Rivista Militare Marittima n. 8/2012 agosto – settembre 2012)
Il frastuono e la confusione giornalistica dell’evento maschera uno dei problemi che sono alla base della crisi: la sopravvivenza della minoranza alawita in Siria. Analisi di un passato poco conosciuto.
In sostanza, 40 anni fa, la conquista della capitale siriana ha costituito per gli Alawiti una rivincita storica, in quanto essa li liberava dal disprezzo e dall’oppressione che erano stati loro inflitti sino a quel momento da tutti gli imperi sunniti, che, in successione, hanno dominato la regione. Questa conquista si presentava ai loro occhi come la sola opzione possibile, a seguito del fallimento definitivo del progetto di uno stato indipendente, nato durante il mandato francese sui territori attuali del Libano e della Siria, autorizzato nel 1920 alla Conferenza di Sanremo e confermato due anni dopo dalla Società delle Nazioni (SDN).
L’esercito francese, schierato in Siria a partire dal 1919, si scontra immediatamente con la resistenza dei sunniti autoctoni, ai quali, la Gran Bretagna, nemica dei Turchi, aveva promesso di integrare il loro paese in un più vasto regno arabo governato dall’emiro Faysal, figlio di Hussein, lo sceriffo della Mecca, del clan degli Hashemiti. La Francia, vincitrice a Mayssalun (24 luglio 1920), diventa padrona di Damasco e di tutta la Siria, costringendo Feysal ad esiliarsi a Bagdad, dove viene messo sul trono, dagli Inglesi, di uno stato espressamente inventato per lui, l’Irak.
Il generale francese Henri Gouraud, di stanza a Beyrut, nel corso del 1920 viene nominato Alto Commissario con l’incarico di organizzare i futuri stati, in conformità alla carta dei mandati. Il titolare di un mandato (istituzione distinta dal protettorato, imposta degli Stati Uniti d’America in occasione della Conferenza della Pace riunita a Versailles nel 1919), aveva come missione, per delega della SDN, di consigliare, aiutare e guidare le popolazioni a lui affidate, con l’obbiettivo di prepararle progressivamente ad una completa sovranità.
Tuttavia, nel mandato non veniva stabilito alcun termine temporale per la conclusione di tale missione, che lasciava al mandatario anche la possibilità di favorire le autonomie locali. Questa clausola servirà di giustificazione alla Francia per suddividere la Siria in diverse entità, dotate di differenti statuti, allo scopo di rispettare l’identità delle “minoranze compatte”.
Dopo aver proclamato il “Grande Libano” multi confessionale, Gouraud instaura in Siria una Federazione formata da due stati, Damasco ed Aleppo, a maggioranza sunnita e due territori autonomi, quelli degli Alawiti e del Gebel (montagna) dei Drusi. Da parte loro, i Cristiani, dispersi nell’insieme del paese, non verranno a beneficiare di nessun statuto separato. In ognuna di queste entità, l’Alto Commissario era rappresentato da un delegato, assistito da funzionari, che supportava dei “consigli rappresentativi”, composti di eletti locali, embrione dei futuri stati indipendenti.
Nel 1922, i Territori degli Alawiti e dei Drusi vengono elevati al rango di Stati, con capitali rispettivamente a Latakia e Sueida. Poi, nel 1925, sotto l’alto commissariato del generale Maxime Weygand, vengono unificate sotto il nome di Stato della Siria, mentre gli Alawiti restano sotto l’amministrazione diretta della Francia. Questo provvedimento derivava, secondo uno studio dell’epoca, dall’insufficienza dell’evoluzione intellettuale di un “piccolo popolo”, del quale, tuttavia, stimava “l’intelligenza e la flessibilità” e che prevedeva che sarebbe stato “entro poco tempo uno dei primi del Levante” (1). Nel 1930, la Francia trasforma il nome di Territorio degli Alawiti in quello di “Governatorato di Latakia”, in modo da togliergli la sua connotazione religiosa.
