La vocazione civico-politica dei Cristiani nella società

Fides Catholica  n. 1  gennaio-giugno 2024

Giuseppe Brienza

«Quella medesima sollecitudine per l’uomo

che ci spinge ad essere vicini ai poveri e agli ammalati

ci rende attenti a quel fondamentale bene umano

che è la famiglia fondata sul matrimonio.

Oggi è necessaria una politica della famiglia e per la famiglia»

(Benedetto XVI, Udienza agli Amministratori della Regione Lazio, 11 gennaio 2007)

Religione e politica non sono realtà che si sovrappongono ma nemmeno dovrebbero escludersi, guai! Se fosse così rischieremmo di ricadere in quei sistemi atei che hanno insanguinato lo scorso secolo e stanno avvelenando anche il presente con il Pensiero Unico e la “dittatura del relativismo” (1).

Gesù e la “carità politica”

Per iniziare a considerare il tema della vocazione e dell’impegno civico-politico dei Cristiani partirei da un dato spesso trascurato del Vangelo: Gesù fu accusato davanti alle autorità romane di promuovere una rivolta politica e, come riporta San Giovanni (19,12), il procuratore Pilato ricevette pressioni per condannarlo a morte proprio per questo motivo: «Se liberi costui, non sei amico di Cesare! Chiunque si fa re si mette contro Cesare».

È per questo, dunque, che nel titulus crucis troviamo scritto come motivo della sua condanna: «Gesù Nazareno, re dei Giudei». Il Salvatore, però, non partecipò al dibattito pubblico, né si schierò per nessuno dei gruppi o tendenze in cui si dividevano le opinioni e l’azione politica delle popolazioni che allora vivevano in Galilea o Giudea.  Attenzione però a dedurne che Gesù si disinteressasse delle questioni rilevanti nella vita sociale del suo tempo! Tutt’altro, la sua attenzione per i malati, i poveri e i bisognosi non fa che attualizzare una predicazione in favore della giustizia sociale che sia da intendersi però non in termini conflittuali bensì come conseguenza dell’amore verso il prossimo.

Quindi carità politica. Quest’ultima espressione ci è stata resa più evidente grazie all’enciclica di Papa Pio XI Quas Primas (1925) che, istituendo la festa di Cristo Re dell’universo, attualmente celebrata nell’ultima Domenica dell’anno liturgico, ha esplicitato la necessità d’instaurare anche la sua regalità sociale.

Vocazione alla politica del Cristiano: confutare le Fake News

La ricerca della sovranità di Cristo anche nella società, non coincide con quello che è solitamente considerato l’inizio sistematico della Dottrina Sociale della Chiesa con l’enciclica Rerum novarum del 1891. L’intervento di Leone XIII sulla realtà sociopolitica del suo tempo, infatti, non “inaugura” il tempo della vocazione politica dei cristiani perché, come ha precisato il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, «per i fedeli laici l’impegno politico è un’espressione qualificata ed esigente dell’impegno cristiano al servizio degli altri» (2).

Quindi rientra nel comandamento della carità. Del resto, così come la Dottrina Sociale della Chiesa (DSC) non nasce nel 1891, sarebbe il caso di confutare anche un’altra falsa notizia: la DSC non è una “terza via” fra capitalismo e socialismo, ma una categoria a sé, oltretutto rientrante nella teologia morale. Le origini della DSC, quindi, così come di conseguenza quelle della natura vocazionale dell’impegno civico-politico, risalgono al Vangelo.

Il servizio alla politica: non solo buone intenzioni…

Come sappiamo, la strada dell’inferno è lastricata di buone intenzioni. Lo sa bene anche la Chiesa che, “esperta in umanità”, soprattutto sul piano dell’impegno civico si è premurata di avvertire in questi termini i fedeli laici: «I compiti di responsabilità nelle istituzioni sociali e politiche esigono un impegno severo e articolato, che sappia evidenziare, con i contributi di riflessione al dibattito politico, con la progettazione e con le scelte operative, l’assoluta necessità di una qualificazione morale della vita sociale e politica» (3). Impegno esigente, dunque, quello richiesto dalla Fede ai Cristiani, sotto due precisi punti di vista.

La diligenza e la competenza, anzitutto, perché «l’impegno politico del fedele laico richiede una precisa cura nella preparazione all’esercizio del potere, che i credenti devono assumersi, specialmente quando sono chiamati a tale incarico dalla fiducia dei concittadini, secondo le regole democratiche» (4). Conforta l’utilizzo di una parola oggi demonizzata come “potere” in un documento contemporaneo e autorevole della Chiesa (in questo caso il Compendio della DSC). Serve infatti a mio avviso a rifuggire la diffusa – anche in ambito cattolico – idiosincrasia per il potere in quanto tale e per sottolineare che, nella fedeltà e nella coerenza cristiana, l’esercizio dell’autorità pubblica può essere una via di santificazione personale e sociale.

Anche prima dell’avvento delle forme democratiche e nel XIX secolo, comunque, nella migliore elaborazione politica cattolica, quella dello scrittore e politico spagnolo Juan Donoso Cortés (1809-1853) ad esempio, non sono mancati ideali e percorsi di costruzione di un potere cristiano (5).

