Le religioni alla prova sulle fonti storiche: cosa rimane?

UCCR Unione cristiani cattolici razionali 27 Novembre 2024

Le religioni (non cristiane) e le fonti storiche: se Islam, Buddhismo e Induismo si sottopongono alla stessa indagine storico-critica a cui è sottoposto il cristianesimo, cosa ne rimane? La conclusione degli studiosi che se ne sono occupati.

Se c’è qualcosa di estremamente insopportabile per le modernità è che una religione pretenda dire “io sono l’unica strada”.

E per quanto i nostri contemporanei si sforzino di “zuccherare” l’immagine di Gesù Cristo per renderlo digeribile ai moderni, fu proprio lui ad osare affermare: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» (Gv 14,1-6).

Già questo “dettaglio” basterebbe a rendere unico il cristianesimo nel variegato panorama religioso della storia umana: nessun altro ha mai preteso tanto.

Le religioni non cristiane alla prova sulle fonti storiche

E se le fonti storiche delle altre religioni fossero sottoposte alle stesse prove di attendibilità a cui sono sottoposti da secoli i Vangeli?

Ci ha pensato lo studioso statunitense Gary Habermas, presidente del dipartimento di Filosofia della Liberty University (Virginia), assieme al teologo Benjamin CF Shaw.

Hanno infatti dedicato a questo un rapido ma interessante excursus sulle fonti storiche delle religioni non cristiane, rilevando non poche «difficoltà».

Ricordiamo che l’attuale panoramica dell’analisi storico-critica sulle fonti cristiane (oltre alle numerose fonti non cristiane su Gesù) attesta all’unanimità che esse risalgono a 20-60 anni dopo la morte di Gesù, sottolineando anche l’esistenza di fonti precedenti, datate al 35/36 d.C.

Il Buddhismo alla prova della storia

Iniziando dal Buddhismo, sono noti i problemi di storicità sull’esistenza stessa del fondatore, il Buddha.

Lo storico James Ketelaar dell’Università di Chicago ha calcolato una discordanza di oltre 2.000 anni tra le prime fonti sulla data di nascita di Buddha.

Un gap di 2000 anni (!) è come se sostenessimo che Gesù nacque “all’incirca tra Socrate e Cartesio”!

Eppure, l’esistenza storica di Buddha è cruciale per i buddhisti in quanto la loro fede -scrive Ketelaar- è «basata sul fatto che il Buddha storico avesse effettivamente raggiunto l’illuminazione» (1)

Lo studioso buddhista Edward Conze ha sollevato inoltre un altro grande problema sulle fonti storiche del buddhismo. I principali scritti di Buddha risalgono a 600-900 anni dopo la sua morte.

Ecco cosa scrive Conze: «Non abbiamo alcun criterio oggettivo che ci consente di isolare il testo originale. Tutti i tentativi di trovarlo si basano su una semplice supposizione e la discussione sull’argomento generalmente non porta a nient’altro che a inutili controversie» (2).

In altre parole, oltre alla mancanza di informazioni attendibili sull’esistenza storica del Buddha, alcuni dei suoi insegnamenti originali potrebbero essere tra quelli che possediamo ma non sapremo mai veramente dire quali sono quelli autentici e quelli scritti tardivamente dai suoi seguaci.

L’Induismo e le prime fonti storiche di Krishna

Passando all’induismo, il dio indù della gioia e dell’amore è Krishna. Ma anche in questo caso non mancano gravi problemi storici.

La maggior parte degli studiosi indù dubita che Krishna sia effettivamente vissuto.

Nella prefazione al Bhagavadgītā del 1983, il testo sacro dell’induismo (definito «singolare mitologia»), l’autorità spirituale Abhay Charan De scrisse infatti che Krishna è «un simbolo poetico per presentare le idee di un genio anonimo o, nella migliore delle ipotesi, un personaggio storico minore» (3)

Lo scrittore indiano Nirad C. Chaudhuri ha inoltre osservato che nessuno dei testi indù esistenti può essere datato con precisione prima del XII secolo d.C. (4).

