di Marco Respinti
Peter Jackson Lo Hobbit. Un viaggio inaspettato, in cui Gandalf si rivolge all’insicuro Biblo Baggins mentre tutto attorno turbinano le mille avventure che assalgono i protagonisti della vicenda. Forse Bilbo non ha mai serrato prima d’ora le dita sull’elsa di una spada, e del resto quella che adesso stringe in pugno non è nemmeno una spada: è solo un coltello, che in mano sua, nella sue piccole mani, sembra quello che non è. Trema, Bilbo, tituba, non sa come muoversi. E non si sente affatto adatto a un’arma micidiale come quella.
La differenza, abissale, fra J.R.R. Tolkien e i mille scribacchini di fantasy che sorgono come funghi nel bosco potrebbe stare tutta in questa battuta, e il Jackson del film la coglie alla perfezione offrendola intelligentemente al pubblico.
Nella sua versione cinematografica de Il Signore degli Anelli Jackson mette una battuta poco dissimile, e il rimpiattino tra le due non è affatto causale. Anzitutto è limpidamente tolkieniano, in secondo luogo è cristallinamente jacksoniano. Non male per un regista che sguazza nello splatter, che adora le scene cruente, che insegue le ambientazioni scabrose.
È la carità, dice bene quella battuta, che rende il guerriero valoroso, ammaestrandolo nell’uso equilibrato anche della forza. Non fosse che solo per questo, Lo Hobbit. Un viaggio inaspettato è un grande film: pedagogico, educativo, raffinato. Adattato ai piccoli e ai grandi.
I primi, del resto, si differenziano dai secondi soltanto per una questione di tempo: quello che va loro concesso affinché facciano adeguatamente proprie le cose del mondo. Il male del mondo in cui viviamo, infatti, è che non lascia tempo al tempo né ai piccoli per diventare grandi. Corre, impazza, accelera e sbatte la testa contro le pareti, e i tavoli, e le sedie. Non vede la meta, e divorato dalla fretta si perde il bello del viaggio.
I bambini che crescono troppo in fretta saranno poi degli adulti incapaci di essere bambini dentro. Quel che può vedere un adulto, lo può vedere anche un bambino. Basta accompagnarlo, dargli tempo, spiegargli.
Del resto, quel che non può vedere un bambino è meglio non lo veda nemmeno un adulto. Lo Hobbit. Un viaggio inaspettato, invece, debbono vederlo proprio tutti.