di Massimo Introvigne
Come ogni anno, il 7 gennaio Benedetto XVI ha incontrato i rappresentanti del Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, e ha loro rivolto un denso discorso relativo ai grandi temi della politica internazionale. Interessante notare come i titoli delle agenzie di stampa abbiano dato rilievo quasi solo agli accenni alla crisi economica – che non sono mancati -, mentre il Papa ha presentato tutti i grandi temi della dottrina sociale della Chiesa, nell’ordine di priorità che è tipico del suo Magistero.
Oggi infatti domina il relativismo, per cui «conoscere la verità sembra impossibile e gli sforzi per affermarla appaiono sfociare spesso nella violenza». Per il relativista «l’impegno per la pace si riduce alla ricerca di compromessi». Per l’uomo di fede, al contrario, non solo la pace deriva dalla verità, ma «esiste un’intima connessione tra la glorificazione di Dio e la pace degli uomini sulla terra, così che la pace non sorge da un mero sforzo umano, bensì partecipa dell’amore stesso di Dio. Ed è proprio l’oblio di Dio, e non la sua glorificazione, a generare la violenza».
Certo, molti pensano che la pace non abbia nulla a che fa con la religione e con Dio: ma «in realtà, senza un’apertura trascendente, l’uomo cade facile preda del relativismo e gli riesce poi difficile agire secondo giustizia e impegnarsi per la pace». Naturalmente, ha proseguito il Pontefice, quella che favorisce la pace è una religione rettamente intesa, che garantisca l’armonia fra fede e ragione, da non confondersi con il fondamentalismo, quel «pernicioso fanatismo di matrice religiosa» dove la fede nega la ragione e che non è che «una falsificazione della religione».
E il Papa ha voluto mettere in guardia dai rischi che queste falsificazioni fondamentaliste della religione fanno correre alle minoranze cristiane e al bene comune in genere in Siria, in Palestina, in Libano, in Egitto, in Nigeria e in Mali, Paese quest’ultimo di cui una parte del territorio è controllato da terroristi legati ad al-Qa’ida e per cui Benedetto XVI, con una critica neppure troppo velata dell’inefficienza dell’ONU, ha chiesto «un efficace interessamento da parte della comunità internazionale».
Dopo questa premessa, il Papa ha invitato a rileggere ancora una volta quella che altri hanno definito la sua «piccola enciclica» sulla politica, il recente Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2013, dove è presentato un programma di tutela dei diritti fondamentali della persona umana, esposti nel loro corretto ordine. Come sempre «in primo piano» – e prima di ogni altro diritto – vengono i principi non negoziabili della vita, della famiglia e della libertà di educazione. Anzitutto, dunque, «il rispetto della vita umana, in ogni sua fase».
Il Papa si rallegra che «una Risoluzione dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, nel gennaio dello scorso anno, abbia chiesto la proibizione dell’eutanasia, intesa come uccisione volontaria, per atto o omissione, di un essere umano in condizioni di dipendenza». Ma constata «con tristezza» che non sempre questa Risoluzione è stata presa sul serio e che «in diversi Paesi, anche di tradizione cristiana, si è lavorato per introdurre o ampliare legislazioni che depenalizzano o liberalizzano l’aborto», che non è mai lecito.
Nello stesso campo della vita, «la recente decisione della Corte Interamericana dei Diritti Umani relativa alla fecondazione in vitro, che ridefinisce arbitrariamente il momento del concepimento e indebolisce la difesa della vita prenatale, è ugualmente fonte di preoccupazione».
Quanto alla famiglia, in Occidente oggi «vi sono numerosi equivoci sul significato dei diritti umani e dei doveri ad essi correlati. Non di rado i diritti sono confusi con esacerbate manifestazioni di autonomia della persona, che diventa autoreferenziale, non più aperta all’incontro con Dio e con gli altri, ma ripiegata su se stessa nel tentativo di soddisfare i propri bisogni.
Per essere autentica, la difesa dei diritti deve, al contrario, considerare l’uomo nella sua integralità personale e comunitaria». In terzo luogo, sempre «vale la pena di sottolineare come l’educazione», di cui vanno garantite la libertà e la qualità, sia a sua volta una via necessaria per la vera «costruzione della pace».