Vediamo ora quale è stato l’atteggiamento degli Alawiti nei confronti della tutela francese. I capi delle tribù alawite, avendo fallito nella loro rivolta (1919-21) contro la nuova potenza che, in pratica, sostituiva quella ottomana, si rendono conto ben presto che era nel loro interesse di accettare il mandato della SDN. La Francia, da parte sua, di fronte all’aperta ostilità delle nazionalità sunnite, decide di fare degli Alawiti degli alleati, privilegiando, a tal fine, lo sviluppo del loro feudo ancestrale, il Gebel Ansarieh, posto ai bordi del Mediterraneo, fra il Libano settentrionale e la provincia di Alessandretta (l’attuale Iskenderun turca).
Per gli Alawiti si trattava, a quel punto, di sfuggire alla secolare dominazione sunnita, dai quali avevano molto sofferto sin dalle loro origini nel 9° secolo. Il loro fondatore, Mohamed Ibn Noçair (morto nell’873), sciita nativo di Bassora nella Mesopotamia, aveva sviluppato una dottrina esoterica e sincretista lontana dai principi fondamentali dell’Islam, da cui il nome di Noçairis, che essi portano fino dal 1920, data in cui essi ottengono dalla Francia di essere denominati Alatiti (2), per riferimento religioso ad Alì, genero di Maometto e padre spirituale dello sciismo.
La religione alawita erige Alì al rango di quasi divinità, posta al sommo di una “trinità”, che prevede ugualmente Maometto ed il suo compagno Salman. L’alawitismo fa riferimento ad altre tradizioni, quali determinati riti cristiani e pagani e riserva a degli iniziati maschi la conoscenza dei suoi dogmi e pratiche religiose, contenuti nell’El Kitab madjimu El-A’Ayad (Il Libro-raccolta delle Feste). Gli Alawiti, in conseguenza del loro credo, vengono considerati dai Mussulmani come degli eretici ed, in tale contesto, viene loro raccomandato di praticare la Taqiya (dissimulazione), atteggiamento che può arrivare persino all’adozione di altre pratiche religiose, il più frequente sunnite, allorché si rende necessario.
Lo scrittore britannico Henri Maundrell, attraversando il loro paese nel 17° secolo, notava che “ad imitazione del camaleonte, essi prendono il colore della religione, qualunque possa essere, delle persone con le quali conversano. Con i Cristiani, essi fanno professione di cristianesimo, sono maomettani con i Turchi ed ebrei con i giudei (3)”. Rintanati nelle pieghe del Gebel Ansarieh per sfuggire alle persecuzioni ed al di fuori del periodo delle Crociate che è stato loro favorevole, gli Alawiti sono sempre vissuti in società chiuse, astenendosi da qualsiasi forma di proselitismo.
Sebbene regolarmente sottomessi alle imposte, la loro eterogeneità religiosa, li aveva privati di qualsiasi istruzione e di qualsiasi miglioramento del loro territorio. Inoltre, essi non hanno beneficiato, come i loro vicini del sud, i Libanesi, delle influenze provenienti dall’Europa. Dal momento in cui la Francia prende possesso di questa regione, essa dà inizio ad un vasto programma di sviluppo, di modernizzazione, di valorizzazione dei suoli e di emancipazione, progetti per i quali effettua investimenti decisamente molto più rilevanti rispetto a quelli destinati al resto della Siria ed al Libano e tutto questo nonostante la relativa ampiezza del territorio alawita (6.500 Km2).
I Francesi, inizialmente rappresentati sul posto dal colonnello Nieger, costruiscono 195 Km. di strade principali e 716 Km. di strade secondarie. Vengono aperti degli ospedali, scuole e fattorie-scuola e le loro città e villaggi vengono abbelliti, fra le quali, in particolare la capitale Latakia, dove viene realizzato un porto moderno. Per quanto riguarda l’organizzazione giudiziaria, a somiglianza della “Gente del Libro” (ebrei e cristiani) e dei membri di altri gruppi dissidenti dell’islam (sciiti, ismailiti e drusi), gli Alawiti dispongono di propri tribunali, competenti per tutto quello che rientra nello statuto personale, sfuggendo, in tal modo, al diritto mussulmano peraltro in vigore in questo campo. Infine, l’accesso gratuito all’Accademia Militare di Homs, permette loro di entrare nell’Esercito del Levante, nel quale veniva privilegiato il reclutamento proveniente dalle minoranze.
