L’intolleranza verso la religione
di Ernesto Galli della Loggia
Ormai, non solo le Chiese cristiane sono state progressivamente espulse quasi dappertutto da ogni ambito pubblico appena rilevante, non solo all’insieme della loro fede non viene più assegnato nella maggior parte del continente alcun ruolo realmente significativo nel determinare gli orientamenti delle politiche pubbliche – non solo cioè si è affermata prepotentemente la tendenza a ridurre il cristianesimo e la religione in genere a puro fatto privato – ma contro il cristianesimo stesso, a differenza di tutte le altre religioni, appare oggi lecito rivolgere le offese più aspre, le più sanguinose contumelie.
Ecco alcuni esempi, tra gli innumerevoli che potrebbero farsi, di quanto sto dicendo (tratti in parte da una dettagliata denuncia pubblicata su un recente numero di Avvenire). In Irlanda le chiese sono obbligate ad affittare le sale per le cerimonie di loro proprietà anche per ricevimenti di nozze tra omosessuali; a Roma, nel corso del concerto del Primo Maggio un cantante ha mimato il gesto rituale della consacrazione dell’ostia durante l’eucarestia avendo però tra le mani un preservativo al posto dell’ostia; in Danimarca il Parlamento ha approvato una legge che obbliga la Chiesa evangelica luterana a celebrare matrimoni omosessuali nonostante un terzo dei ministri di questa si siano detti contrari; in Scozia due ostetriche cattoliche sono state obbligate da una sentenza a prendere parte a un aborto effettuato dalle loro colleghe, mentre dal canto suo l’Ordine dei medici inglese ha stabilito che i medici stessi «devono» essere preparati a mettere da parte il proprio credo personale riguardo alcune aree controverse.
Ancora: in un recente video di David Bowie, in cui la celebre rockstar è abbigliato in modo che ricorda Gesù, la scena mostra un prete che dopo aver percosso un mendicante entra in un bordello e qui seduce una suora sulle cui mani subito dopo si manifestano le stigmate; in Inghilterra, a un’infermiera è stato proibito di portare una croce al collo durante l’orario di lavoro, mentre una piccola tipografia è stata costretta ad affrontare le vie legali per essersi rifiutata di stampare materiale esplicitamente sessuale commissionatole da una rivista gay; in Francia, in base alla legislazione vigente, è di fatto impossibile per i cristiani sostenere pubblicamente che le relazioni sessuali tra persone dello stesso sesso costituiscono secondo la loro religione un peccato. E così via in un profluvio impressionante di casi (per informarsi dei quali non c’è che andare sul sito wwww.intoleranceagainstchristians.eu).
Senza contare che ormai in quasi tutti i Paesi europei, al fine proclamato di impedire qualunque pratica discriminatoria, è stata cancellata l’erogazione di fondi alle istituzioni cristiane, così come è stata cancellata la clausola a protezione della libertà di coscienza nelle professioni mediche e paramediche. Non si contano infine in tutte le sedi più o meno ufficiali, a cominciare da quelle scolastiche, i casi di cancellazione, a proposito delle relative festività, della parola Natale, sostituito dal neutrale «vacanze invernali» o simili.
Ce n’è abbastanza da suscitare la preoccupazione di qualunque coscienza liberale. Qui infatti non si tratta tanto di cristianesimo, di Chiesa, o di religione, bensì di qualcosa di ben più importante: si tratta di libertà. E di storia. Di consapevolezza cioè che in Europa la libertà religiosa ha rappresentato storicamente l’origine (e la condizione) di tutte le libertà civili e politiche. Essere assolutamente liberi di adorare il proprio Dio, di propagarne la fede, di osservarne i comandamenti, di aderire alla visione del mondo e al senso dell’esistere che questi definiscono, di praticarne pubblicamente il culto; ma anche naturalmente essere libero di non avere alcun Dio e alcun culto: da qui è partito il cammino della libertà europea. E c’è bisogno di ricordare che si è trattato del Dio cristiano?
La libertà religiosa vuol dire alla fine null’altro che la libertà della coscienza, cioè il non essere obbligati per nessuna ragione ad abbracciare idee o comportamenti contrari ai dettami accettati nel proprio foro interiore. Che è appunto la libertà di autodeterminarsi: e pertanto anche di parlare, di scrivere, di discutere a sostegno delle proprie convinzioni, così come di ascoltare quelle altrui e magari farsene convincere.
Insomma, libertà religiosa da un lato e dall’altro libertà di opinione e di parola – che sono i due pilastri della libertà politica – vanno all’unisono. È innanzi tutto da questo punto di vista, dunque, che è quanto mai preoccupante il fatto che oggi, in Europa, in molti luoghi e per molti versi, la libertà dei cristiani appaia oggettivamente messa in pericolo. E non importa che ciò avvenga per il proposito di proteggere da supposte discriminazioni questa o quella minoranza. È anzi semplicemente paradossale, dal momento che nell’attuale panorama del continente sono i cristiani in quanto tali che appaiono una minoranza. Lo sono di certo – e massimamente i cristiani cattolici e la loro Chiesa – rispetto al mainstream dell’opinione e del costume dominanti e culturalmente accreditati.
Basta vedere come nelle materie più scottanti alcuna voce autorevole, riconosciuta generalmente come tale, si alzi quasi mai a sostegno del loro punto di vista; come ogni accusa nei confronti loro e del loro clero raccolga sempre larghissimo favore; come ogni attribuzione di responsabilità storica per qualunque cosa negativa del passato, anche la più fantasiosa, sia invece sempre di primo acchito giudicata fondatissima.
È forse ora che l’Europa che si dice e si vuole «Europa dei diritti» – ma che finisce troppo spesso per essere solo l’Europa del pensiero unico politicamente corretto – ricordi il celebre ammaestramento di una grande figlia dell’ebraismo rivoluzionario, Rosa Luxemburg. La quale si può presumere che come ebrea e rivoluzionaria sapesse bene ciò di cui parlava: «La libertà è sempre e solo la libertà di chi la pensa diversamente».