Una delle nuove leggende metropolitane che gli scienziati politici vicini al movimento no global stanno cercando di diffondere è quella secondo cui il mondo sta passando sotto il totale controllo delle multinazionali.
di Rodolfo Casadei
A dar retta alla classifica stilata da questi due autori, basata su dati del 1999, dei 100 maggiori complessi economici del mondo ben 51 sarebbero costituiti da imprese multinazionali e soltanto 49 da stati nazionali. La General Motors, per esempio, peserebbe più della Danimarca e Wal-Mart (la più grande catena di supermercati del mondo) più dell’intera economia polacca.
La realtà, però, è molto diversa: Anderson e Cavanagh hanno costruito la loro classifica raffrontando, come fossero entità omogenee, il Pil (prodotto interno lordo) degli stati e l’importo delle vendite delle multinazionali. Una prassi metodologicamente scorretta. Il Pil, infatti, misura la produzione di plusvalore di un’economia, il valore delle vendite no.
Per paragonare correttamente sul piano economico stati e multinazionali, occorre sottrarre dall’importo totale delle vendite delle seconde i costi dei fattori produttivi acquistati fuori dall’impresa. La cifra che risulta identificherà il plusvalore realizzato dall’azienda, paragonabile ai Pil nazionali. Martin Wolf, editorialista del Financial Times, ha riscritto la classifica delle 100 più grandi entità economiche del mondo sulla base di dati corretti nel modo sopra indicato, e ciò che ha evidenziato si può riassumere così: nei primi 50 posti le multinazionali sono solo due, Wal-Mart (44ma) ed Exxon (48ma), il Bangladesh resta più “grosso” della General Motors, e quest’ultima pesa appena un terzo della Danimarca.
Va poi ricordato che gli stati nazionali, piccoli o grandi che siano, possono ancora imporre ai cittadini cosette precluse alle multinazionali, tipo servire nell’esercito, pagare le tasse o finire dietro le sbarre di una prigione.