di Dino Basili
II saggio biografico di Marco Invernizzi, Luigi Gedda e il movimento cattolico in Italia (prefazione di Giovanni Cantoni, Sugarco 2012, pp. 154, euro 16) aiuta a ricordare, conoscere meglio, scoprire un protagonista del nostro ‘900, nascosto o deformato soprattutto dalla cosiddetta «egemonia culturale» del Pci. Quasi una vendetta, per la clamorosa sconfitta del 18 aprile 1948. «Nemico del popolo», eccetera.
Più franche delle «meline» imbastite intorno al tavolone della Giunta centrale dell’Azione cattolica, in un momento che richiedeva la massima unità. Con fondate (e drammatiche) apprensioni sulla libertà dell’Italia, appena uscita dal regime fascista e dal cataclisma bellico.
Una giusta «rivalutazione»
Merito di Marco Invernizzi è quello di aver raccontato Luigi Gedda «nel» suo difficile tempo, con una documentazione essenziale e ben ordinata, che non perde la bussola tra il continuum religioso e le emergenze politiche, rifuggendo dal «colore» e dall’agiografia. Lo scopo di offrire un serio contributo alla «rivalutazione» di un cattolico esemplare, per operosità in Cristo e fedeltà integrale alla Chiesa, è sicuramente raggiunto.
Uno stimolo, non solo un contributo, mai confondendo la rivalutazione con la «riabilitazione». Gedda non ha subito alcuna «condanna»: pure la storia, fin qui, gli da ragione. È stato vittima, piuttosto, di numerose malevolenze, generalmente sopportate con ascetiche mortificazioni: può testimoniarlo chi scrive, a lungo responsabile dell’ufficio stampa del Comitato Civico Nazionale. Sapeva sempre distinguere il piano personale dal concerto dei princìpi, sui quali era intransigente.
Azione che nasce dalla preghiera
L’azione nasceva dalla preghiera, costante il sacrificio. Anche l’impegno anticomunista, per Gedda, discendeva da una «scelta religiosa». Partite di potere? Cercarle è fatica inutile. Gridare le miserie del «socialismo reale» è di destra? La comunione con la Chiesa del Silenzio è clericalismo? Grondano di pregiudizi secolarizzanti molte letture (e riletture) politiciste. Si disse perfino che il Presidente dell’Ac «smaniava di sostituire Alcide De Gasperi alla testa della Dc».
Alla damnatio memoriae decretata dal Pci, via via, si è aggiunto un muro di gomma eretto dai democristiani allergici ai «richiami alla coerenza». Risibili accuse oscillarono tra bigotteria e salazarismo. In obbedienza alla Chiesa pre e post-conciliare, Gedda non esasperò i conflitti. Anzi, tolse lo spazio a coloro che provarono, più volte, a lanciare il «secondo partito cattolico» (senza lui, evidentemente, era impossibile realizzarlo). Se i rapporti con i vertici dello «scudo crociato» erano altalenanti, i ministri democristiani affollavano la prima fila alle iniziative dei Comitati Civici, a Roma come nei piccoli comuni, a caccia di preferenze elettorali.
La domanda è fuori dagli schemi, addirittura oziosa, però è irresistibile la tentazione di accennarla: il declino della Dc, eppoi il suo crollo verticale sarebbero avvenuti se fosse stato attivo un supporto capillare, formativo, pre-politico come quello assicurato dalle forze cattoliche organizzate per un quarto di secolo? Baget Bozzo coglie il segno quando afferma che «la democrazia italiana deve a Gedda il suo vero inizio», grazie al 18 aprile; esagera, invece, quando rileva che il leader cattolico «dagli anni ’60 fu innominato».
Il confine è meno rigido: esiste tuttora un vuoto d’informazione sull’attività del Ccn e dei Ccz (anche i vescovi tutt’altro che «geddiani» non trascurarono i preziosi strumenti). Contava «esserci», interessava poco la visibilità nell’odierna accezione. E la Tv, allora di stretta osservanza fanfaniana, oscurò ogni manifestazione dei Comitati Civici. Gedda appariva soltanto in camice bianco in qualche trasmissione sulla medicina.
1972, l’ultima campagna
L’ultima massiccia campagna elettorale risale al 1972. Il Pci non ottenne, come sperava, la maggioranza relativa, mentre la Dc riguadagnò il 39 per cento con 13 milioni di voti. Sembra opportuno rispolverare, così assonanti all’oggi, le tre garanzie richieste da Gedda al partito: «1. Difesa della famiglia dalla dissoluzione, dall’immoralità e dall’inefficienza della scuola; 2. ferma tutela della legalità contro ogni violenza; 3. risanamento economico che consenta organiche riforme sociali» (notizia Ansa, 15 marzo, consiglio Ccn). Il risultato fu «quasi un ’48». Arnaldo Forlani, segretario Dc, ringraziò Gedda per il grande impegno. Pubblicamente, con scarso eco sui media
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In questa aggiunta conclusiva di Gedda a una circolare pre-elet-torale del 1956 risalta il tema della «politica di principio». Eccone la trascrizione: «La tempestività delle convocazioni viene ora ulteriormente dimostrata dai ciclo di quelle elezioni amministrative che, dati i tempi che corrono, era facile pensare dovessero essere a breve scadenza. Sono certamente avventurosi questi tempi, ma bisogna ricordare che nulla più della politica di principio è poggiata sui princìpi immortali della nostra santa Fede. Bisogna fare ricorso a queste certezze per trovare l’animo delle grandi ore nelle quali le anime cristiane rifulgono di particolare splendore e Iddio le aiuta oltre le speranze umane».