Donne e uomini: differenti o complementari?

Il Corriere del Sud 31 dicembre 2023

 Dalla nostalgia dell’amor perduto alla ri-generazione di un progetto comune di vita

di Cosimo Russo

Chiunque si sia confrontato con questioni legate al rapporto donna-uomo è perfettamente consapevole dell’impossibilità di costringere la multiforme ricchezza dell’animo umano in un vademecum informativo che descriva, in dettaglio, le tappe del viaggio di ciascuno e di ciascuna nella sua relazione sentimentale, soprattutto se entrata in crisi.

Molto spesso le relazioni di coppia che entrano in sofferenza sono caratterizzate da un fil rouge: la dissoluzione. A ben guardare, tuttavia, c’è dell’altro.

Volendo provare ad accedere ad un piano di lettura più profondo, si scopre che la dissoluzione che promana dal vissuto delle coppie disfunzionali affonda le proprie radici nell’incapacità di generare una visione di insieme, un progetto di vita.

Pertanto, qualsiasi forma di aiuto si desideri prestare alle coppie che attraversano un periodo difficile non può prescindere dalla riscoperta delle loro radici e, in particolare, dalla identificazione del momento fondativo della relazione.

Non di rado la coppia legata sentimentalmente entra in crisi quando i suoi protagonisti smettono di porsi le domande giuste: in cosa consiste l’essenza del nostro stare insieme? In cosa consiste, se esiste, l’essenza dell’essere maschi? In cosa consiste, se esiste, l’essenza dell’essere donne? Ed infine: a cosa danno origine un “maschile” ed un “femminile” che vivono una accanto all’altro?

Porsi le domande giuste agevola l’azione di portare alla luce le energie positive latenti nella coppia alle quali attingere per la risoluzione dei litigi.

Un primo dato dal quale non si può prescindere è che maschile e femminile non sono comprensibili al di fuori della loro complementarità, cioè della rispettiva capacità di entrare in comunione. Questa comunione di persone, a sua volta, è il coronamento di un percorso durante il quale i due amanti, prima di entrare in intimità di vita e di affetti, avranno conseguito un congruo livello di consapevolezza di quello che sono e di quello che possono essere; in altre parole: si siano formati un’identità personale. Uomo e donna non potranno, cioè, mettere a tema il loro assortimento sessuale se prima non avranno colto, vivendoli, gli elementi specifici relativamente alla loro mascolinità e femminilità.

Uomo e donna compiono, rispettivamente, due differenti percorsi per giungere alla definizione delle rispettive identità.

Per la donna è sufficiente imitare sua madre. Ella, cioè, trova immediatamente accessibile il modello di femminilità al quale ispirarsi. Gli anni della simbiosi con la madre le saranno favorevoli proprio in tal senso: l’acquisizione della identità femminile, del modo di stare al mondo come donna, costituirà una naturale prosecuzione della vita di relazione madre-figlia.

Da qui, da questa immediata fruibilità di un modello cui ispirarsi, deriva la minore fatica femminile nel divenire adulti. Tutto questo rende la figura femminile la più forte in una relazione sessualmente assortita: ella avrà sviluppato una facilità nel vivere cui consegue un ottimismo interiore che la renderà incredibilmente attraente nei confronti dell’uomo. Per questo la donna è depositaria di un dono, oggi troppo sottovalutato, che consiste nel possedere un antidoto verso il peggiore dei dolori: il dolore di esistere.

Ella è capace di iniettare nel circolo vitale dell’esistenza umana una dolcezza, una tenerezza, un balsamo che rendono ogni vita davvero meritevole di essere vissuta. Perché questo è, per lei, un punto decisivo: la passione, l’istinto, per la vita, per l’atto di essere. Questa passione per l’esistenza in sé polverizza in un soffio tutte le preoccupazioni e le difficoltà perché ella sa, nelle sue fibre più profonde, che la morte non ha cittadinanza.

Tutto questo la donna lo sa molto bene perché la vita di ogni essere umano ha iniziato ad esistere ed ha preso forma nel suo grembo. In questo senso ella ha una vera e propria competenza distintiva: la donna è capace di “fare spazio” nel suo mondo. Questo aspetto tipizzante l’essenza femminile rende la donna incredibilmente attraente: non vi è nulla di più bello, infatti, che vivere e la donna, in qualche modo per fortuna ancora misterioso, è quel luogo dell’esistenza che conferisce ad ogni vita il diritto di essere vissuta.

