Newsletter di Giulio Meotti
15 Dicembre 2021
Intervista-podcast con Antonio Golini, pioniere della demografia. Dopo Elsa Fornero, Giuliano Amato, Draghi e Letta perorano l’arrivo di migranti. “Per anni parlare di nascite era da fascisti”
di Giulio Meotti
“Dobbiamo abbandonare l’assurdo principio che ha preso strada per il quale se tu sei un rifugiato politico puoi entrare, se sei uno che sta scappando dalla miseria te ne torni alla tua miseria perché sei comunque un irregolare”. Dopo Elsa Fornero che ha persino evocato una “terra che non è più nostra”, è il turno dell’ex primo ministro Giuliano Amato a spiegarci su La Stampa che l’Italia deve spalancare le porte ai migranti economici.
“L’Europa sta invecchiando e si sta restringendo, abbiamo bisogno dei migranti economici”, scriveva sempre ieri il Financial Times. “Il raddoppio delle popolazioni arabe e africane entro la metà del secolo intensificherà notevolmente le pressioni”. Anche in Italia la posizione estremistica espressa dal giornale della City sta trovando molti adepti. Come Enrico Letta, segretario del PD, che dichiara: “C’è bisogno di manodopera che viene dall’immigrazione. Dobbiamo renderci conto che i giovani italiani sono pochissimi, troppo pochi rispetto a quello di cui abbiamo bisogno. Dobbiamo concepire il nostro futuro in modo diverso, con maggiore capacità di accoglienza”.
Strani questi politici, si sono disinteressati per anni al suicidio demografico dell’Italia e ora ne parlano a tamburo battente, ma solo per sostenere l’immigrazione di massa. “Siamo in un disastro demografico, giusto lo ius soli”, ha detto ancora Letta. Ieri, anche il premier Mario Draghi ha descritto i migranti come “risorse”.
Io continuo a pensare che la soluzione approntata dal premier ungherese Viktor Orban sia più lungimirante. Tentare di risollevare la natalità con misure autentiche, non con il piagnisteo. Così, a chi ha tre figli un prestito di 25.500 euro che non devono rimborsare, la riduzione del mutuo di tremila euro per un secondo figlio, un programma di prestiti per sostenere gli acquisti di casa, sussidi per le auto per famiglie numerose e un’esenzione a vita dall’imposta sul reddito delle persone fisiche per chi ha almeno quattro figli.
Leggendo l’ultimo rapporto dell’Istat sul crollo demografico italiano, ad Antonio Golini è tornato in mente un aneddoto. All’inizio degli anni Ottanta, Golini fu contattato dai responsabili della Plasmon. L’azienda si disse interessata alle sue analisi sulla popolazione. I manager della Plasmon si dissero preoccupati su una tendenza che stavano osservando in Italia, principale mercato di sbocco per i loro prodotti alimentari per l’infanzia: “Professore, i bambini italiani stanno diminuendo e, se l’attuale trend dovesse continuare, diminuiranno sempre più rapidamente. Capirà bene che per noi, che finora tanto abbiamo investito sulla prima età, si tratterebbe di una catastrofe. Lei crede sia possibile a breve una qualche inversione di rotta nell’andamento delle nascite?”.
La risposta di Golini fu un deciso “no”, articolato con statistiche e ragionamenti “che – vox clamantis in deserto – andavo elaborando da qualche tempo riguardo ai pericoli dell’eccesso di denatalità in Italia”. I dirigenti della Plasmon allora controbatterono con un’altra domanda: “Sarebbe corretto riposizionare il focus della produzione aziendale, diversificando rispetto al mercato dell’infanzia e dedicandosi per esempio a una linea di prodotti ‘Misura’ per adulti?”. Questa volta Golini rispose di “sì”.
In Italiani poca gente (edizioni Luiss, scritto con Marco Valerio Lo Prete), Golini, docente di Demografia alla Luiss Guido Carli di Roma, professore emerito all’Università Sapienza di Roma e membro dell’Accademia dei Lincei, già presidente dell’Istat, con all’attivo trent’anni di studi demografici, torna al clima quando era di moda col “club di Roma” discettare della “bomba demografica”, mentre lui affermava che l’Italia correva il rischio opposto, morire dentro la palude della bassa natalità.
I numeri dell’Istat usciti ieri gli danno ancora una volta ragione. Ancora un record negativo per la natalità. Il numero medio di figli delle donne di cittadinanza italiana nel 2020 è stato pari a 1,17. Il numero più basso di sempre. Crollo di un terzo delle nascite dal 2008, dove ci eravamo già arrivati con alle spalle trent’anni di massiccio e incessante declino.
“L’Italia si avvia a morire, perché evidentemente il numero ridottissimi di figli non sostituisce i genitori e ci sono sempre meno donne in età fertile” mi spiega Golini. “Ma ci sono moltissimi africani. E ci saranno sempre di più africani, perché il Mediterraneo è un mare piccolo e si attraversa facilmente e abbiamo necessità di manodopera”. In Italia il tema denatalità non si è mai imposto, è quasi tabù.
“La verità è che l’unico posto dove il problema demografico è sentito in maniera totale è la Francia, perché i tedeschi sono arrivati tre volte a Parigi e questo ha scosso le coscienze e dato pieno significato e portata alla crisi demografica” continua Golini. “Mentre in Italia c’è stata una cultura in cui si diceva che volevamo conquistare tutto il mondo e questo ha nuociuto alla natalità e al concetto di crescita demografica. Insomma, abbiamo devitalizzato il concetto di persone e quindi di nascita. Come se il vitalismo fosse ancora visto come sinonimo di fascismo”.
Nella storia non si ricorda una società che esce da una simile trappola demografica. “Difficilissimo uscire da 1.2 di natalità, perché occorrerebbe che un grande numero di coppie avessero 4-5 figli, il che nelle condizioni attuali mi pare impossibile” conclude Golini”. “Nell’antica Italia è già successo quando crollò l’Impero Romano”.
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