Mauro Ronco
(Professore ordinario di Diritto Penale nell’Università di Padova)
All’inizio di giugno è iniziato in Commissione Giustizia della Camera l’esame della proposta di legge, primo firmatario l’on. Ivan Scalfarotto, del PD, «per il contrasto dell’omofobia e della transfobia». Attesa l’importanza della cosa, è urgente manifestare con chiarezza le gravi perplessità che sconsigliano l’approvazione della legge. Il nocciolo della proposta, che reca aggiunte alla legge n. 205/1993 (destinata a contrastare la violenza discriminatoria motivata da odio etnico, nazionale, razziale o religioso), sta nella punizione, con la reclusione fino a 1 anno e 6 mesi, oltre di chi incita a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, altresì di chi incita a commettere o commette atti di discriminazione motivati dall’identità sessuale della vittima.
La portata della norma è difficilmente percepibile da chi non sia esperto di cose giuridiche. Per esemplificarne il senso va detto che, alla stregua di tale proposta, potrebbero essere sottoposti a processo, in quanto incitanti a commettere atti di discriminazione per motivi di identità sessuale, tutti coloro che sollecitassero i parlamentari della Repubblica a non introdurre nella legislazione il “matrimonio” gay e, ancor più, tutti coloro che proponessero di escludere la facoltà di adottare un bambino a coppie omosessuali.
Invero, secondo l’ideologia appena accolta dalla Corte Suprema degli Stati Uniti, non ammettere una coppia gay al matrimonio costituirebbe discriminazione motivata dall’identità sessuale. Una campagna di opinione organizzata affinché i parlamentari si opponessero al “matrimonio” gay, costituirebbe, pertanto, incitamento a commettere atti di discriminazione penalmente punibili.
Una norma così concepita costituisce una inammissibile violazione del principio della libera manifestazione del pensiero, tutelato dall’art. 21 della Costituzione. Si tratta di un diritto inviolabile e insopprimibile, essenziale per la stessa esistenza di un sistema democratico, non modificabile neppure con il procedimento di revisione costituzionale. Alessandro Pace, tra i più autorevoli costituzionalisti italiani, ha scritto, sulla scia di numerose sentenze della Corte Costituzionale: «Il riconoscimento del diritto di libera manifestazione del pensiero caratterizza la forma di Stato vigente in Italia, costituendo esso la “pietra angolare” e il “cardine” del regime di democrazia garantito dalla Costituzione». Né può addursi, a sostegno della limitazione di tale diritto una pretesa «moralità costituzionale», ipoteticamente diretta a promuovere la pari dignità sociale delle persone, l’uguaglianza dei sessi o dei “generi”, il rifiuto della violenza.
Non si può infatti confondere il compito di promozione dei valori suddetti, che la Costituzione pone a carico delle istituzioni pubbliche, con un limite alla libertà di pensiero, che produrrebbe la funzionalizzazione autoritaria di un diritto fondamentale nella sfera più delicata dei convincimenti etici. Né si può risolvere il problema richiedendo la previsione di una causa di giustificazione speciale, quasi una obiezione di coscienza, a favore di coloro che ritengono le pratiche omosessuali contrarie alla natura metafisica, psicologica e biologica dell’uomo. Il punto è ben più grave.
La proposta di legge costituisce la via per l’omologazione autoritaria della morale, facendo del relativismo etico un parametro legislativo incontestabile. Non è in gioco, infatti, soltanto la libertà di esprimere giudizi critici sulle pratiche omosessuali, bensì, più radicalmente, la libertà di manifestare il proprio pensiero contro la dittatura del relativismo, che vorrebbe l’equiparazione indistinta di tutte le pratiche sessuali, oggi dell’omosessualità, domani delle pratiche sadistiche e masochistiche e, infine, forse, della bestialità e di altre pratiche oggi ancora ritenute inaccettabili.
Coloro che propongono la legge sono consapevoli del suo significato epocale. Parlano, infatti, di norma a carattere simbolico. Lo ha detto Scalfarotto il 6 giugno scorso. Secondo lui, è questo: «Uno di quei casi in cui la norma penale ha un effetto simbolico e contribuisce a costruire la modernità di un paese e la cultura di una comunità».
Con le norme cosiddette simboliche si costruisce autoritariamente la morale attraverso la legge. Nel caso, lo scopo è rendere impossibile, attraverso la minaccia penale, ogni critica al modello relativistico di vita. Nella precedente legislatura, sentito come esperto in sede di Commissione Giustizia della Camera, avevo espresso alcune gravi perplessità sull’analoga proposta di legge pendente in Parlamento nel 2009 (la proposta fu poi accantonata perché la grande maggioranza dell’Aula la dichiarò incostituzionale). Rilevando il carattere ideologico della norma, avevo posto in luce che gli atti di discriminazione motivati dall’odio contro l’orientamento sessuale sono già puniti adeguatamente nella legislazione attuale, grazie all’aggravante dei motivi abietti.
L’on. Scalfarotto, falsificando i dati, sostiene ora che l’aggravante da me indicata sarebbe stata quella dei «futili motivi», traendone spunto per definire «bizzarra» la mia obiezione alla pretesa esigenza di introdurre una nuova norma punitiva. In realtà, l’aggravante del carattere abietto dei motivi è lo strumento giuridico più congruo per stigmatizzare l’odiosità del comportamento di chi offende altri per via dell’orientamento sessuale: i motivi abietti, invero, sono quelli turpi e ignobili, espressione di un sentimento spregevole, che rivela un grado tale di perversità da destare ripugnanza al senso di umanità.
Non in tutti i paesi europei, peraltro, esistono norme del tipo di quelle di cui si propone l’introduzione. Nella Repubblica Federale tedesca il § 130 del codice punisce i comportamenti, idonei a pregiudicare la pace sociale, di coloro che istigano all’odio e alla violenza contro parti della popolazione ovvero che aggrediscono la dignità dell’uomo, calunniandolo o disprezzandolo, nonché i comportamenti di coloro che pubblicano scritti aventi le medesime caratteristiche. Nulla, nel modo più assoluto, v’è, nel codice germanico, di simile a ciò che si vorrebbe introdurre nel codice italiano.
La proposta di legge sull’omofobia, pertanto, non merita di entrare nel nostro ordinamento. Opporvisi non è una battaglia di retroguardia, tesa a garantire chissà quale privilegio o quale ingiustificata impunità. Ogni violenza, come ogni istigazione alla violenza, anche quella per motivi di orientamento sessuale, è già punita dal codice, con pene più gravi di quella comune, perché abietta e spregevole. L’opposizione alla legge va intesa come tutela della libertà di espressione del pensiero, fondamento di tutte le libertà civili nel quadro costituzionale vigente.