In modo originale, il Pontefice inserisce la tematica della crisi economica nella trattazione del terzo principio non negoziabile, che non riguarda solo la difesa delle scuole non statali, ma la possibilità che sia impartita un’integrale educazione ai valori. A ben vedere, afferma Benedetto XVI, quando è venuta meno questa educazione integrale ci si è cominciati ad avviare verso la crisi, perché «troppo spesso è stato assolutizzato il profitto, a scapito del lavoro, e ci si è avventurati senza freni sulle strade dell’economia finanziaria, piuttosto che di quella reale».
La crisi economica dunque è, alla radice, crisi educativa, e si cura anche con una libertà di educazione che permetta e valorizzi percorsi dove s’insegni «il senso del lavoro e di un profitto ad esso proporzionato», dove si educhi «a resistere alle tentazioni degli interessi particolari e a breve termine, per orientarsi piuttosto in direzione del bene comune». E rivolto in particolare all’Unione Europea, il Papa ha aggiunto che «se preoccupa l’indice differenziale tra i tassi finanziari, dovrebbero destare sgomento le crescenti differenze fra pochi, sempre più ricchi, e molti, irrimediabilmente più poveri. Si tratta, insomma, di non rassegnarsi allo “spread del benessere sociale”, mentre si combatte quello della finanza».
Dopo i tre principi non negoziabili, il Pontefice ha richiamato quello che appare sempre più spesso nel suo Magistero come il quarto principio, o l’orizzonte dei primi tre: la libertà religiosa. «La pace sociale – ha detto – è messa in pericolo anche da alcuni attentati alla libertà religiosa: talvolta si tratta di marginalizzazioni della religione nella vita sociale; in altri casi di intolleranza, o persino di violenza nei confronti di persone, di simboli identitari e di istituzioni religiose. Capita anche che ai credenti – e ai cristiani in modo particolare – sia impedito di contribuire al bene comune con le loro istituzioni educative ed assistenziali».
Sulla scia di documenti di alcuni episcopati – in particolare, degli Stati Uniti e del Canada, il Pontefice ha precisato che la libertà religiosa in Occidente è oggi messa in pericolo da leggi che tentano di limitare «il diritto all’obiezione di coscienza», che – precisano tali documenti – non riguardano solo i medici e l’aborto, ma anche i farmacisti e gli anticoncezionali ovvero gli ufficiali di stato civile – sindaci e altri – e i matrimoni omosessuali.
«Questa “frontiera” della libertà – ha detto il Papa – tocca dei principi di grande importanza, di carattere etico e religioso, radicati nella dignità stessa della persona umana. Essi sono come i “muri portanti” di ogni società che voglia essere veramente libera e democratica. Pertanto, vietare l’obiezione di coscienza individuale ed istituzionale, in nome della libertà e del pluralismo, paradossalmente aprirebbe invece le porte proprio all’intolleranza e al livellamento forzato».
Ricordando ancora una volta il cinquantenario dell’enciclica «Pacem in terris» del beato Giovanni XXIII (1881-1963), Benedetto XVI cita il passo di quel documento secondo cui la pace è «solo suono di parole» se non è integrata dalla carità. «La carità non sostituisce la giustizia negata, ma d’altra parte la giustizia non supplisce la carità rifiutata».
«La Chiesa pratica quotidianamente la carità nelle opere assistenziali, quali ospedali e dispensari, ed educative, quali orfanotrofi, scuole, collegi, università, nonché con l’assistenza fornita alle popolazioni in difficoltà, specialmente durante e dopo i conflitti» e in occasione di calamità naturali, fra le quali il Papa ha voluto ricordare il terremoto in Emilia. Fa parte della libertà religiosa assicurare alla Chiesa la piena possibilità di svolgere questo servizio secondo i suoi metodi e i suoi principi.
Vita, famiglia, educazione, libertà religiosa. È l’«Agenda Ratzinger» – se vogliamo chiamarla così – che il Pontefice non si stanca di ricordare in ogni occasione. Senza dimenticare l’appello ai politici perché non chiudano mai la loro porta all’apertura al trascendente e a Dio. Benedetto XVI ha concluso ricordando, con il cinquantenario del Concilio Ecumenico Vaticano II, il «Messaggio ai governanti» che il venerabile Paolo VI (1897-1978) – per la prima volta il Pontefice ha ricordato Papa.
Montini con questo titolo, che gli ha riconosciuto il 20 dicembre 2012 – indirizzò ai capi delle nazioni al termine del Concilio. Vi si legge: «Tocca a voi essere sulla terra i promotori dell’ ordine e della pace tra gli uomini. Ma non lo dimenticate: è Dio (…) il grande artefice dell’ordine e della pace sulla terra».