Secondo la tradizione induista il momento in cui Krishna sarebbe vissuto e avrebbe parlato con il suo primo discepolo, Arjuna, è datato intorno al 3000 a.C., ma la prima fonte storica disponibile di questo risale a circa 4100 anni dopo!

Si può solo immaginare quanti cambiamenti possono essersi verificati nel testo riguardo al vero insegnamento di Krishna in oltre quattro millenni.

L’Islam, il Corano e i testi precedenti a Maometto

Terminiamo questo breve approfondimento sulle fonti storiche delle religioni con l’Islam.

I fedeli musulmani affermano che Dio stesso avrebbe rivelato il contenuto del Corano a Maometto attorno al 600 d.C. Il profeta lo avrebbe quindi predicato e recitato (Corano si traduce con “recitazione”) ed i suoi seguaci lo avrebbero memorizzato e annotato su foglie di palma e pietre.

Il Corano sarebbe poi diventato un libro vero e proprio solo dopo la morte di Maometto nel 632 d.C., durante il califfato di Abu Bakr.

Per questo i musulmani ritengono che il Corano sia disceso direttamente da Dio, parola per parola, lettera per lettera. Perciò sarebbe assolutamente esente da qualunque errore, motivo per cui non può essere interpretato dai fedeli.

Eppure, come abbiamo osservato in passato, è quasi certo che il Corano dica il falso almeno una volta, ovvero quando vi si legge che Gesù non sarebbe morto in croce, e in quanto profeta di Dio (Corano 2,87.136.253; 3,45; 4,171; 5,75; 57,27; 61,6) come tale non poteva fare una fine del genere: «Non l’hanno né ucciso, né crocifisso, ma così parve loro» (Corano 4,157).

Nessuno storico del cristianesimo, neanche tra i più scettici, ha mai rifiutato la storicità della crocifissione dell’ebreo Gesù di Nazareth. E’ un dato certamente storico, attestato in tutte le fonti cristiane e non cristiane dell’epoca.

«Questo è devastante per la convinzione dell’Islam di essere la vera religione di Dio», ha scritto Michael Licona, docente alla Houston Baptist University. «Poiché il Corano sbaglia. E poiché l’ispirazione divina del Corano è quella della dettatura, se il Corano sbaglia non è divinamente ispirato, e il fondamento dell’Islam vacilla».

C’è un secondo problema relativo all’applicazione dell’indagine storico-critica al Corano.

Riguarda la la copia esistente più antica del Corano, cioè il manoscritto di Birmingham ritrovato nel 2015.

Keith Small, islamista al Center for Islamic Studies di Londra e alla Bodleian Library dell’Università di Oxford, ha spiegato che essa «dà più fondamento a quelle che sono state le vedute periferiche della genesi del Corano, come se Maometto ed i suoi primi seguaci avessero usato un testo che era già esistente e lo avessero modellato per adattarlo al loro proprio programma politico e teologico, piuttosto che Maometto abbia ricevuto una rivelazione dal cielo».

Lo stesso ricercatore inglese ha pubblicato nel 2011 un’analisi storico-critica sul Corano intitolata Testual Criticism and Qurʼān Manuscripts (Lexington Books 2011), constatando l’impossibilità di giungere ad una storicità attendibile del testo:

«Le fonti disponibili non forniscono le informazioni necessarie per ricostruire il testo originale del Corano ai tempi di Maometto o al momento immediatamente successivo alla sua morte di Maometto fino alla prima edizione ufficiale del Corano tradizionalmente ordinata dal califfo “Uthmān”» (5).

Ma l’evidenza principale, ha aggiunto Larry Hurtado, storico delle religioni all’Università di Edimburgo, è che «non c’è mai stato un testo originale del Corano» e che «la storia della trasmissione del testo coranico è una testimonianza della sua conservazione tanto quanto lo è per la sua distruzione» (6)

Sono noti infatti diversi momenti storici in cui diversi testi e varianti antichi del Corano furono appositamente distrutti (la prima volta attorno all’850 d.C.).