Gli Alawiti erano convinti che il mandato sarebbe inevitabilmente sfociato sul riconoscimento definitivo di un loro stato. Tuttavia, a partire dal 1930 la Francia cambia orientamento e da quel momento inizia ad operare in direzione dell’unificazione della Siria. La conclusione del Trattato anglo-irakeno (30 giugno 1930), che segna la fine del mandato britannico sulla vecchia Mesopotamia, spinge i militanti anti francesi (Partito del Popolo e Blocco Nazionale Siriano) a rivendicare la loro indipendenza, proponendo un trattato di amicizia con Parigi, ma alla sola condizione che fosse realizzata l’unità del loro paese, richiesta che implicava la dissoluzione del Gebel dei Drusi e del Governatorato di Latakia. I soli tre sunniti, presenti nel Consiglio rappresentativo del Governatorato alawita, approvano la richiesta dei loro correligionari.
Di fronte alla piega assunta dagli avvenimenti, alcuni eletti e notabili alawiti, profondamente ostili alla loro riunificazione a Damasco, moltiplicano le loro azioni presso le autorità francesi al fine di impedire una tale prospettiva. L’8 e l’11 giugno 1936, Ibrahim El-Kinj, presidente del Consiglio rappresentativo di Latakia, indirizza al presidente del Consiglio francese, Leon Blum, due lettere, nelle quali egli dimostra che l’unità siriana non si basa su alcuna considerazione storica, religiosa, politica, economica o amministrativa e che l’orientamento assunto dai Francesi avrebbe imposto una egemonia esterna insopportabile per gli Alawiti.
“Per consentirvi di rendervi conto della profondità dell’abisso che ci separa dai Siriani e di immaginare la disastrosa catastrofe che ci incombe, noi vi preghiamo di voler delegare sul posto una commissione d’inchiesta parlamentare, al fine di constatare la situazione attuale e per giudicare l’improponibilità della annessione degli Alawiti alla Siria senza correre il rischio di una sanguinosa tragedia che provocherà una macchia nera nella storia della Francia. … Noi ci rifiutiamo di riconoscere, a qualunque costo, qualsiasi soluzione o qualsiasi accordo che impegna il nostro futuro senza il nostro accordo (4)”.
Parallelamente gli Alawiti concepiranno un progetto di annessione al Libano. Il 24 giugno 1936, 12 membri del Consiglio rappresentativo, in seno al quale figuravano anche dei cristiani, scrivono in tal senso al ministro degli Esteri francese Yvon Delbos. “In tempi passati, il territorio di Latakia dipendeva amministrativamente dal Vilayet (circoscrizione amministrativa ottomana) di Beyrut. … Tale vilayet (Libano), composto da minoranze come noi, rispetterà perlomeno il nostro credo religioso, le nostre tradizioni, la nostra dignità, la nostra sicurezza, mentre la Siria costituisce l’oppressione morale e sociale, il fanatismo religioso, che tende allo sterminio degli Alawiti, come è provato dalla storia (5)”.
In due memorie, datate 28 luglio e 20 agosto 1936, gli stessi rappresentanti eletti aggiungono una serie di argomenti a suffragio delle loro richieste, facendo presente l’intenzione di presentare un ricorso alla SDN per sollecitare la designazione di un’altra potenza mandataria in caso di disattesa della loro petizione (6). Nel 1937, una delegazione composta da quattro alawiti e quattro cristiani, fra i quali l’avvocato maronita Naufal Elias, si recano nel Libano per supplicare il patriarca maronita, monsignor Antonio Arida, di sostenere a Parigi la loro richiesta.
