La lezione eugenetica giapponese

Il Timone n.241 Luglio-Agosto 2024  

Dal 1948 al 1996 nell’arcipelago nipponico almeno 25.000 persone furono sterilizzate e vi furono 60.000 aborti forzati. Un piano devastante varato non sotto l’influenza nazista, ma americana

di Rino Cammilleri

Chi ha visto il film premio Oscar Vincitori e vinti (1961) con cast stellare (Spencer Tracy, Montgomery Clift, Burt Lancaster, Marlene Dietrich, Richard Widmark, Maximillian  Schell) regia di Stanley Kramer, sa che a Norimberga l’avvocato difensore degli imputati tedeschi dimostrò che le teorie razziste ed eugenetiche dei nazisti avevano ben altri padri  e ispiratori.

Breve info per i giovani: a Norimberga  si svolse un unicum nella storia, il processo ai tedeschi sconfitti nella Seconda guerra mondiale da parte degli Alleati. Da che mondo è mondo, nessuno si era mai sognato di processare i vinti in una guerra, la disfatta li aveva puniti abbastanza. Invece, in quel caso gli americani insistettero.

I governi statunitensi avevano – anche nella precedente guerra – la necessità di convincere i propri cittadini ad andare a morire in un altro continente, perciò la loro propaganda era volontariamente enfatica. Gli Usa non combattevano contro nemici qualsiasi ma contro mostri disumani, la loro era una guerra giusta, santa e per la civiltà planetaria. Da qui il mega-processo, tenuto nella città simbolo di Hitler.

Processo, che va detto, destò qualche perplessità, visto che a giudicare i tedeschi per crimini contro l’umanità c’erano anche i sovietici, i quali non avevano nulla da invidiare in tema di genocidi (ma che nessuno processò mai). Per salvare le forme di una sentenza già scritta, agli imputati furono forniti degli avvocati difensori.

La Germania fu anticipata 

Nel film l’attore tedesco Maximilian Schell interpretava l’avvocato che patrocinava la causa contro i responsabili dell’operazione Aktion T4, quella con cui il nazismo si liberò degli handicappati sopprimendo i più gravi e sterilizzando coattivamente gli altri. L’avvocato dimostrò, testi alla mano, che simili pratiche erano teorizzate dalla letteratura medica e giuridica anglosassone fin dai tempi di Malthus, e che la sterilizzazione forzata degli “inferiori” era largamente praticata perfino negli Stati Uniti (che vi ricomprendevano anche gli etilisti e le ninfomani).

Tali usanze andarono avanti – in certi casi sino agli anni Sessanta – in tutti i Paesi protestanti, compresa la progressivissima Svezia. Nei Paesi cattolici, anche quelli sotto dittatura, la Chiesa faceva buona guardia e non si registrò niente del genere. Insomma, il nazismo non aveva inventato niente, l’aveva solo applicato su larga scala e alla luce del sole.

Va anche detto però, che malgrado gli ingenti mezzi con cui la propaganda razzista cercò di convincere i tedeschi che quel che faceva era cosa buona e giusta, l’operazione T4 dovette cessare in corso d’opera perché ripugnava all’opinione pubblica. I nazisti dovettero ripiegare su un’altra operazione, la Lebensborn.

Cioè, anziché togliere i difetti puntarono sull’aumento dei pregi . Donne e uomini di pura «razza ariana», ben selezionati, venivano fatti accoppiare scientificamente perché procreassero figli perfetti. Uno dei frutti di quell’operazione fu Anni-Fried Lyngstad, una delle due cantanti (quella castana) del gruppo pop Abba. Ma la politica eugenetica non fu solo appannaggio  dei Paesi di tradizione protestante, o di quelli a predomino anglosassone come il Canada.

Handicap ed emarginazione

Il Giappone, per esempio, non era cristiano ma shintoista. La sua occidentalizzazione a marce forzate e la sua alleanza con la Germania, però, là si coniugava con una tradizione molto antica. Che, visto che parliamo di film, emerge di straforo in Sol levante (1993, con Sean Connery, Wesley Snipes, Hervey Keitel, Steve Buscemi), tratto da un racconto di Michael Crichton.

Il film è d’azione, ma nelle prime scene si vede il protagonista che convive con una bella giapponese che ha una mano handicappata. E sta seminascosta perché emarginata. Infatti, nelle culture precristiane l’handicap era visto come una disgrazia e una punizione degli dei. Nei popoli precolombiani, addirittura, anche un frutto di forma strana era considerato infausto. Perfino la nascita di gemelli, di cui uno veniva soppresso.

Così nell’Africa animista. Per non parlare degli albini, ancora oggi perseguitati in molti luoghi dell’Africa subsahariana. Il bello è che il piano eugenetico giapponese fu varato non negli anni dell’alleanza nippo-tedesca, bensì in quelli di dominio americano. Fu iniziato infatti nel 1948 e continuò fino al (!) 1996.

I nostri media non diedero gran peso alla notizia, a parte Annalisa Teggi su Aleteia.org. Solo nel 2014 fu scoperchiato il vaso da parte di una donna che ebbe il coraggio di denunciare il governo: quindicenne era stata sterilizzata a sua insaputa per supposto ritardo mentale. Oggi il Giappone è in testa alle classifiche per denatalità. Ma al tempo del sopruso anzidetto il sogno di ogni ragazza nipponica era sposarsi e avere bambini.

Una caterva di denunce

Da qui l’indignazione della denunciante, che aveva scoperto ormai sessantenne la sua sterilita artificiale nel corso di una banale visita ginecologica .

Il sasso nello stagno produsse, com’era da immaginarsi, una caterva di denunce di donne che avevano subito lo stesso trattamento. Venne fuori  che dal 1948 al 1996 almeno 25.000 persone erano state sterilizzate non poche delle quali erano bambini di pochi anni. Tutte con problemi mentali o malattie ereditarie. In concomitanza, in via preventiva, circa 60.000 aborti forzati impedirono la nascita di feti malformati o semplicemente malati.

Ma si dovette attendere il 1984 e la morte di due pazienti psichiatrici perché l’opinione pubblica cominciasse a premere, in un crescendo che portò alla definitiva soppressione della legge eugenetica, come detto, nel 1996. Naturalmente, nel dettato ci si proponeva di «proteggere la vita e la salute della madre».

E tanto sono state protette queste, che oggi il Giappone moltiplica gli appelli alla procreazione, perché il sistema pensionistico e il welfare in generale non reggono più. Per giunta il Giappone non vuole saperne di accogliere immigrati. Che, giustamente, sconvolgerebbero il volto di una nazione così legata saldamente alle sue tradizioni.

Noi siamo sicuri che i giapponesi, così compatti, disciplinati e inventivi, troveranno la quadra e risolveranno il problema. Un po’ di invidia, per questo: noi italiani  li seguiamo a stretto giro in fatto di denatalità, ma continuiamo con la manfrina della «salute della madre» e un’immigrazione selvaggia  cara ai catto-e-comunisti che ci sostituirà perché «la 194 non si tocca» e quasi tutti gli immigrati sono maschi africani. Deus aumentat quem vult perdere

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