«Il dogma del sistema: abolire le nazioni»

La Verità 29 Luglio 2024

Il grande filosofo: «Tutti i partiti sono “progressisti”: puntano a comprimere l’azione degli esecutivi a favore di istituzioni sovrastatali. Il governo rappresentativo era il fine della politica: ora è un ostacolo da rifuggire»

di Martino Cervo e Elisa Grimi

Pierre Manent, 75 anni, è uno dei più grandi filosofi politici viventi, Francese, liberale «classico», allievo di Raymond Aron, insegna all’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales ed è visiting professor al Boston College; alcuni dei suoi testi più importanti sono stati pubblicati in Italia da Rubettino (tra questi, Storia intellettuale del liberalismo e In difesa della nazione).

Con le sue analisi ha anticipato i grandi temi del dibattito pubblico mondiale, e smontato molte delle etichette di comodo che tentano di orientarlo. Decostruendo la retorica attorno al termine «populismo», dodici anni fa ha colto, in anticipo sulla Brexit e sul fenomeno trumpiano, la tendenza delle democrazie liberali a presentare le grandi contese elettorali non più come confronto, anche aspro, di offerte politiche diverse in un perimetro di comune legittimazione, ma come ordalie tra il bene (autoproclamatosi tale) e la barbarie.

E’ difficile non rileggere la sua analisi senza pensare alla stretta attualità: la sfida Harris-Trump, le recenti elezioni legislative francesi e quelle europee. Tornate che un racconto mediatico assillante e spesso osceno trasforma, appunto, in appuntamenti potenzialmente fatali in cui, pur di evitare il risultato «sbagliato», vale praticamente tutto. Manent ha accettato un dialogo con la Verità sui principali temi della politica globale, dalle sorti delle nostre democrazie alla cancel culture.

L’intervista parte proprio dalla felice profezia sulla torsione subita dalle società occidentali

Professore, nel saggio del 2012 La demagogia populista e il fanatismo di centro, tradotto per American Affairs nel 2017, lei scrisse che «le nostre democrazie stavano slittando verso un contrasto tra opinioni legittime e illegittime, tra ortodossie politiche ed eresie politiche ». Non pensa che tanto la Francia quanto l’Europa siano una conferma della sua analisi?

«Ciò che affascina è il processo attraverso il quale il regime che per oltre due secoli è stato l’orgoglio dell’Europa è diventato oggetto di un discredito sempre più virulento da parte della classe dirigente europea: il governo rappresentativo, considerato il fine ultimo della politica moderna, è diventato il regime che si rifugge perché si vede in esso un’ingiustizia essenziale. Ormai il regime con cui un popolo governa sé stesso viene rifiutato perché rompe il presunto tessuto senza giunture dell’umanità. L’orizzonte è la gestione dei diritti umani e degli interessi individuali da parte delle istituzioni non politiche, preferibilmente internazionali o europee. Da qui il rifiuto di qualsiasi richiesta o rivendicazione che tragga la sua legittimità da un popolo politico definito dalla sua forma nazionale»

Ma se è così, chi decide della legittimità (o meno), con che titoli e su che basi, visto che l’ordine liberale prevede che non esistano valori assoluti?

«L’ordine liberale decide che non esiste un valore assoluto! Ciò significa che si dichiara un valore assoluto. La situazione attuale è un illustrazione dell’osservazione dei greci secondo cui l’opinione è il tiranno più temibile, soprattutto in una democrazia. Ciò che è per me misterioso è il passaggio da un assetto in cui un partito “conservatore” difendeva l’ordine costituito, mentre un partito “progressista” lo attaccava per riformarlo, a un assetto in cui praticamente tutti i partiti al governo sono “progressisti”, nel senso che accettano di cancellare la nazione restringendo continuamente la latitudine di azione del governo rappresentativo della nazione a favore di istituzioni non nazionali».

Secondo lei dunque si può ancora considerare attuale il paradosso di Böckenförde, secondo cui, come ha spesso ricordato Joseph Ratzinger, «lo Stato liberale secolarizzato vive di presupposti che non può garantire?»

«Meno elegantemente, ho scritto una volta, riferendomi alla Francia, che lo Stato liberale e laico presupponeva la nazione sacra. Perché l’istituzione politica osasse separarsi rigorosamente dall’istituzione religiosa con cui era legata da sempre, la nazione doveva sperimentarsi e affermarsi come comunità per eccellenza del tutto autosufficiente, la nazione doveva diventare, insomma, la Chiesa. Quel tempo è passato: lo Stato vuole separarsi dalla nazione così come è separato dalla Chiesa. Alcuni storici parlano delle nazioni come di “comunità immaginarie”. Ebbene, noi viviamo o crediamo o vogliamo vivere in una “umanità immaginaria”, facciamo o cerchiamo di fare come se l’umanità fosse una comunità reale, l’unica reale e quindi l’unica legittima».