L’impegno civico-politico, in definitiva, se vissuto cristianamente, precede la democrazia. Come abbiamo visto, la chiamata del laico al servizio del bene comune risale all’insegnamento evangelico. Direi di più, la politica cristiana sta sopra la democrazia perché, sopra ogni tipo di regime politico legittimo c’è Dio e la Sua (la nostra!) legge morale-naturale.

La qualificazione morale della proposta politica del Cristiano costituisce, come dovrebbe essere logico, il secondo requisito dell’esigente carattere dell’impegno politico-istituzionale. Notiamo che il Compendio della DSC definisce tale qualità in termini assoluti. Pertanto, già prima del noto discorso di Benedetto XVI ai partecipanti del Convegno del PPE del 30 marzo 2006, di «principi non negoziabili», senza naturalmente usare questa straordinaria formula coniata da Papa Ratzinger, si è parlato nel “manuale” fondamentale della Dottrina sociale della Chiesa.

L’unità politica dei cattolici non è un dogma

Tranne che nel campo dei principi non negoziabili (difesa della vita umana innocente, promozione della famiglia fondata sul matrimonio e riconoscimento del diritto all’educazione), tutto il resto (o quasi) dell’ambito politico resta materia opinabile per il laico cristiano. La direttiva rimasta a lungo in vigore (sebbene in modo ufficioso) nel nostro Paese dell’unità politica dei cattolici, ma sarebbe più adeguato parlare di unità partitica, non ha nulla a che fare con la Dottrina sociale della Chiesa.

Sul punto vale il principio, riguardante il più ampio spettro delle attività umane e sociali, del rispetto della legittima autonomia delle realtà temporali. Il Compendio della DSC racchiude tale verità con la felice formula della triplice e inscindibile fedeltà cui è tenuto il Cristiano nel suo impegno sociale e politico. Anzitutto ai valori naturali, rispettando appunto «la legittima autonomia delle realtà temporali», poi ai valori morali, «promuovendo la consapevolezza dell’intrinseca dimensione etica di ogni problema sociale e politico» e, infine, «ai valori soprannaturali, realizzando il suo compito nello spirito del Vangelo di Gesù Cristo».

Consapevole della dimensione sempre imperfetta della società e delle sue condizioni economico-sociali spesso rapidamente mutevoli, tanto più in un’epoca come l’attuale, l’irreggimentazione dei cattolici in uno strumento divisivo e personalistico come il partito politico risulta discutibile e, per lo più, sconsigliata dall’esperienza storica. Ci sembra che una tale valutazione sia espressa nel seguente punto del Compendio DSC: «Dalla profondità dell’ascolto e dell’interpretazione della realtà possono nascere scelte operative concrete ed efficaci; ad esse, tuttavia, non si deve mai attribuire un valore assoluto, perché nessun problema può essere risolto in modo definitivo: la fede non ha mai preteso di imbrigliare in un rigido schema i contenuti socio-politici» (7).

Le istanze della fede cristiana difficilmente sono rintracciabili in un’unica collocazione politica e, «pretendere che un partito o uno schieramento politico corrispondano completamente alle esigenze della fede e della vita cristiana ingenera equivoci pericolosi. Il cristiano non può trovare un partito pienamente rispondente alle esigenze etiche che nascono dalla fede e dall’appartenenza alla Chiesa: la sua adesione a uno schieramento politico non sarà mai ideologica, ma sempre critica, affinché il partito e il suo progetto politico siano stimolati a realizzare forme sempre più attente a ottenere il vero bene comune, ivi compreso il fine spirituale dell’uomo» (8).

Guardando alla vicenda storica della Democrazia cristiana italiana (1943-1994), in effetti, è parsa “dogmatica” l’adesione e la disciplina dei singoli esponenti (tranne alcune eccezioni) all’unità del partito e dei connessi Governi nazionali, piuttosto che alle «esigenze morali fondamentali e irrinunciabili, quali la sacralità della vita, l’indissolubilità del matrimonio, la promozione della famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna» (9). Nello stesso momento in cui si è acconsentito legislativamente o politicamente a gravi compromessi su tali principi essenziali, non ci si è fatti scrupolo di far valere la propria condizione di “cattolici ufficiali” per interessi personali o di corrente, finendo per immischiare la Chiesa in questioni (a dire il meno) contingenti.

La situazione vissuta in Italia ha favorito insomma il passaggio da una dittatura politica (quella fascista) ad una dittatura ideologica, quella alla fine descritta dal Card. Joseph Ratzinger allorché, in procinto di essere eletto Pontefice, pronunciò la formula rimasta nella storia di «dittatura del relativismo» vissuta nell’Occidente post-cristiano (Missa pro eligendo Romano Pontifice, 18 aprile 2005). Nella “dittatura del relativismo”, come ha sottolineato successivamente un altro memorabile prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede (2012-2017) come il cardinale Gerhard Müller, «i confini tra verità e menzogna, tra bene e male, si confondono. La sfida per la gerarchia e per tutti i membri della Chiesa consiste nel resistere a queste infezioni mondane e nella cura delle malattie spirituali del nostro tempo» (10).

