Il Timone n. 135, luglio-agosto 2014
Un breve excursus storico sui rapporti fra la Chiesa cattolica e la finanza, I alla luce della Dottrina sociale della Chiesa
Ettore Gotti Tedeschi
All’interno della Chiesa circolano diverse opinioni sull’argomento economico e finanziario, non tanto perché sia argomento “nuovo” o tabù, quanto perché ancora oggi molti confondono l’eticità di uno strumento con l’eticità del suo uso. Ciò avviene sia perché si è persa la capacità di distinguere fra fini e mezzi, sia perché, grazie al nichilismo dominante nella nostra cultura, lo strumento economico-finanziario ha assunto piena autonomia morale e l’uomo ne ha fatto spesso un cattivo uso. L’attuale crisi economica (spiegata moralmente da papa Benedetto XVI), ne è un esempio. Ma questo rischio di cattivo uso in realtà è sempre esistito e ha costantemente preoccupato la Chiesa e i Papi, seppure con reazioni diverse, secondo i tempi e l’intensità della fede.
Chiesa e denaro nel XVI secolo
La Chiesa si è sempre dovuta occupare di finanza. Dai tempi in cui i cattolici dovettero fare “fund raising” (raccolta fondi) per finanziare le Crociate, a quelli in cui si dovettero risolvere problemi finanziari-fiscali riguardo l’obolo di San Pietro. Per questo, la Curia romana ebbe sempre banchieri al suo servizio. Si pensi ai toscani Peruzzi, Acciaroli, Medici, a Jaques Coeur in Francia, ai Fugger nei paesi germanici. Certo, l’obiettivo è sempre stato quello di sostenere le opere religiose, ma anche quello di creare un valore finanziando commerci, flotte mercantili, ecc. in tutto il mondo.
Si dovette pertanto affrontare e risolvere il problema del prestito e naturalmente della liceità dell’interesse. Lo risolsero proprio i Francescani che, oltre alla creazione dei Monti di Pietà, riconobbero l’esigenza dell’interesse per coprire il rischio. Nei primi del Cinquecento, dopo la scoperta dell’America, la Scuola di Salamanca (una scuola filosofica composta soprattutto da Domenicani e Francescani…) arrivò persine a stabilire le leggi economiche fondamentali considerate le basi della cosiddetta Scuola Austriaca, una scuola di pensiero economico che ha due dei suoi esponenti maggiori in Friedrich von Hayek (1899-1982) e Ludwig von Mises (1881-1973).
Quanto sopra ricordato mostra che mai la Chiesa ha ostacolato il capitalismo; semmai, correttamente, ha condannato l’autonomia morale delle scelte economiche. Mi piace ricordare che, mentre l’Ecclesiaste dice che non c’è nulla di più riprovevole che l’attaccamento al denaro, san Tommaso spiega che il peccato corrompe l’uomo che, pertanto, usa male il denaro. Studiando la storia economica si potrebbe persine supporre che la Chiesa, durante il Rinascimento, abbia avviato essa stessa un certo sistema economico “trainante” l’economia e la crescita del Pii, il prodotto interno lordo di un Paese, poiché incoraggiò imprese, costruì palazzi e chiese, utilizzando banchieri internazionali.
E qui forse esagerò un poco nel farsi consigliare dai banchieri, perché questi (i Fugger soprattutto), per finanziare le sue opere, la fecero indebitare sempre più, costringendola, per rientrare dai debiti, a vendere benefici ecclesiastici e indulgenze, offrendo così il pretesto per la “riforma” di Lutero (1483-1546). In realtà, Lutero fece l’interesse dei Principi (tedeschi e inglesi) convertiti al luteranesimo, incamerando i beni della Chiesa cattolica. In più, a rafforzare il potere protestante affinchè potesse creare quel capitalismo, individualista ed egoistico, che poi sarà avversato da Marx, non bastò l’idea della “divina Provvidenza”, ma contribuì anche il crollo delle monarchie e delle banche cattoliche nella seconda metà del XVI secolo.
Ricordiamo infatti che la successione al trono imperiale era contesa tra Carlo V (ispano-fiammingo-austriaco, 1500-1558) e Francesco I di Francia (1494-1547). Per aggiudicarsi la competizione (poiché allora non c’era il finanziamento pubblico ai partiti), i contendenti dovevano comprare voti, a debito naturalmente. Ma mentre Carlo si affidò ai Fugger che gli fecero un finanziamento a “success tee” (cioè rimborsabile a successo dell’operazione), Francesco si fece finanziare dai banchieri di Lyon cash, per pagare in anticipo gli elettori, che invece di essergli grati per la fiducia, tradirono le attese.
