessa che, per decenni, ha “tollerato e perpetuato la discriminazione sistematica contro i neri, discriminazione che si rispecchia nelle pratiche delle orchestre e in tutto il nostro paese”. La Hartford Symphony Orchestra si è scusata per la sua “storia di inazione nell’affrontare efficacemente i sistemi e le strutture razziste che hanno a lungo oppresso ed emarginato musicisti, compositori e comunità nere”. L’Opera di Seattle ha annunciato che “continuerà a dare priorità” all’antirazzismo e “farà ammenda” per aver causato danni”.
L’Opera di Seattle è andata oltre. Nel 2020, ha pubblicato un video dal titolo accattivante, un Crescendo per la giustizia razziale nell’opera. Presenta cinque relatori neri e ispanici, moderati dal “direttore dei programmi e dalle partnership” dell’organizzazione. Questo programma servile è insignificante. La tanto rimasticata posizione dei “guerrieri della giustizia sociale” non convince nessuno.
League of American Orchestra: uno strumento della lotta di classe del marxismo culturale
Le orchestre, le compagnie d’opera e le scuole dovrebbero distinguersi come conservatori di una preziosa tradizione sociale. L’elevazione dell’anima prodotta dalla musica classica è molto necessaria in un mondo materialista. Buttarsi nella mischia della maldicenza assieme ai loro detrattori sporca soltanto questi enti culturali.
Ai marxisti culturali poco interessa la musica classica o le presunte legioni di musicisti “oppressi”. Essi vogliono soltanto andare verso una società egualitaria dove non ci sia spazio per nessuna eccellenza. Non vogliono elevare i musicisti; vogliono porre fine alla musica. L’unità del marxismo culturale con la Teoria Critica della Razza ha senso perché entrambi cercano di creare la lotta di classe e distruggere l’armonia sociale che dovrebbe esistere in una società genuinamente cattolica. Infatti, l'”utopia” socialista non è altro che un grigio e disperato inferno.
Critical Race Theory è una delle varianti della rivoluzione anti-occidentale che colpisce specialmente il mondo anglosassone anche sotto altre etichette come “woke revolution” (rivoluzione del risveglio), “cancel culture” (cancellare la cultura) e persino “defund the police” (depotenziare la polizia).
Fonte: Return to Order, Ottobre 2021. Traduzione a cura di Tradizione Famiglia Proprietà – Italia