La bellezza di ogni persona trae il suo potere autenticante dal fatto di avere avuto un ‘luogo’ di eccezione che l’ha voluta ed accolta: un “luogo” femminile. Per questo motivo un maschio quando viene posto davanti ad una donna viene irretito, letteralmente: sedotto, dal potere inebriante che scaturisce da questa possibilità di “spazio”. È la vita che parla e poiché la vita non si accontenta di niente di meno che dell’immortalità il maschio viene coinvolto in un esorcismo dal sapore divino: nella donna, nel femminile, egli trova un soggetto investito di un potere sacrale capace di annichilire e scacciare la morte dalla sua vita. Questa prospettiva immortale rende il femminile che c’è in ogni donna terribilmente suggestivo e le conferisce un irresistibile potere attrattivo rispetto al quale, al maschio, è impossibile sottrarsi.

Per l’uomo, invece, il percorso mediante il quale egli giunge a maturazione è più sofferto. Il suo stare al mondo come maschio occorre che sia il frutto di una differenziazione dolorosa dalla figura materna: la confortante simbiosi con la madre che egli vive durante l’infanzia deve lasciare il posto ad un nuovo modo di essere che occorre che sia una solitudine radicale. Sarà l’esperienza di questa solitudine che lo rafforzerà rendendolo uomo. Questo dolore, questo trauma, fa sì che, in una relazione sessualmente assortita, l’uomo sia il soggetto più debole, più fragile.

La memoria ancestrale del dolore e della solitudine che seguono alla separazione da sua madre lo perseguiteranno per sempre e per sempre egli sarà tentato dal ritorno del confortante fantasma materno. Questa sua fragilità lo renderà, nelle relazioni affettive, più esposto al rischio dell’immaturità, della regressione verso una condizione di bisogno. Ogni conflitto nella coppia riporterà indietro le lancette dell’orologio interiore del maschio al momento della separazione da sua madre e rinnoverà il dolore antico del distacco, con il conseguente bisogno di fare ricorso alle relative risorse emotive per superarlo. Per questo le separazioni coniugali, nel medio periodo, lasciano più strascichi nell’uomo che nella donna.

Per sopravvivere alla solitudine che segue alla separazione dalla figura materna, il maschio ha, a sua volta, bisogno di attingere a quella che diverrà la sua competenza distintiva: l’impeto, la forza.

Questa esplosione di forza nell’uomo-maschio si traduce, a livello interiore, in un irresistibile desiderio, vera e propria compulsione, di rivolgersi verso l’esterno. L’energia, infatti, non è fatta per essere conservata, accumulata, bensì per essere utilizzata, per essere spesa.

Fino a quando l’uomo-maschio non troverà qualcuno in grado di accogliere tutta la forza della quale egli è capace, vagherà, solo, nelle brume di un’esistenza che potrà anche essere ricolma di cose da lui fatte, ma che lascerà irrisolto questo impeto che egli prova dentro le sue fibre più intime.

In una parola il suo essere maschio sarebbe insignificante: maschio, infatti, è una parola che in sé non esprime alcun concetto autosufficiente. Maschio non vuol dire nulla; è, se lasciata da sola, una parola muta, irrilevante, un enigma senza soluzione. La comprensione di quello che significa maschile la si può raggiungere, infatti, solo in un preciso contesto di senso: una coppia sessualmente assortita.

Si scopre, allora, che maschile è uno di quei termini che per poter essere compreso nella sua portata concettuale richiede il suo complementare: il maschile, per poter essere definito, ha bisogno del femminile, così come, a sua volta, il femminile, per poter essere definito, ha bisogno del maschile. Davanti a questa proposta vitale della donna l’uomo può, finalmente, abbandonarsi, fiducioso, a quella che, pur apparendo come una limitazione alla forza che sente ruggire nel suo petto, è invece la sublimazione di un tempo, un solo indefinito bellissimo istante perpetuo, che trova nella capacità di accoglierlo che caratterizza la femminilità di sua moglie, la sua amatissima compagna, la risposta alla domanda di senso circa il suo stare nel mondo. In tal modo la donna diviene custode dell’uomo, ne “organizza” gli spazi vitali, lo preserva da sé stesso disinnescandone la parte peggiore.

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