La Nuova Bussola quotidiana 12 marzo 2014
di Massimo Introvigne
È tempo di Quaresima e vorrei consigliare un libro, a mio avviso adatto al periodo, ai lettori: «L’enigma della crescita», del sociologo dell’economia Luca Ricolfi (Mondadori). Non è un libro di spiritualità, e dedica alla religione esattamente due righe e mezza. È un libro pesante da leggere, c’è parecchia matematica e costringerà chi non è fresco di studi a ripassare le equazioni. Ma non lo consiglio a titolo di penitenza quaresimale: di libri di faticosa lettura ne ho letti tanti, forse qualcuno l’ho anche scritto, e non ci sarebbe che l’imbarazzo della scelta.
No: credo che la mia conclusione sorprenderà Ricolfi, ma il suo libro aiuta a impostare nel modo giusto la Quaresima, nello spirito del messaggio quaresimale di quest’anno di Papa Francesco e di quelli precedenti di Benedetto XVI. Per capire perché, occorre la pazienza di seguire a grandi linee il percorso che il sociologo torinese ci propone.
Il tema è quello di cui anche Matteo Renzi, in attesa di far seguire alle parole i fatti, ci parla tutti i giorni: la crescita. Ma che cos’è la crescita? Per le scienze sociali è l’aumento del reddito pro capite, cioè del reddito medio dei cittadini di un Paese. Da che cosa dipende la crescita? Qui economisti e sociologi hanno proposto non solo decine, ma centinaia di equazioni e continuano a litigare fra loro almeno da un secolo. Anche Ricolfi propone la sua equazione, che non ha l’ambizione di spiegare la crescita in tutti i Paesi del mondo, ma solo nei 34 Stati dell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) – da non confondere con l’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa), che invece si occupa di diritti umani -, i quali costituiscono il club delle economie avanzate di modello occidentale (Cina, Russia, Brasile e India non ne fanno parte, Corea del Sud e Giappone sì). Per di più Ricolfi deriva la sua equazione dagli anni ’50 fino al 2007, perché in seguito la crisi economica internazionale ha introdotto parecchie variabili impazzite.
Le equazioni della crescita prendono in esame molti fattori, ma Ricolfi scarta quelli spesso usati – come il tasso di corruzione o il numero dei brevetti – che secondo i suoi calcoli fanno aumentare o diminuire la crescita annualmente di meno di un decimo di punto. Restano cinque fattori: tre positivi – il capitale umano, dato dalla demografia e dall’istruzione, gli investimenti esteri diretti e le buone istituzioni (governi, giustizia, regole dell’economia) – e due negativi, la pressione fiscale e il reddito pro capite di partenza, cioè il benessere. Un calcolo molto raffinato indica quanto pesa ciascuno di questi fattori all’interno dell’equazione.
Dal calcolo di Ricolfi emerge che il «super-fattore» che pesa per il sessanta per cento sulla crescita è dato dal reddito da cui si parte, cioè dal benessere. In generale, si tratta di un dato noto: chi parte da un reddito più basso cresce più rapidamente, e questo spiega le cavalcate di Paesi non OCSE come Brasile, Cina e India. Ma l’equazione di Ricolfi ci dice molto di più. Implica che il benessere sia un processo che si autolimita. Perché alla lunga il benessere produce «una cultura dei diritti che supera quella dei doveri», un calo della volontà di intraprendere e di rischiare, una prevalenza dell’intrattenimento sul lavoro. Chi sta bene a un certo punto si impigrisce, consuma troppo, fa debiti e lavora troppo poco. Vale anche per i giovani del benessere, che si lamentano della disoccupazione ma spesso possono permettersi di studiare male, farsi mantenere dai genitori fino a trent’anni e rifiutare i lavori meno graditi. O almeno le cose andavano così fino a qualche anno fa. La crisi ha accelerato il declino, ma le premesse c’erano già prima.
Gli altri fattori non sono naturalmente irrilevanti. Le differenze notevolissime fra i 34 Paesi OCSE – da quello che cresce di più, l’Estonia, a quello che cresce di meno, l’Italia – a parità di benessere si spiegano con gli altri fattori: la demografia, l’educazione, l’efficienza delle istituzioni – che attira o allontana gli investimenti esteri (in Italia spaventati soprattutto dall’inefficienza e lentezza della giustizia civile), le tasse. Lo dimostra la Germania, fino a quindici anni fa considerato il malato d’Europa e che oggi corre dopo energiche riforme strutturali e fiscali.
Ma l’elemento psicologico cruciale resta il benessere. Che, aggiungo io, non è solo psicologico: è morale. È una sorta di anestesia, che induce a non intraprendere, a non rischiare, a parlare sempre di diritti e mai di doveri. Ricolfi ne studia i danni economici, ma la dottrina sociale della Chiesa ci ammonisce quanto alla dimensione morale. Benedetto XVI e Papa Francesco ce lo ricordano entrambi: se non vogliamo immettere più etica nei nostri comportamenti economici in nome dell’etica, facciamolo invece in nome dell’efficienza dell’economia. Un’economia con più etica funziona meglio. Nei termini di Ricolfi, la smania di avere sempre più benessere fa diminuire il benessere. Una vita più sobria e operosa, meno preoccupata del benessere a tutti i costi – quella su cui appunto dovremmo riflettere in Quaresima -, invece paradossalmente farebbe aumentare il benessere.
Ricolfi si chiede anche se sia scontato che si debba crescere sempre. Non ha nessuna simpatia per le teorie della decrescita felice di Serge Latouche che piacciono a Grillo. Osserva però che l’idea della crescita illimitata è un’invenzione relativamente recente e che non è irragionevole immaginare che esista un tetto, che neppure le innovazioni tecnologiche potranno modificare, oltre il quale non si cresce più e ci si deve accontentare di mantenere il benessere raggiunto. E anche questa è sobrietà.
Ma questo non significa affatto disinteressarsi della crescita. Perché, se la teoria del tetto della crescita fosse vera, dove si situa il tetto per ogni Paese dipenderà dalle sue strutture e dai suoi fondamentali: non sarà uguale per tutti. E soprattutto perché oggi, con la crisi, ci sono Paesi come l’Italia per cui la crescita è obbligatoria. Se non crescono non possono pagare i loro debiti e finiscono per fallire, con conseguenze sociali drammatiche.
Come crescere? Ricolfi osserva che i Paesi dell’euro hanno più difficoltà perché non hanno una banca centrale pienamente responsabile: ma pensa che ormai sia tardi per uscire dall’euro. Il sociologo ritiene che se ci si può permettere di aspettare si possono concentrare gli interventi sulla demografia, le infrastrutture, la scuola, il sistema giudiziario, le regole. Sono interventi indispensabili. Ma, se si interviene bene oggi, i vantaggi matureranno tra una ventina di anni. Non è una ragione per non intervenire. Ma per chi ha il drammatico problema di crescere subito per pagare i debiti, come l’Italia, c’è un’unica ricetta che dà risultati nel breve periodo: diminuire la pressione fiscale.
Ricolfi parla soprattutto della pressione fiscale sulle imprese e il commercio, e forse trascura che anche quella sulle famiglie intacca i consumi e quindi danneggia le imprese. Rimane chiaro che l’intervento urgente da compiere non può che riguardare il fisco, e non solo per i «poveri», ma anche per i «ricchi», che vanno incoraggiati a intraprendere e rischiare. Intervenire sul fisco vuol dire ridurre la spesa pubblica, il che comporta sacrifici per molti. Sobrietà, anche qui. Buona Quaresima a tutti.