Ma anche per Carlo V non andò bene nonostante l’elezione. Gli alti interessi da pagare ai Fugger (20%) e le alleanze sbagliate lo portarono al default e suo figlio Felipe II scoprì che i tassi applicati dai Fugger erano da usurai. Così, per “scelta morale” (Filippo era tutto casa e Chiesa…, si racconta), decise di non pagarli ristrutturando il debito, portando d’imperio gli interessi al 5% (decreto di Valladolid 1557), e provocando così anche il fallimento a catena dei banchieri cattolici. Così due Papi successivi, san Pio V (1566-1572) e Sisto V (1585-1590), decisero di praticare austerità e di ritornare ai principi originali di distacco dal danaro, vietarono l’indebitamento, ridimensionarono gli investimenti, i commerci, ecc.
Dal business e dagli eccessi finanziari, la Chiesa si riconvertì alle opere di religione. Pio V ci riuscì grazie a un santo gesuita, san Francesco Borgia (1510-1572). Negli anni successivi, si sviluppa quella fase economica che chiamiamo capitalismo commerciale. A causa del crollo delle banche cattoliche, si rafforzano le economie del nord Europa, ove si creano i grandi commerci (per esempio la Compagnia delle Indie) che producono indotto nelle infrastrutture e nelle invenzioni. Soprattutto si crea una borghesia pragmatica e razionalista, utilitaristica, cartesiana e poi illuminista che rifiuta il cattolicesimo quale eredità di un medioevo considerato oscuro.
I gesuiti, veri leader di queste epoche, tentano di conquistare invano la borghesia. Ci riesce meglio un papa illuminato, Benedetto XIV (1740-1758), che capisce come il processo capitalistico sia inarrestabile e la mentalità calvinista borghese quasi impossibile da modificare. Così, da una parte, quel Pontefice andò incontro alle esigenze della finanza (liceità del prestito e poi degli interessi per gli investimenti) per cercar di riconquistare la borghesia, dall’altra parte, per avere una base meno irrequieta, andò alla conquista dei poveri contadini avviando campagne di apostolato anche con le feste religiose, i culti popolari (Sacro Cuore, san Giuseppe…), Confraternite, ecc.
La persecuzione
Dopo il capitalismo commerciale nasce quello industriale grazie alla scoperta di nuove tecniche, con nuove sfide per la Chiesa. Da una parte, la borghesia industriale vuole libertà imposte per legge e avversa la Chiesa ritenuta intollerante perché chiede all’operaio, come a tutti i cristiani, uno stile di vita diverso da quello che la logica del profitto richiedeva. D’altra parte, nascono nuovi “clienti” per la Chiesa, dopo i contadini: i proletari. La borghesia liberale opera allora per negare alla Chiesa cattolica il ruolo di religione riconosciuta e favorita dallo Stato, accusandola di esser ostile al progresso economico.
La Chiesa risponde creando le società di mutuo soccorso, le casse rurali, le confraternite che sono espressione di solidarietà sociale e di aiuto ai poveri. La reazione laicista divenne allora veramente aggressiva. Come Napoleone (1769-1821 ) aveva sottratto i beni della Chiesa espropriandoli, così le rivoluzioni liberali e nazionaliste dell’Ottocento faranno altrettanto, anche se in modo meno violento, e anche il marxismo cercherà di impedire che il proletariato venisse influenzato dalla Chiesa. I Papi cominciano a scrivere encicliche difensive e di condanna (per esempio, il beato Pio IX con la Quanta cura con allegato il Sillabo nel 1864), mentre successivamente Leone XIII prepara la proposta della Chiesa per affrontare la questione sociale con la Rerum novarum (1891) e con un corpo dottrinale che prende il nome di dottrina sociale.
La Prima Guerra mondiale (1914-1918) abbatte il capitalismo liberale e permette la nascita del capitalismo di Stato per la necessaria “provvidenza” post bellica. Pio XI deve fronteggiare il capitalismo di Stato e il comunismo e nel 1931 scrive l’enciclica Quadragesimo anno sulla dittatura economica che asservisce il potere politico. Nel 1937 sempre Pio XI scrive l’enciclica Divini Redemptoris contro il comunismo ateo che sopprime la libertà dell’individuo, talvolta cammuffandosi come servizio caritatevole e umanitario.
Dopo la Seconda Guerra mondiale, i riferimenti chiave per intendere il ruolo della Chiesa in economia sono la Mater et Magistra (1961) di san Giovanni XXIII e la Populorum progressio (1967) del beato Paolo VI, la Centesimus Annus (1991) e la Sollicitudo rei socialis (1987) di san Giovanni Paolo II. Gli anni successivi al 1980 hanno visto il crollo delle nascite e la crescita economica del mondo occidentale fondata sul consumismo a debito che ha cambiato il mondo accelerando il processo di globalizzazione. Questa crisi viene interpretata e spiegata nell’enciclica di Benedetto XVI Caritas in Ventate (2009) sulla globalizzazione, e quindi con l’enciclica scritta a quattro mani dal Pontefice emerito Benedetto XVI e da papa Francesco, la Lumen Fidei (2013).