Emblematico di un tale esito è l’attuale funzionamento del sistema democratico, concepito dai più in una prospettiva agnostica e relativistica, che induce a ritenere la verità come prodotto determinato dalla maggioranza e condizionato dagli equilibri politici. Questo dipende anche da un frainteso, o tendenzioso, impiego del termine “laicità”. Data l’importanza del tema per l’esercizio delle responsabilità politico-istituzionali da parte del Cristiano, merita di trattarlo in un capitolo specifico di una riflessione sul contributo cattolico alla società.

Laicità sì, laïcité NO

Ricorriamo anche in questo caso al Vangelo e, doverosamente, all’insegnamento diretto di Cristo: «Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio» (Mt. 22,21). La parte finale della “sentenza” del Salvatore è spesso omessa ma, a mio modesto parere, è molto più importante della prima. Per lo stesso motivo per cui i primi tre comandamenti, quelli che riguardano Dio, sono dati all’inizio del Decalogo (quindi nella prima Tavola della Legge), e gli altri sette, che riguardano la dimensione orizzontale, sono nella seconda parte.

Del resto, se si fa eccezione per il mondo islamico, la distinzione tra sfera politica e sfera religiosa è un valore acquisito e appartiene al patrimonio di civiltà che è stato raggiunto in (quasi) tutto il mondo. All’impegno e alla testimonianza politica dei Cristiani, invece, è specificamente demandata la teoria e la pratica di una “laicità” intesa come ateismo di Stato o, nelle democrazie solo formali, autonomia dalla legge morale. La corretta idea di “laicità”, infatti, non inquinata dall’illuminismo, dal materialismo e dal pensiero massonico, «indica in primo luogo l’atteggiamento di chi rispetta le verità che scaturiscono dalla conoscenza naturale sull’uomo che vive in società, anche se tali verità siano nello stesso tempo insegnate da una religione specifica, poiché la verità è una».

La buona politica è al servizio della pace

Oltretutto, se si vuole operare davvero per il bene della famiglia umana, costruendo la pace ed evitando per quanto possibile ogni guerra, non si può fare a meno di conoscere e riconoscere questo “manuale d’istruzioni dell’uomo” che è il diritto naturale. Offrire la pace è al cuore della missione dei discepoli di Cristo, ha ricordato Papa Francesco in uno degli ultimi Messaggi per la giornata mondiale della pace, quella celebrata il 1° gennaio del 2019. In tale documento il Pontefice ha parlato appunto della «buona politica» come una dimensione fondamentale per la costruzione della pace nel mondo.

Riportandole le “beatitudini del politico” ideate dal cardinale vietnamita François Xavier (1928-2002), del quale nel 2013 è stata ultimata la fase diocesana del processo di beatificazione: «Beato il politico che ha un’alta consapevolezza e una profonda coscienza del suo ruolo. Beato il politico la cui persona rispecchia la credibilità. Beato il politico che lavora per il bene comune e non per il proprio interesse. Beato il politico che si mantiene fedelmente coerente. Beato il politico che realizza l’unità».

Conclusione

Per concludere, ricorriamo all’insegnamento dei santi, sempre il più efficace ed evocativo. Uno che ha speso tutta la sua vita a vivere ed aiutare i laici a comprendere e operare la consecratio mundi (cioè la consacrazione del mondo a Dio) è mons. Josemaría Escrivá (1902-1975), fondatore dell’Opus Dei, canonizzato da Giovanni Paolo II nel 2002. A questo proposito ritengo fulminante un passaggio in cui il sacerdote spagnolo si volge a coloro che avevano scelto la politica come professione: «Voi che sentite vocazione per la politica lavorate senza timore e tenete presente che, se vi tiraste indietro, fareste un peccato di omissione» (Lettera del 9-I-1959, n. 51).

Note

1) Cfr. Card. Joseph Ratzinger, Omelia durante la Messa pro eligendo Romano Pontifice, Città del Vaticano 18 aprile 2005. Sulla centralità di questa categoria nel Magistero di Benedetto XVI cfr. Roberto de Mattei, La dittatura del relativismo, Edizioni Solfanelli, Chieti 2007.

2) Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2004, n. 565.

3) Ibid., n. 566.

4) Ibid., n. 567.

5) Cfr. Juan Donoso Cortés, Il potere cristiano, tr. It., a cura di Lucrezia Cipriani Panunzio, Morcelliana, Brescia 1964.

6) Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio…, op. cit., n. 569.

7) Ibid., n. 568.

8) Ibid., n. 573.

9) Ibid., n. 569.

10) Card. Gerhard Müller, Purificare il tempio, in L’Osservatore Romano, 8 febbraio 2015 p. 5.

11) Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio…, op. cit., n. 571.

12) Cfr. Papa Francesco, Chiusure e nazionalismi minano la pace, in L’Osservatore Romano, 19 dicembre 2018, p. 8.

13) Card. François Xavier Van Thuân, Discorso alla mostra-convegno “Civitas” di Padova, in 30giorni, n. 5 del 2002.

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