di Alfredo Mantovano
La vicenda referendaria sta assumendo pieghe paradossali. Personalmente, pur tentando di essere credente, sono convinto che l’umanità del concepito non è un dogma che si ricava dal catechismo: è un dato obiettivo che può essere osservato col microscopio (fino a una certa data) e con l’ecografo a partire da un’altra data.
Nei dibattiti sui 4 quesiti incrocio come contraddittori laicisti di professione, che non hanno mai creduto in Dio e nell’anima, i quali, citando San Tommaso d’Aquino (vissuto qualche secolo fa, quando gli strumenti di indagine scientifica erano un po’ meno precisi), spiegano che l’essere umano può ritenersi tale solo nel momento in cui l’anima si unisce al corpo! Chi è il più datato? e chi il più clericale?
Mi ritrovo pure progressisti che in genere criticano quella politica economica che con disprezzo definiscono darwiniana, perché – dicono – seleziona il forte; odiano il far west e amano le regole se si tratta di reti televisive, di antitrust e di regolarità dei libri contabili. Ma cambiano orientamento quando vengono in discussione questioni di bioetica: da progressisti diventano darwiniani, puntano a selezionare il robusto a scapito del fragile, difendono una salute materiale e individuale intesa in senso lato, come completo benessere fisiopsichico, e approvano il far west delle regole.
Il massimo però lo hanno raggiunto i radicali, da sempre libertari, da sempre favorevoli ad amnistie e a condoni, per i quali oggi le porte delle carceri andrebbero aperte per farvi entrare il cardinale Ruini e le alte cariche dello Stato, tutti rei di aver invitato a non votare; ciò in applicazione di norme risalenti a 50 anni fa, che non hanno nulla a che fare con quello di cui si parla. Vi è una tendenza alla criminalizzazione di chi non la pensa come il prof. Umberto Veronesi e come la prof.ssa Sabrina Ferilli: più volte in questi giorni mi è stato detto che, essendo impegnato nel far fallire i referendum, di fatto impedirei la cura dell’Alzhaimer e del Parkinson. E’ proprio così?
Il primo quesito referendario punta a eliminare i limiti posti dalla legge 40 alla sperimentazione sugli embrioni umani; mira a consentire la conservazione di embrioni congelati a scopo di ricerca, la clonazione «terapeutica» e la ricerca scientifica effettuata su cavie umane allo stadio embrionale. Il presupposto è l’equiparazione degli embrioni a «materiale» da laboratorio o a insieme di cellule da cui prelevare pezzi di ricambio.
Per vincere il ricatto ideologico secondo cui chi sostiene la legge 40 non vuole la guarigione di coloro che sono affetti da gravi malattie è sufficiente leggere il bel volume (edito da Mondadori) La cura che viene da dentro, del prof. Angelo Vescovi, scopritore delle cellule staminali cerebrali: il genetista documenta in modo inconfutabile (e infatti, nessuno lo ha confutato) che finora non un solo caso clinico è stato risolto ricorrendo alle cellule staminali prelevate da embrioni, a differenza di quanto è accaduto con le staminali prelevate da adulti.
Il secondo quesito punta a «produrre» più embrioni di quelli necessari per un unico impianto, e quindi a congelare i soprannumerari. A parte i problemi relativi alla crioconservazione degli embrioni (rischio di abbandono, «scadenza» a tempo determinato, alterazioni e morti embrionarie), gli studi dimostrano che il numero assoluto di «bambini in braccio» non cambia sensibilmente aumentando la produzione di embrioni per ciclo, mentre è certo che aumenta la perdita di embrioni.
Il quesito chiede inoltre di allargare l’accesso della fecondazione artificiale ai portatori di malattie genetiche, consentendo di eseguire la selezione genetica preimplantatoria per scegliere i sani ed eliminare i malati, o i probabili malati, o magari quelli che potrebbero ammalarsi in futuro. Ora, la selezione genetica, pur se mossa dal legittimo desiderio – che tutti abbiamo – di far nascere un figlio sano, si risolve in una discriminazione fra esseri umani – tali sono – che sono titolari dell’uguale diritto di continuare la loro esistenza.
In coerenza con queste premesse, il referendum n. 3 punta a eliminare il concepito dal novero dei soggetti titolari di diritti coinvolti nelle procedure della legge 40, mentre il quarto quesito mira a sopprimere il divieto di fecondazione eterologa, consentendo l’utilizzo di semi di uno e di entrambi i genitori diversi da quelli giuridici: in tal modo si vanifica il diritto dei figli a conoscere i genitori biologici, a causa dell’anonimato del donatore, e si aumenta il rischio di patologie relazionali all’interno delle famiglie.
Ma non è in gioco soltanto l’aspetto di merito toccato da ciascun referendum. La scienza oggi non è una professione liberale praticata da una cerchia ristretta di individui; è un’attività complessa, che coinvolge gruppi di ricerca internazionali; i ricercatori, pur se muniti di coscienza, rispondono, oltre che a essa, alle aspettative di chi li finanzia. Vanno delegate loro scelte che competono alla politica? O non va considerato che ogni opzione tecnologica incorpora una visione del mondo e ogni programma di ricerca richiama un programma politico?
Di fronte a questioni di tale peso, il comportamento più saggio non è forse proprio quello di rifiutare la logica referendaria del «sì-no», che banalizza e distorce, e di mantenere in vita – con una astensione attiva, cioè motivata e propagandata – un testo di legge, frutto di 7 anni di approfondimento e di confronto in Parlamento?