Il già citato manoscritto di Birmingham, la cui datazione sembra confermare la tradizione islamica, contiene però diversi riferimenti agricoli e geografici che non coincidono con l’arida penisola arabica e sono scritti in un dialetto arabo che i primi studiosi musulmani hanno rinnegato in quanto non era il dialetto della tribù di Maometto.

Lo storico britannico Tom Holland si è chiesto infatti: perché il Corano si rivolge ad un popolo agricolo quando è noto che la Mecca del sesto secolo non era una comunità agricola?

Lo storico ed islamista dell’Università di Princeton, Michael Cook, assieme all’orientalista e islamista Patricia Crone sono autori del celebre Hagarism: The Making of the Islamic World (1977), e sono stati i primi a proporre la tesi secondo cui il Corano è un prodotto tardivo risalente all’VIII secolo, composto su materiali tratti da una varietà di fonti giudaico-cristiane e mediorientali.

Ecco la conclusione dei due storici: «Non c’è nessuna decisiva evidenza che il Corano sia esistito sotto qualsiasi forma prima dell’ultima decade del VII secolo; e la tradizione che colloca questa alquanto opaca rivelazione nel suo contesto storico non è attestata prima della metà del secolo VIII» (7).

Seppur la comunità islamica e numerosi studiosi abbiano respinto diverse tesi di Hagarism, la dipendenza del Corano da precedenti testi cristiani è attestata in maniera indipendente da altri diversi ricercatori, come abbiamo già osservato.

In un testo curato dal teologo islamico Mohammad Ali Amir-Moezzi e da Daniel De Smet, direttore del French National Centre of Scientific Research (CNRS), sono stati messi a confronto alcuni versetti evangelici con le sure coraniche, concludendo:

«C’è una prova incontestabile che il Corano è un’opera scritturistica e che il redattore del Corano aveva il testo evangelico davanti a sé, o almeno lo aveva presente in testa, dal momento che il Profeta cita le affermazioni di Gesù con le loro caratteristiche formali proprie» (8).

Un “raggio di verità” in tutte le religioni

Tutto questo chiaramente non inficia quanto sostenuto dal Concilio Vaticano II, ovvero che le religioni non cristiane «non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini».

Ciò però non vieta di osservare quanto sia problematica l’autenticità delle fonti storiche delle religioni non cristiane se venissero sottoposte alla stessa approfondita, critica e penetrante indagine a cui è è stato sottoposto il cristianesimo.

Dopo secoli di minuziose analisi sulle fonti cristiane da parte di studiosi credenti e non credenti, l’attestazione storica delle fonti cristiane ne esce a malapena scalfita.

Perfino lo studioso scettico Bart D. Ehrman ha infatti ammesso che «gli studiosi sono convinti che possiamo ricostruire le parole originali del Nuovo Testamento con ragionevole accuratezza (sebbene probabilmente non al 100%)» (9).

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(1) J.E. KETELAAR,The Non-Modern Confronts the Modern: Dating the Buddha in Japan, History and Theory, Theme Issue 45 2006, pp. 73-74

(2) E. CONZE, Buddhist Scriptures, Penguin Classics 1959, pp. 11-12

(3) A. CHARAN DE, Bhagavad-Gītā, Bhaktivedanta Book Trust 1983, pp. XV, XIX

(4) N.C. CHAUDHURI, Hinduism: A Religion to Live, Oxford: Oxford University Press 1997, pp. 30-31

(5) K. SMALL, Testual Criticism and Qurʼān Manuscripts, Lexington Books 2011, p. 4

(6) LARRY HURTADO, Book Review Keith E. Small, Textual Criticism and Qur’ān Manuscripts, Scottish Journal of Theology 2015

(7) M. COOCK, P. CRONE, Hagarism: The Making of the Islamic World, Cambridge University Press 1980, p. 3

(8) D. DE SMET, M. ALI AMIR-MOEZZI, Controverses sur les écritures canoniques de l’islam Editions du Cerf 2014

(9) B.D. EHRMAN,The New Testament: A Historical Introduction to the Early Christian Writings, Oxford University Press 2000, p. 443