Il Timone n.231 Settembre 2023
Nel 1797, alla vigilia della festa dei santi Pietro e Paolo, un’esplosione sconvolse Roma. Decine di vittime. Un vero atto terroristico di probabile matrice giacobina
«Non è che tutti i francesi siano ladri ma Bonaparte si». Questa pasquinata che apparve in Roma dopo la tempesta napoleonica non rende appieno lo spaventoso bilancio in vite umane e in cultura che costò il ventennio giacobino all’Europa. C’era dunque un motivo se il popolo minuto nel 1796 si rivolse alla Madonna («… rivolgi a noi quegli occhi tuoi misericordiosi…») e Lei rispose nel modo che ho illustrato assieme a Vittorio Messori, ne Gli occhi di Maria (appena pubblicato da Ares). Fu «il più grande spostamento di opere d’arte della storia» ed è pure difficile stabilire quante di esse «di valore unico andarono distrutte o disperse» (P. Wescher). Per esempio, se i francesi non si portarono via gli affreschi di Raffaello dalle Stanze Vaticane fu perché non ne erano capaci: già, con lo stesso intento, avevano sbriciolato affreschi e fatto crollare muri in varie chiese d’Italia, perciò rinunciarono. Ma non esitarono a fondere il Gioiello di Vicenza del Palladio: un ex-voto che rappresentava un plastico in argento della città. E cissà quale miracolo impedì loro di fare lo stesso con le opere orafe del Cellini.
18 secoli di «memoria dell’Occidente»
Quando Napoleone fu a Sant’Elena, le potenze occupanti Parigi cercarono di recuperare quel che loro era stato sottratto, ma era così tanta la refurtiva che, senza un dettagliato catalogo, era difficilissimo anche solo sapere che cosa riprendere e dov’era. La Chiesa, che era la maggiore spoliata, mandò il Canova, che fu costretto a scegliere. Infatti, per quanto riguarda i dipinti, molti erano stati distribuiti ai musei locali e la Chiesa, saggiamente, decise di lasciarli dov’erano, in vista del lavoro di ri-cristianizzazione capillare da effettuarsi in Francia dopo i disastri della Rivoluzione atea.
E non c’era solo l’arte da riportare a casa (metà dei quadri rimase per sempre in Francia), ma anche i documenti. Gli invasori si erano portati via l’intero Archivio della Santa Sede, cioè diciotto secoli di «memoria dell’Occidente» (A. Pellicciari). Carte, papiri, pergamene. Il re restaurato Luigi XVIII davanti all’inviato pontificio allargò le braccia: monsignore, le mie casse sono vuote e ho un paese invaso; fate voi se riuscite. E quello ci provò, ma solo per scoprire che molte di quelle carte erano finite a far fuoco nei caminetti o al mercato per incartare il pesce.
Furti internazionali
Fu così che furono perse parti importanti dei processi di Galileo e Giordano Bruno. Ma se siete curiosi del tema leggete Napoleone ladro d’arte di G.E. Cavallo (D’Ettoris). La spoliazione sistematica ventennale interessò anche Portogallo, Spagna, Belgio, Paesi Bassi ed Europa centrale, e ogni Paese risolse la cosa a modo suo. La Spagna per esempio, fece sfondare dall’esercito le porte del Louvre senza aspettare che finisse il Congresso di Vienna. Ma l’Italia era divisa in staterelli, e la Chiesa per ovvi motivi non poteva agire manu militari. Certe cose poi erano da considerarsi perdute per sempre, danni di guerra. Ecco, per esempio, non tutti sanno quel che vado a riferire. I francesi col giacobinismo, si erano assicurati una quinta colonna in tutti i Paesi d’Europa. «Afrancesados» li chiamavano gli spagnoli, direttamente «giacobini» gli italiani. Forse erano due di questi quelli che il 28 giugno 1797 organizzarono uno spettacolare attentato a Roma al fine di agevolare l’invasione francese.
Spettatori da tutta Europa
L’indomani era la festa dei santi Pietro e Paolo, patroni della città. E in Castel Sant’Angelo si organizzava la famosa “Girandola”, una meraviglia che attirava spettatori da tutta l’Europa. Era un grandioso spettacolo pirotecnico che pare fosse stato ideato da Michelangelo per papa Giulio II. Ci informa il sito michelangeloetornato.com che le tecniche usate dai maestri fuochisti per ottenere quello show unico al mondo sono andate perdute, anche perché erano un segreto tramandato di padre in figlio. La tradizione si interruppe nell’Ottocento e non fu mai più ripresa. Ma prima di allora solo nel 1797 registrò uno stop., et pour cause, come vedremo.
In quell’anno il generale Bonaparte aveva conquistato mezza Italia e tolto Marche e Romagna al Papa. Mancava solo Roma (ed è proprio durante la sua marcia di avvicinamento che le Madonnelle romane presero a muovere miracolosamente gli occhi). Due collaborazionisti si incaricarono di facilitargli le cose organizzando un mega-attentato alla fortezza cittadina, Castel Sant’Angelo, dove i Papi usavano rifugiarsi in caso di pericolo e pressochè imprendibile. Lì c’era la polveriera e, per soprammercato, l’occorrente per i grandiosi fuochi dell’indomani. I due, forse travestiti da fuochisti, riuscirono a intrufolarsi e, si suppone tramite una miccia a tempo, a far esplodere la santabarbara.
20 uccisi, 16 feriti
Crollò un intero bastione, venti persone rimasero uccise e altre sedici gravemente ferite. Il tremendo boato si udì in tutta la città. Lo spostamento d’aria danneggiò seriamente gli edifici vicini e le vibrazioni provocarono il distacco di un pezzo consistente degli affeschi michelangioleschi del Giudizio universale nella non lontana Cappella Sistina. L’intonaco dipinto, raggiunto il pavimento, si polverizzò per sempre. La parte interessata è quella del Diluvio universale, nella zona dove c’è la Sibilla Delfica: al poto di una intera figura nuda non c’è più niente, come ancora oggi si può costatare alzando gli occhi alla volta.
E anche questo danno irreparabile al patrimonio dell’umanità va addebitato a Napoleone, che a quel tempo era solo un giovane imbevuto di idee giacobine ansioso di far bella figura coi nuovi padroni di Parigi. I quali, tagliatori di teste incapaci di amministrare, chiedevano solo una cosa: bottino, avendo con le loro follie ideologiche ridotto la Francia a un cimitero di affamati. D’altra parte ricordiamoci che il termine “terrorismo” l’aveva inventato proprio Robespierre con i suoi due anni di Terrore, che insegnarono ai francesi a dimenticare i loro usi millenari per adottarne i nuovi.
Non a caso gli eredi italiani dei giacobini, i risorgimentali, replicarono sempre a Roma l’attentato terroristico vile e clandestino: fecero saltare in aria la Caserma Serristori nel 1867, uccidendo una trentina di zuavi della banda musicale più alcuni passanti, tra i quali un bambino. Si noti la data. E gli attentatori, in due anche qui; ma di loro sappiamo i nomi, visto che furono giustiziati: Monti e Tognetti, tre anni dopo celebrati come “patrioti” dai Piemontesi invasori. Azioni insensate e inutili, sia nel 1797 che nel 1867. E anche dopo perché, com’è noto, a Roma l’abitudine dinamitarda è continuata. Sempre sparando in una reazione popolare favorevole. Che mai si fu, perché il popolo mai solidarizzò con certi “eroismi”.
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