Abstract: Cassazione: maternità surrogata offende la dignità umana anche se è gratuita in quanto il minore è trattato alla stregua di un oggetto. Inoltre dovrebbe essere sempre presa in considerazione la condotta di coloro che sono diventati genitori mediante la maternità surrogata, al fine di verificare in concreto le capacità genitoriali.
Centro studi Rosario Livatino 5 Gennaio 2023
Sezioni Unite della Cassazione: la maternità surrogata
offende la dignità umana anche se gratuita
Le Sezioni Unite della Cassazione, con la sentenza n. 38162 emessa in camera di consiglio l’8 novembre 2022 e pubblicata il successivo 30 dicembre, hanno ribadito che la maternità surrogata – anche laddove avvenga in forma gratuita ‒ è sempre da considerarsi una pratica “che offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane”, come già affermato dalla Corte costituzionale. Il bambino nato da maternità surrogata all’estero non può quindi essere riconosciuto in Italia come figlio della coppia ma semmai soltanto di quello che ha dato il proprio apporto biologico. Di conseguenza, l’ufficiale di stato civile è tenuto a rifiutare la trascrizione degli atti di nascita stranieri che riconoscono il rapporto di genitorialità tra un bambino nato a seguito di maternità surrogata e il genitore d’intenzione (che non ha alcun rapporto biologico con il minore) per contrarietà all’ordine pubblico internazionale.
di Daniela Bianchini
La sentenza n. 38162/2022 delle Sezioni Unite, pubblicata lo scorso 30 dicembre, trae origine dal diniego da parte di un ufficiale di stato civile di trascrivere un atto di nascita formato all’estero e riguardante un minore indicato dall’autorità straniera come figlio di due padri. In sintesi, il caso è il seguente.
Una coppia di uomini italiani, uniti civilmente, per realizzare il proprio desiderio di genitorialità ha deciso di stipulare un contratto di maternità surrogata in Canada, aggirando il divieto previsto dalla legge italiana di cui all’art. 12 comma 6 della Legge n. 40/2004. La fecondazione è avvenuta tra un ovocita di una donatrice anonima e i gameti di uno dei due uomini, con successivo impianto dell’embrione nell’utero di una diversa donna, non anonima, che ha poi portato a termine la gravidanza e partorito il bambino. Al termine di un procedimento giudiziario in Canada, i due uomini sono stati riconosciuti entrambi come genitori del minore e, rientrati in Italia, hanno chiesto all’ufficiale di stato civile il riconoscimento del bambino come figlio della coppia, secondo quanto indicato nell’atto canadese.
Di fronte al diniego dell’ufficiale di stato civile è scaturito un procedimento che è giunto fino alle Sezioni Unite, le quali, con la sentenza sopra citata, hanno respinto la richiesta dei due uomini, confermando la legittimità del rifiuto di trascrizione. Nella sentenza è stata inoltre ribadita la necessità di contrastare il ricorso a qualsiasi forma di maternità surrogata, in linea con la condanna espressa da più autorità a livello internazionale, fra cui il parlamento europeo con la nota risoluzione del 13 dicembre 2016.
Le Sezioni Unite hanno altresì chiarito che l’interesse del minore, pur essendo prioritario, non può tuttavia comportare per lo Stato l’obbligo di «riconoscere sempre e comunque uno status validamente acquisito all’estero» (p. 51)
Tre sono in particolare le considerazioni su cui si fonda la decisione delle Sezioni Unite.
Innanzitutto, la volontà di disincentivare il ricorso alla maternità surrogata, una pratica che per i giudici di legittimità «offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane, assecondando un’inaccettabile mercificazione del corpo». A tal proposito, le Sezioni Unite hanno osservato che il riconoscimento mediante delibazione o trascrizione del provvedimento straniero «finirebbe per legittimare in maniera indiretta e surrettizia una pratica degradante», aggiungendo che detto automatismo non sarebbe neppure funzionale alla realizzazione del miglior interesse del minore, «attuando semmai quello degli adulti che aspirano ad avere un figlio a tutti i costi» (p. 51).
La seconda considerazione attiene all’esigenza di chiarire che nel nostro ordinamento non esiste alcun “diritto alla genitorialità”, malgrado alcuni – anche fra i giuristi – si ostinino ad invocarlo: nel sistema normativo, si legge nella sentenza n. 38162/2022, non vi è «un paradigma genitoriale fondato unicamente sulla volontà degli adulti di essere genitori e destinato a concorrere liberamente con quello naturalistico». Sul punto le Sezioni Unite, nel richiamare la sentenza n. 79/2022 della Corte costituzionale, hanno messo in evidenza che la fecondazione eterologa va tenuta distinta dalla maternità surrogata: nel caso di quest’ultima, infatti, «la genitorialità giuridica non può fondarsi sulla volontà della coppia» perché «dalla disciplina degli artt. 8 e 9 della legge 40 del 2004 non possono trarsi argomenti per sostenere l’idoneità del consenso a fondare lo stato di figlio nato a seguito di surrogazione di maternità» (p. 52).
