I baby trans non esistono, parola di femministe

Abstract: I baby trans non esistono, parola di femministe. Radfem Italia e la rete per l’inviolabilità del corpo femminile hanno emesso un comunicato molto duro al riguardo. «I bambini trans e gender creative non esistono» affermano. «I bambini devono essere lasciati liberi di esplorare la propria sessualità e gli adulti non devono in alcun modo interferire. Tra le animatrici di questa iniziativa critica nei confronti dell’ateneo romano c’è ovviamente Marina Terragni, tra le più coraggiose attiviste europee, che nell’articolo spiega come gli adulti non debbano entrare  in un territorio che, in realtà, dovrebbe essere loro  precluso , cioè quello della definizione di sé, del proprio orientamento.

La Verità Giovedì 26 Settembre 2024

«I baby trans non esistono. Gli adulti la smettano di influenzare i più piccoli»

La nota femminista «Prima della pubertà non si può avere pienamente coscienza di sé, ma gli arrivisti si intrufolano  pure nella vita dei bambini di cinque anni»

di Francesco Borgonovo

Il prossimo primo novembre in Germania entrerà in vigore la nuova «legge trans». Si tratta di una norma che permetterà agli adulti di cambiare nome e genere legale negli uffici anagrafici senza bisogno di sottoporsi a un percorso medico di cambiamento di sesso. Nei fatti diverrà possibile autodeterminarsi: ciascuno deciderà se essere maschio o femmina a piacimento, e le istituzioni saranno obbligate a riconoscerlo. In buona sostanza, per cambiare sesso formalmente basterà avvisare l’ufficio competente tre mesi prima di procedere alla modifica. Detto, fatto. Per protestare contro questa legge movimenti femministi di tutta Europa il primo novembre saranno davanti alle ambasciate e ai consolati tedeschi e grideranno il loro dissenso. Ci saranno anche iniziative italiane, alcune organizzate dalle militanti di Radfem che si battono da anni contro la deriva dell’ideologia trans e che ieri sono rimaste allibite leggendo del seminario per «bambin* trans» organizzato all’università di Roma Tre.

Radfem Italia e la rete per l’inviolabilità del corpo femminile hanno emesso un comunicato molto duro al riguardo. «I bambini trans e gender creative non esistono» affermano. «I bambini devono essere lasciati liberi di esplorare la propria sessualità e gli adulti non devono in alcun modo interferire. Si tratta di un’iniziativa che mette a rischio la salute psichica e fisica dei bambini esponendoli a teorie prive di basi scientifiche che potrebbero portarli su un percorso di medicalizzazione a vita. La nostra università dovrebbe battersi contro gli stereotipi e non avallare tesi per cui se giochi con le bambole e ti piace il rosa sei nato nel corpo sbagliato. A cinque anni poi». Tra le animatrici di questa iniziativa critica nei confronti dell’ateneo romano c’è ovviamente Marina Terragni, tra le più coraggiose attiviste europee.

Il vostro comunicato è molto ruvido. Che cosa non va giù di questo seminario messo in piedi dall’università di Roma Tre?

Marina Terragni

«Come Radfem abbiamo preso posizione coerentemente con le nostre posizioni. Il problema è che ci si impiccia della vita dei bambini, compresa la vita sessuale – perché i bambini hanno una loro vita sessuale, diciamo così, esplorativa – sulla base di non so quali segnali…»

Segnali che mostrerebbero che questi bambini siano «nati nel corpo sbagliato», come si usa dire.

«Ricordo che si sta parlando di bambini molto piccoli, anche di cinque anni. Ci sarebbero segnali del fatto che  questi bambini siano trans, andando di fatto a patologgizzare dei comportamenti che hanno tutti i bambini e tutte le bambine»

Quali comportamenti di preciso?

«Vi faccio un esempio molto banale. Nel momento in cui vedo mio figlio che si infila le mie scarpe col tacco, se lo voglio definire come transgender a 5 anni sto problematizzando e patologizzando un comportamento che in realtà è assolutamente ordinario».

Gli attivisti trans e i presunti esperti sostengono che gli adulti non dovrebbero impedire ai figli di esprimere la loro vera natura, diciamo così. Quindi non dovrebbero interferire.

«La dottoressa Michele Mariotto che tiene questi corsi sui bambini trans tuona contro l’adultismo. Sostiene cioè che i genitori e gli educatori non dovrebbero interferire con la libera identità di genere di questi bambini. A me pare invece adultismo il suo e di quelli come lei»

In che senso?

«Qui abbiamo degli adulti che entrano in un territorio che, in realtà, dovrebbe essere precluso al mondo adulto, cioè quello della definizione di sé, del proprio orientamento. Che deve manifestarsi libero dallo sguardo degli adulti, come è sempre stato».

Insomma in questo caso sono gli adulti che pensano di vedere certi segnali e indirizzano i bambini su una strada precisa. Ma dunque esistono questi bambini trans oppure no?

«Assolutamente no. La definizione di trans non può arrivare se non quando la persona ha preso pienamente coscienza di sé, il che non può avvenire prima della pubertà».

Chiaro. Che cosa vi aspettate adesso dalle istituzioni riguardo al seminario di Roma?

«Non so bene che cosa possiamo aspettarci, perché in realtà ogni università ha la sua autonomia. Lì c’è stato un bando che è stato vinto dall’ateneo. Bene ha fatto ad attenzionarlo la ministra Bernini, ma non so francamente se abbia l’autorità di bloccare questo evento che verosimilmente si potrebbe tenere. Così come si tiene a Girona, in Spagna, un Erasmus che ti insegna a diventare drag queen, naturalmente a spese dei contribuenti europei. Poi c’è una scuola per drag queen a Torino, frequentata anche da ragazzini, però questa grazie a Dio è privata, almeno non sono soldi pubblici».

L’aspetto interessante della faccenda è che altrove, ad esempio nel Regno Unito, anche i governi di sinistra hanno fatto passi indietro clamorosi sui temi gender, rendendosi conto che negli anni si è andati troppo oltre e si sono creati problemi ai ragazzi invece di aiutarli.

«Si, infatti vorrei dire alla dottoressa Mariotto che il suo modo di muoversi è tipico dei provinciali».

Perché?

«Le spiego. La dottoressa probabilmente si è  costruita una professionalità su questo e deve spenderla, capisco bene. Ma questi professionisti dovranno riciclarsi e riconvertirsi, perché non solo nel Regno Unito, ma anche negli Stati Uniti stiamo vedendo un cambio di marcia netto. Perfino Kamala Harris è stata costretta a fare evidentissimi passi indietro rispetto alla cultura woke per non perdere le presidenziali. Il vento è cambiato in molte parte del mondo, ma qui invece soffia impetuoso proprio per ragioni di provincialismo»