Al prelato libanese essi indirizzano un messaggio di questo tono: “Noi siamo dei vicini ed abbiamo nemici in comune – i mussulmani sunniti – e noi vogliamo sfuggire alla loro egemonia”. In realtà, il prelato maronita, associando gli Alawiti agli Sciiti, già numerosi nel Paese dei Cedri e per paura di modificare sensibilmente il delicato equilibrio libanese, rifiuta questa proposta, appoggiato in tale atteggiamento dallo stesso presidente libanese Emilio Eddé, anch’egli maronita.
Il problema della Siria, per i Francesi, coinvolge evidentemente una visione ben più ampia del nuovo stato da costituire, che, senza il governatorato di Latakia, si troverebbe senza uno sbocco al mare e perché il nuovo stato in questa situazione accetterebbe la presenza del Libano. In ogni caso, in una memoria del 2 luglio 1936, destinata alla Francia, ben 87 alawiti opteranno comunque per la loro annessione a Damasco, dichiarandosi mussulmani.
Uno di essi, Alì Suleiman (7), padre di Hafez El-Assad, si presenta “come vecchio membro della costituente alawita”. Questo atteggiamento, probabilmente dettato dalla Taqiya, non convince peraltro l’Alto Commissario che conosceva la situazione e sapeva perfettamente che la stragrande maggioranza degli Alawiti temeva di doversi sottomettere ad un potere sunnita.
Ma ormai gli avvenimenti avevano preso un’altra direzione e gli eventi avranno una rapida concatenazione. Parigi aveva fatto la sua scelta: l’alleanza con Damasco ed il suo corollario, l’unità siriana, salvaguardando il Libano. I negoziati sfociano nella firma, il 9 settembre 1936, di un trattato franco-siriano, che non verrà ratificato da nessuno dei due contraenti. Tuttavia con un Decreto del 5 dicembre seguente, l’Alto Commissario Damiano De Martel annette gli Alawiti alla Siria.
Allorché l’Esercito francese, lacerato dalla lotta intestina che opponeva fautori di Vichy ai Gollisti, rivalità abilmente sfruttate dagli Inglesi nel Medio Oriente (8), conclude l’evacuazione del territorio siriano nell’aprile 1946, la Siria risulterà completamente riunificata, ad eccezione del Sangiaccato di Alessandretta, passato alla Turchia. In definitiva gli eventi attuali della Siria dipendono in gran parte dalle scelte operate dalla Francia nel 1936 e dal fatto che gli Alawiti, per secoli dominati e perseguitati dal potere sunnita, da oltre 40 anni dominano a loro volta il resto del Paese.
NOTE
(1) O’Zoux Raymond, “Gli Stati del Levante sotto mandato Francese”, Parigi, 1931, pag. 104;
(2) Non bisogna confondere gli Alawiti-Noçairis con la dinastia alawita del Marocco, la quale si riferisce alla genealogia e non ad una confessione; il re del Marocco, discendente da Maometto, attraverso Alì, professa il Sunnismo;
(3) “Viaggio da Aleppo a Gerusalemme”, citato da Dussaud René, in “Storia e religione dei Noçairis”, Emile-Bouillon, Parigi, 1900, pag. 158;
(4) Archivi del Quai d’Orsay, “Siria-Libano”. Doc. E-492;
(5) Archivi del Quai d’Orsay, “Siria-Libano”. Doc. E-493;
(6) Archivi del Quai d’Orsay, “Siria-Libano”. Doc. E-493;
(7) In seguito Alì Suleiman aggiungerà al suo patronimico quello di “Assad” (Leone). Archivi del Quai d’Orsay, “Siria-Libano”. Doc. E-493;
(8) Su questo episodio vedasi: de Wailly Henri, “Libano, Siria: il Mandato (1919-1940) ed il 1945”, Perrin, 2010 e “L’Impero spezzato”, Perrin, 2012.