La Nuova Bussola quotidiana 23 Luglio 2022
Ricorre domani, 24 luglio, la memoria di san a cui biografia è costellata di moltissimi miracoli attribuiti alla sua intercessione, oltre ai tre ufficialmente riconosciuti dalla Chiesa ai fini della sua beatificazione e canonizzazione. Molti di questi fatti prodigiosi sono riportati nel registro del monastero di Annaya (in Libano), dove riposa il suo corpo.
Antonio Tarall
Si narra che la sua tomba fu immediatamente circondata da una “straordinaria luminosità” che durò per 45 giorni. Era una luce forte, chiara, accecante. Era la luce dell’Amore che espande i suoi raggi sui servi amati dal Signore. San Charbel – domani ricorre la sua memoria – è stato uno di questi “servi del Signore”, chiamato a essere testimone del Vangelo.
Un servo che ha amato il Signore in una maniera difficile da descrivere. San Charbel e la sua potente intercessione, san Charbel e i suoi miracoli, san Charbel e il volto che compare su una fotografia, san Charbel e l’olio miracoloso.
Si potrebbe continuare ad libitum con queste associazioni. La sua stessa biografia rimane così sterminata da non vedere mai la parola “fine”.
Questa parola, infatti, di solito, si inserisce all’ultima pagina del libro di una vita, ma per lui sembra proprio che non possa essere così. “Fine” non si associa bene alla parola “santità”. E metafora – o meglio, simbolo – del passaggio tra il mondo terreno (finito) e l’aldilà (infinito, appunto) è la tomba.
Fin dalle sue origini, il Cristianesimo ci parla di questa “transizione”: ed è così che la memoria corre a quel sepolcro vuoto al terzo giorno, segno della Resurrezione di Cristo, della vittoria della vita contro la morte. Anche per la tomba di san Charbel, in altro modo, possiamo trovare un simbolo forte, tangibile, di questa visione ultraterrena.
Poiché alcuni pellegrini volevano tentare addirittura di rubare parte delle sue spoglie, le autorità decisero di riaprire la tomba, e così vi trovarono il corpo galleggiante nel fango, ma completamente privo di segni di deterioramento, come se fosse stato seppellito quello stesso giorno. Si notò, allora, che un liquido simile al sangue trasudava dal suo corpo.
Ancora si conserva il panno utilizzato per asciugarne il corpo; questo panno, inoltre, è stato motivo di guarigione per molti casi avvenuti negli anni; inoltre, durante il secolo scorso, la sua tomba è stata aperta ben quattro volte (l’ultima volta nel 1955), e in ogni occasione si è potuto constatare come il suo corpo, sanguinante, possedesse ancora la flessibilità, come fosse ancora vivo.
Eventi prodigiosi, dunque, costellano la biografia del santo libanese. Vedi l’“olio di san Charbel”. L’olio ricorda due eventi della vita del santo. Il primo: san Charbel, di notte, per poter continuare a leggere le Sacre Scritture, un giorno, chiese al cuoco del monastero dell’olio per alimentare la sua lampada.
Era periodo di carestia, perciò il cuoco ebbe l’ordine di non fornire tale olio, ma di riempire la lampada semplicemente con dell’acqua. San Charbel non sapeva del nuovo ordine di non usare l’olio perché viveva appartato rispetto agli altri monaci.
Ed è proprio in questo caso che avvenne l’evento prodigioso: la sera, la lampada, seppur riempita d’acqua, rimase accesa tutta la notte. Il secondo episodio si rifà allo strano liquido – descritto precedentemente – del corpo del santo.
Eventi straordinari, prodigi e miracoli, davvero innumerevoli, attribuiti alla sua intercessione. Tutto è conservato nell’apposito registro del convento di Annaya, dove riposa il corpo del santo. In queste pagine sono raccolti centinaia di racconti, oltre alle migliaia di lettere provenienti da tutto il mondo, che attestano miracolose guarigioni per intercessione del santo libanese.
Una cronistoria di tutto questo corollario di volti e storie avrebbe bisogno di migliaia di pagine. Cerchiamo, allora, di fare qualche obbligata cernita, precisando che ogni singolo episodio andrebbe annoverato per comprendere la grandezza di Dio che opera attraverso questo immenso monumento della fede, san Charbel.
Un miracoloso episodio, ad esempio, è quello che riguarda la sua stessa immagine impressa in una fotografia degli anni ‘50. Il volto di quell’istantanea è ben impresso nella memoria di moltissimi fedeli: gli occhi rivolti in basso; il viso dolce incorniciato da un’austera barba bianca e un semplice cappuccio da frate. Tutta la sua immagine è lucente di Dio. Ma da dove proviene questa fotografia così famosa?
Dobbiamo fare un salto nel tempo, per scoprirlo. Era l’8 maggio 1950: la data coincideva con quella della nascita, mezzo secolo dopo la sua morte. Quattro missionari maroniti scattarono una foto di gruppo insieme al custode presso la sua tomba.
Durante lo sviluppo apparve un sesto personaggio, un monaco dalla barba bianca, a mezzo busto, con il cappuccio e gli occhi abbassati. Non vi era alcun fotomontaggio e i monaci più anziani riconobbero in quel volto san Charbel, con i tratti degli ultimi suoi giorni di vita.
Ma andiamo ai miracoli ufficialmente riconosciuti, per la beatificazione e canonizzazione, da parte della Congregazione per le Cause dei Santi. Secondo la normativa allora in uso, per ottenere la beatificazione di padre Charbel servivano due miracoli comprovati. Il primo caso fu quello di suor Maria Abel Kamari, della Congregazione dei Sacri Cuori, a Bikfaya.
La religiosa, per ben 14 anni, aveva sofferto fortissimi dolori a causa di un’ulcera pilorica, che neanche due interventi chirurgici erano riusciti a curare.
L’11 luglio 1950 fu portata al sepolcro di padre Charbel; il desiderio delle consorelle era quello che potesse toccare la sua tomba; appena lo fece, si sentì attraversare il corpo da una scossa elettrica; poi, fu portata a riposare. Il giorno dopo, mentre cercava di asciugare il liquido che trasudava dalla tomba, si alzò da sola, tra lo stupore dei pellegrini.
Il secondo miracolo riconosciuto riguardò Iskandar Obeid, un fabbro di Baabdat, che nel 1937 subì il distacco della retina destra, in seguito a un incidente. I medici volevano enucleare l’occhio destro per evitare che anche il sinistro s’infettasse, ma lui rifiutò.
Fece invece ricorso, nel 1950, a padre Charbel, recandosi sulla sua tomba. Tre giorni più tardi sentì dolore all’occhio malato, che si gonfiò, ma non fu più cieco. In seguito al riconoscimento di questi due miracoli, san Paolo VI beatificò padre Charbel il 5 dicembre 1965.
Per quanto concerne, invece, il terzo miracolo – quello per la canonizzazione – venne preso in esame il caso di Mariam Assaf Awad, una vedova di origine siriaca residente in Libano, che – anche dopo tre operazioni – era stata dichiarata incurabile dai medici.
Ma in una notte del 1967 invocò con particolare intensità il beato Charbel, a cui aveva iniziato a raccomandarsi quando le era stata prospettata la morte imminente, e il mattino seguente si accorse che il tumore era sparito.
Dopo l’esame da parte della Consulta Medica e dei membri della Congregazione per le Cause dei Santi, san Paolo VI canonizzò padre Charbel il 9 ottobre 1977.
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