La terza considerazione riguarda l’opportunità di affidare il riconoscimento della genitorialità a strumenti adeguati in grado di tutelare i minori, che non possono di certo essere quelli automatici. «L’instaurazione della genitorialità e il giudizio sulla realizzazione del miglior interesse del minore», affermano le Sezioni Unite, «non si coniugano con l’automatismo e con la presunzione, ma richiedono una valutazione di concretezza: quella valutazione di concretezza che postula il riscontro del preminente interesse del bambino a continuare, con la veste giuridica dello status, un rapporto di cura e di affettività che, già nei fatti, si atteggia a rapporto genitoriale». Una diversa soluzione, aggiungono le Sezioni Unite, «porterebbe a fondare l’acquisto della genitorialità sulla sola scelta degli adulti, anziché su una relazione affettiva già di fatto instaurata e consolidata».
Si tratta dunque di una sentenza importante, ricca di spunti di riflessione e che ribadisce, come già fatto dalla Corte costituzionale (cfr. sent. n. 33/2021), la necessità di un intervento del Legislatore in materia, volto a disincentivare la maternità surrogata e al tempo stesso a tutelare i minori che, malgrado il divieto, sono comunque nati mediante il ricorso a questa pratica.
Per quanto riguarda l’obiettivo di disincentivare la maternità surrogata, il caso in esame conferma che l’attuale disciplina normativa ‒ finalizzata a «porre un confine al desiderio di genitorialità ad ogni costo, che pretende di essere soddisfatto attraverso il corpo di un’altra persona utilizzato come mero supporto materiale per la realizzazione di un progetto altrimenti irrealizzabile» (p. 43) ‒ viene facilmente aggirata attraverso il c.d. “turismo procreativo”: dal momento che l’art. 12 comma 6 della Legge n. 40/2004 non sanziona le condotte commesse dai cittadini fuori dal territorio nazionale, le coppie interessate stipulano contratti di maternità surrogata all’estero, nei Paesi in cui la pratica è lecita, per poi tornare in Italia e chiedere il riconoscimento dei figli facendo leva sulla necessità di tutelare i diritti dei bambini ormai nati.
È quindi ormai evidente che per contrastare in modo efficace ed effettivo la maternità surrogata, in linea con quanto osservato dalla Cassazione e dalla Corte costituzionale, è necessario integrare l’attuale disciplina prevista dalla Legge n. 40/2004 estendendo il divieto e la sanzione penale anche alle condotte commesse all’estero. Nel corso della precedente legislatura sono state presentate due proposte di legge idonee al raggiungimento di questo scopo, la n. 306 (Meloni ed altri) e la n. 2599 (Carfagna ed altri).
Per quanto concerne invece i bambini nati mediante il ricorso alla maternità surrogata (e che continueranno a nascere fino a quando non verrà presa – anche a livello internazionale ‒ una posizione ferma contro tutti coloro che la promuovono o ne fanno richiesta) occorre individuare delle adeguate forme di tutela, che tengano conto di tutti gli elementi della questione. La Legge n. 40/2004, infatti, come osservato anche dalla Cassazione «non regola la sorte del nato malgrado il divieto» (p. 14)
La giurisprudenza, in attesa di un intervento da parte del Legislatore, ha optato per l’adozione in casi particolari (la c.d. stepchild adoption, ossia la possibilità per il genitore non biologico di adottare il figlio, naturale o adottivo, del partner), al fine di tutelare il diritto del minore al mantenimento dello status di figlio e delle relazioni familiari.
Tutto ruota pertanto attorno al concetto del superiore interesse del minore, che l’art. 3 della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza indica come preminente rispetto a qualsiasi altra considerazione quando devono essere prese delle decisioni che riguardano minori di età.
Ebbene, il dibattito attorno alla tutela dei minori nati da maternità surrogata, nonostante il continuo riferimento alla necessità di salvaguardare il superiore interesse del minore, sembra tuttavia essere viziato da un errore di fondo.
L’errore sta nel fatto di non dare un adeguato peso alla condotta di coloro che, pur di realizzare il proprio desiderio di genitorialità, non si sono fatti scrupoli a stipulare un contratto che, a ben vedere, oltre ad essere lesivo della dignità della donna, si basa su una reificazione dei bambini. Le clausole dei contratti di maternità surrogata sono agghiaccianti: i bambini vengono trattati come merce; le donne che danno il proprio ovulo, così come quelle che prestano il proprio corpo per l’impianto del feto in utero, vengono selezionate dai committenti sulla base di cataloghi che riportano le schede delle donne (età, estrazione sociale, colore di capelli e occhi ecc.); in caso di “difetti” dei bambini (es. malformazioni o colore della pelle diversa rispetto a quanto richiesto) i committenti possono anche recedere dal contratto. Potrebbero essere citati ancora altri elementi, ma già questi dovrebbero indurre ad una maggiore riflessione.
L’indagine relativa agli strumenti di salvaguardia dei minori nati da maternità surrogata deve allora necessariamente prendere le mosse dal “come” quei bambini sono stati concepiti e messi al mondo, altrimenti qualsiasi ragionamento rischia di essere viziato, con possibile pregiudizio per quei minori che lo Stato ha invece il dovere e la responsabilità di proteggere nel modo migliore.