Questo schema politico quasi religioso (ortodossie contro eresie, rappresentate ieri dai “populisti”, oggi dai “sovranisti”), dove ha origine nello specifico e perché tende a riproporsi ovunque?

«Tende a riprodursi in tutta Europa. Siamo gli unici al mondo a vivere in associazioni politiche – le nazioni europee – che sono essenzialmente considerate illegittime dall’opinione pubblica e dalla classe dirigente. Non in Russia, non in Cina, non in nessun altro Paese dell’Africa e probabilmente nemmeno in nessun Paese dell’America Latina… Nemmeno nei Paesi dell’Europa centrale e orientale.

Questa strana malattia colpisce solo i Paesi dell’Europa occidentale, cioè i Paesi europei che sono stati protagonisti del dominio europeo sul mondo per diversi secoli. Questi Paesi hanno deciso che d’ora in poi dovranno fare penitenza per le ingiustizie commesse nella loro storia: non una penitenza nel senso cristiano del termine, cioè una penitenza che chiede perdono e mira all’emendamento, ma una penitenza di tipo nuovo, una penitenza senza perdono, che porta ad un ripudio indiscriminato dell’intero passato europeo. Questo impulso a ripudiare è molto forte anche negli Stati Uniti, per ragioni simili, con la complicazione che lì si scontra con l’impulso imperiale, il desiderio di preservare l’impero americano nonostante tutto».

Una penitenza senza perdono segna così il rischio di una cancellazione della storia dei popoli. Non mancano studiosi che hanno evidenziato sotto questo aspetto l’islamizzazione europea in atto. Penso al volume Sur l’Islam dell’intellettuale Rèmi Brague. Crede si possa tornare ad una riflessione sulla storia e sulla libertà dell’Occidente?

«Ciò che è straordinario, ciò che rende la situazione così pericolosa, è questo pregiudizio contro noi stessi che ci rende incapaci di guardare alla nostra storia e alla storia del mondo con un po’ più di sobrietà e buon senso. Secondo la visione dominante, per secoli c’è stato un solo protagonista nel mondo, un solo gruppo o insieme umano che ha realmente agito, l’Europa o l’Occidente.

Gli altri, tutti gli altri, sono stati soggetti passivi, e quindi essenzialmente innocenti, della dominazione occidentale. Certo, è vero che in certi periodi lo sviluppo della civiltà occidentale le ha dato un tale vantaggio non solo in termini di forza, ma anche di competenza generale nell’organizzare razionalmente il mondo umano, che non solo ha sottomesso, ma ha anche soggiogato buona parte del resto di quel mondo.

Questo è un dato di fatto. Il dominio non è mai privo di abusi, ingiustizie e crimini: anche questo è un dato di fatto. Ma abusi, ingiustizie e crimini non erano rari nel resto del mondo. Non possiamo denunciare il commercio occidentale senza menzionareanche il commercio orientale degli schiavi, che alimentava le terre musulmane con schiavi africani. Ma, come sapete, l’opinione pubblica si rifiuta di considerare questi fatti fondamentali.

Questa è dunque la rappresentazione del mondo che domina la coscienza occidentale: noi siamo stati e restiamo gli unici ad agire. E quindi gli unici da biasimare; gli altri, tutti gli altri, sono le nostre vittime, tutti innocenti».

Che effetti ci sono in questo modo di leggere e impostare la politica sul piano sociale e dei valori? Ovvero: esiste  una cesura tra legittimo e illegittimo anche nei valori?  E chi lo decide?

«Non lo so. La cosa più preoccupante, e che davvero minaccia il futuro, è che abbiamo gradualmente privato della sua legittimità il sistema politico sotto il quale continuiamo a vivere, ossia il sistema rappresentativo all’interno del quadro nazionale. Ci è stato tolto il diritto di prendere decisioni importanti su noi stessi, sulla forma che vorremmo dare alla nostra vita comune.

Il confine che ci circoscrive è solo un incidente storico che non ha conseguenze politiche reali. Fare una differenza tra i cittadini del Paese delimitato da questo confine e gli esseri umani che vivono al di fuori di questo confine è sentito come essenzialmente ingiusto. Da qui lo strano dogma secondo cui la “preferenza nazionale” è un crimine contro l’umanità. Nessun gruppo umano, sia esso coppia, una famiglia, un’azienda o una nazione, è concepibile senza un certo amor proprio, senza una certa “preferenza”.

Questa “preferenza” non deve portare all’ingiustizia nei confronti di chi non appartiene al gruppo, ma il rifiuto di qualsiasi espressione di questa “preferenza” porta all’inevitabile e sempre più rapida scomparsa del gruppo. Ma l’opinione prevalente nei nostri Paesi ha deciso che l’unico modo che ci resta per diventare migliori è quello di scomparire»

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