Della vita e del martirio dei santi giapponesi della Compagnia di Gesù (di p. Giuseppe Boero S.J.)

animalfarm(da Totus Tuus network)

[per leggere e scaricare il vol. clic sulla foto]

San Paolo Miki, dall’alto della croce in cui sta per essere ucciso, grida al popolo: “Son giapponese e religioso della Compagnia di Gesù condannato a questa croce, non per niun fallo ch’io abbia commesso, ma sol perché ho predicato la legge del Signor Nostro Gesù Cristo”.

Questo conferma, che l’odio per la legge di Cristo da parte di Taicosama (i.e. Toyotomi Hideyoshi) non ha motivazioni economiche o politiche. La terrificante persecuzione di 250 anni, le crudelissime tecniche di tortura escogitate dagli shintoisti sono dovute all’ostilità alla missionarietà.

Se il missionario ottiene conversioni individuali, poi nascono famiglie cattoliche. Tali famiglie vivono in modo più conforme alla natura umana e le conversioni alla vera fede si moltiplicano, fino a mettere in discussione il vigente sistema sociale. Nel caso del Giappone, l’opera dei missionari trova terreno fertilissimo nella coerenza e mentalità giapponese: Hideyoshi se ne accorge, per esempio, dalla ripulsa di donne cristiane a prestarsi ai suoi capricci.

Lo Shogun comincia a temere per il numero sempre crescente di cattolici (non solo contadini e poveri ma anche numerosi nobili, intellettuali e samurai) che parlano di Cristo come del loro Shukun, loro Signore, verso il quale mostrano un attaccamento e una fedeltà assoluta, come si deve a un vero Signore. È esemplare il caso del Beato Dom Justo Takayama Ukon (1552-1615, festa liturgica il 4 febbraio) Daimyō e samurai giapponese.

Ecco, dunque, il grande insegnamento che ci viene da San Paolo Miki: “Or trovandomi io in quest’ultimo punto della mia vita, nel quale ben potete creder sicuro che non voglio ingannarvi, vi denunzio e protesto, che non v’è altra legge, né altra via da salvarsi, che quella che tengono i cristiani”.