Libero 19 Novembre 2021
Xi ordina di rendere pubblici i costi degli impianti: un rene 160mila dollari; un cuore 100mila; un fegato solo 80mila
di Marco Respinti
Un fegato? 260mila yuan, cioè 40.700 dollari statunitensi. Un rene ne vale invece 160mila (25.000 dollari), un cuore 100mila (15.600 dollari) e un polmone 80mila (12.500 dollari). Per un pancreas servono 50mila yuan (7.800 dollari), come per un intestino tenue, mentre le cornee vengono via a 10mila yuan al pezzo, cioè solo 1.600 dollari.
Per il regime neo-post-nazional-comunista è prassi mandare a morte qualche migliaio di prigionieri politici ogni anno, espiantandone gli organi per alimentare il mercato nero dei trapianti.
Ma la novità introdotta dal “modello cinese” di Xi Jinping, che diversi vorrebbero importare in Occidente, è la normalizzazione tecnocratica dell’orrore e così adesso arriva anche il tariffario.
Come riporta il quotidiano statunitense The Epoch Times, in prima linea nel denunciare gli obbrobri di Pechino, diverse fra province e città della Cina hanno messo in pratica quanto previsto da un’ordinanza diramata in luglio dal governo in tema di parcelle e gestione finanziaria dei trapianti.
Entro il 1° settembre, cioè, le amministrazioni locali e le regioni autonome (il nome dietro cui la burocrazia nasconde l’occupazione militare e coloniale di zone come il Tibet, lo Xinjiang e la Mongolia cosiddetta «interna») erano tenute a stilare listini prezzi e così hanno fatto.
Nell’Henan, per esempio, cuore storico del Paese, 167mila kmq per 95 milioni di abitanti, se ne sono occupati con zelo sei dipartimenti, tra cui la Commissione Salute, il dicastero delle Finanze e l’Amministrazione per la supervisione del mercato.
Sì, perché in Cina un mercato c’è, libero quanto serve allo Stato per incatenare i cittadini lucrandoci, e lo dimostra proprio la predazione di organi. L’Henan e lo Hubei (provincia sempre centrale di 186mila kmq per 58 milion di abitanti) sfoggiano prezzi diversi, diversi anche per organi di bambini e di adulti.
Il che però aumenta lo sgomento: se gli organi predati agli adulti vengono dai prigionieri politici giustiziati, da dove vengono quelli dei bambini?
La domanda, angosciante, fa parte del mistero persistente dei trapianti cinesi. Il numero degli organi disponibili è infatti enorme e i conti non tornano, come documentano il «China Tribunal», svoltosi a Londra dal dicembre 2018 all’aprile 2019 e conclusosi con un atto di accusa di oltre 560 pagine, e il «World Summit on Combating and Preventing Forced Organ Harvesting», organizzato in settembre da DAFOH (Doctors Against Forced Organ Harvesting), l’organizzazione statunitense di professionisti leader a livello mondiale di questa battaglia.
La Red Cross Society of China dice ufficialmente da sempre che gli organi disponibili sarebbero frutto di donazioni volontarie.
Ma la Red Cross Society of China non c’entra con la Croce Rossa Internazionale e dipende dal governo cinese. Parlando al Circolo della stampa di Bruxelles il 27 ottobre, Hamid Sabi, consulente del «China Tribunal» citato da The Epoch Times, ha ricordato come il database delle donazioni di organi, gestito dal Partito Comunista al potere dal 1949, sostenga di ottenere da ogni singolo donatore volontario ben 2,8 organi: il che è letteralmente da Superman, essendo la cifra 180 volte superiore a quanto fanno Europa e Stati Uniti.
Ma anche fosse, non si arriverebbe lo stesso ai 10mila trapianti vantati annualmente dalle stime ufficiali. Del resto è dal 2006 che David Kilgour (ex segretario di Stato canadese per l’area indo-pacifica), l’avvocato canadese David Matas e il giornalista Ethan Guttmann, oggi ricercatore sulla Cina della Victims of Communism Memorial Foundation di Washington, aggiornano studi e statistiche parlando di una forbice tra i 60mila e i 100mila trapianti reali l’anno.
Cifre da capogiro, ma c’è un aspetto ancora più raccapricciante. Il tariffario del regime non è solo un distillato di cinismo: serve anche a puntellare la bugia.
Cosa di meglio se non “legalizzare” l’abuso attraverso una regolare prezzatura della merce? È ciò che dice a The Epoch Times il dottor Wayne Shih-wei Huang, chirurgo, direttore di IRCAD Taiwan, il maggior centro di formazione per la chirurgia non-invasiva di tutta l’Asia.
Una finzione colossale per fingere domanda e offerta. I costi per gli organi dei bimbi dovrebbero infatti essere più alti, e non inferiori, di quelli degli adulti, e non ha senso che un rene abbia un costo maggiore di quello di un cuore, più difficile da prelevare, conservare e trasportare. Bugie, insomma, persino raccontate male. Ma vale tutto, se non c’è chi voglia vedere.
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