La tutela del superiore interesse del minore consiste infatti, prima di tutto, nel garantire al bambino o all’adolescente uno sviluppo armonioso della sua personalità. La Corte EDU, nel necessario bilanciamento delle esigenze del minore, ha ritenuto che il diritto ad un sano ed equilibrato sviluppo psico-fisico sia preminente a tal punto da dover essere anteposto anche al diritto alla bigenitorialità e al diritto di vivere nella propria famiglia, quando l’ambiente familiare non sia adeguato alla sua crescita.
Come noto, lo Stato, a tutela dei minori di età, può intervenire per allontanare i figli dai genitori laddove ad esempio vi sia un’elevata conflittualità, laddove i genitori non comprendano i bisogni dei figli (o antepongano le proprie esigenze a quelle dei minori), laddove vi siano patologie o comportamenti dei genitori pregiudizievoli per i figli (es. condotte criminose, uso di sostanze stupefacenti, dipendenze patologiche) ecc. Sempre a tutela dei minori può essere previsto anche il monitoraggio del nucleo familiare da parte dei Servizi sociali.
Ebbene, alla luce di quanto osservato, dovrebbe essere sempre presa in considerazione la condotta di coloro che sono diventati genitori mediante la maternità surrogata, al fine di verificare in concreto le capacità genitoriali. Del resto coloro che avviano le pratiche per l’adozione seguono un percorso finalizzato proprio a garantire l’inserimento del minore in un nucleo familiare adeguato. Non si comprende per quale motivo dovrebbero invece sfuggire a simili controlli coloro che hanno deliberatamente violato la legge accedendo ad una pratica lesiva della dignità umana e che considera i minori – ancor prima che vengano alla luce – come “oggetto di un contratto”. Non si può trascurare il fatto che quei bambini vengono deliberatamente privati del diritto di conoscere le proprie origini biologiche, diritto sacrificato per soddisfare il desiderio di genitorialità degli adulti.
Le stesse Sezioni Unite hanno ricordato che il divieto di maternità surrogata «esprime l’elevato grado di disvalore che il nostro ordinamento attribuisce alla surrogazione di maternità» (p. 42), un disvalore che deve quindi essere considerato nel procedimento logico di individuazione della migliore tutela dei minori nati attraverso il ricorso a questa pratica disumana.
Tra l’altro, nella medesima sentenza, la Cassazione ha giustificato il ricorso all’adozione in casi particolari, in attesa di un intervento del Legislatore, osservando che in tal modo l’autorità giudiziaria può verificare le capacità genitoriali del genitore di elezione, in quanto «il provvedimento del giudice presuppone un giudizio sul miglior interesse del bambino e una verifica in concreto dell’idoneità del genitore istante» (p. 61). Lo stesso ragionamento, a tutela dei minori nati da maternità surrogata, dovrebbe tuttavia essere fatto anche per il genitore biologico. Non va infatti dimenticato che anche quest’ultimo ha aderito ad una pratica lesiva della dignità umana e quindi anche dietro al suo desiderio di genitorialità – soddisfatto attraverso lo sfruttamento del corpo altrui ‒ ben potrebbe celarsi un’incapacità di anteporre i bisogni del figlio ai propri.
Ne consegue che, prima ancora di pensare allo strumento per legalizzare il legame fra il minore e il genitore di intenzione, nell’ottica di tutelare in maniera piena ed effettiva i minori, bisognerebbe prevedere l’intervento dell’autorità giudiziaria finalizzato ad accertare in concreto le capacità dei componenti dell’interno nucleo in cui il minore risulta inserito, così come già avviene per le famiglie in difficoltà o i nuclei problematici, laddove si ravvisi il rischio di pregiudizio per i minori. Nel caso di coloro che hanno fatto ricorso alla maternità surrogata, in ragione del disvalore della pratica, dovrebbe ritenersi sempre sussistente un potenziale rischio di pregiudizio, in quanto non va sottovalutato che prima ancora del suo concepimento il minore è stato trattato alla stregua di un oggetto, strumentale alla realizzazione di un desiderio altrui.
In tal modo lo Stato garantirebbe ai minori un’effettiva tutela, peraltro in modo coerente con l’opportunità di evitare ogni automatismo e presunzione sottolineata dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 38162/2022 e con il principio di eguaglianza (con riferimento alla tutela prevista per i minori adottati).
Inoltre, nel rispetto dell’art. 9 della Convenzione di Strasburgo del 1996 sull’esercizio dei diritti dei minori (ratificata dall’Italia con la Legge n. 77/2003), in ragione del possibile conflitto di interessi fra le parti, andrebbe altresì garantita ai minori la difesa tecnica, vale a dire la nomina di un curatore speciale che possa dare voce alle loro esigenze e tutelare esclusivamente il loro superiore interesse, specie nei casi di bambini piccoli.
Leggi la sentenza sentenza n. 38162-2022.
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