La massoneria nei documenti del Magistero della Chiesa cattolica

Saggio tratto da: CESNUR. CENTRO STUDI SULLE NUOVE RELIGIONI

Massoneria e religioni

Massoneria

a cura di Massimo Introvigne, Elle Di Ci, Leumann (Torino) 1994

(pubblicato per gentile concessione dell’Editore)

Massoneria e religioni

di Giovanni Cantoni

Nel 1974 si spegneva a Firenze padre Florido Giantulli S.J., nato a Rieti nel 1906 (1), che mi è stato guida nella vita della Chiesa e nella conoscenza della massoneria. Il padre paolino Rosario F. Esposito – dopo aver riconosciuto essere “la [sua] documentazione […] sempre ricca e a volte rara” (2) – lo definisce epigono “[…] dell’antimassoneria patologica classica” (3), “avverso a ogni tipo di apertura e a coloro che vi tendono” (4), e lo dà come “deceduto […] pochi giorni prima che la notizia della caduta della scomunica [sic] del 19-7-1974 divenisse di pubblica ragione” (5). A vent’anni dalla scomparsa lo ricordo dedicandogli una sintetica ricognizione storico-dottrinale sulla massoneria nei documenti del Magistero della Chiesa.

Nel 1993 è caduto il decimo anniversario della pubblicazione dell’ultimo documento ufficiale ed esplicito della Santa Sede sulla massoneria, appunto la Dichiarazione sulla massoneria, emessa dalla Congregazione per la Dottrina della Fede con la specifica approvazione del Sommo Pontefice Giovanni Paolo II e con la data del 26 novembre 1983 (6).

Il trascorso decennale offre occasione opportuna e felice per rivisitare, sia pure brevemente, il Magistero ecclesiastico in argomento, in questo modo offrendo qualche risposta anche ai quesiti che la cronaca culturale e politica, quando non quella giudiziaria, con frequenza maggiore o minore, spinge a formulare in proposito e che di rado vengono adeguatamente soddisfatti.

1. La fondazione della massoneria nel 1717 e la sua prima condanna nel 1738

Il 28 aprile 1738 Papa Clemente XII pubblica la lettera apostolica In eminenti apostolatus specula , il primo documento pontificio di condanna delle associazioni massoniche (7), la cui data di nascita pare si possa fissare nel 1717, al dire, fra altri, del professor Giordano Gamberini, Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia dal 1961 al 1970: l’ex alto dignitario massonico, protestante di denominazione valdese nonché a suo tempo vescovo della Chiesa Gnostica Italiana, pur riconoscendo che “varie strutture che ad essa [alla massoneria] fanno capo non mancano di ispirarsi a miti e a dottrine dell’antichità”, afferma che “la Massoneria quale oggi si intende non è più remota di tre secoli”, e ne definisce la ragion d’essere, quindi l’orizzonte, dicendo che “si è organizzata per rispondere a quelle esigenze di universalità che il mondo occidentale si era visto mortificare con lo spegnimento dell’idea imperiale e col frantumamento della religione cristiana”, “ossia, per offrire un’etica universale in luogo di quella perdutasi poiché era stata fondata su una fede universale di cui era venuta a mancare l’unità” (8).

Dunque, a seguito del frantumarsi dell’ecumene cattolico costituito dalla civiltà cristiana romano-germanica – consuetamente indicata come civiltà medioevale o “Medioevo” -, il 24 giugno 1717, a Londra, con l’intento di promuovere un “ecumenismo” surrogatorio e alternativo nasce la massoneria come corpo regolare, vale a dire come organizzazione delle logge, e nel 1723 riceve le sue Costituzioni dal pastore presbiteriano James Anderson (9).

Già poco più di vent’anni dopo il prender corpo della fermentazione “filosofica” tardo-medioevale, umanistico-rinascimentale e proto-illuministica – ma non tutti i collegamenti talora pretesi dalla cultura di area massonica sono veri -, la Santa Sede, con una tempestività straordinaria per rapporto ai tempi, ritiene di dover mettere in guardia contro tale organizzazione, e questa messa in guardia è contenuta nella lettera apostolica In eminenti apostolatus specula.

A partire da questo documento di condanna e di diffida, il tema massonico ha costituito esplicita materia di circa seicento – sembra siano precisamente 586 (10) – interventi magisteriali da parte dei Romani Pontefici. Tali interventi sono stati sia diretti – cioè si sono tradotti in costituzioni, in encicliche, in bolle, e così via -, sia indiretti, cioè si sono realizzati attraverso istanze della Santa Sede e strumenti a diverso titolo impegnativi dell’autorità dei Papi.

Agli interventi pontifici si sono poi accompagnate innumerevoli espressioni di magistero episcopale – delle quali, a mia scienza, non esiste catalogo -, a firma di un solo presule o di un gruppo di vescovi. Inoltre, sul tema dei rapporti fra la Chiesa cattolica e la massoneria si è venuta sviluppando una consistente letteratura, caratterizzata da una vistosa disomogeneità sia dal punto di vista delle intenzioni degli autori che della qualità degli esiti (11).

2. Gli interventi magisteriali sulla massoneria e la loro possibile periodizzazione

La storia del deposito giuridico-dottrinale costituito dagli interventi del Magistero si può periodizzare – dal suo inizio fino a oggi, cioè dal 1738 al 1994 – in quattro fasi.

a. Dal 1738 al 1903: dalla lettera apostolica In eminenti apostolatus specula, pubblicata da Papa Clemente XII nel 1738, all’enciclica Humanum genus di Papa Leone XIII, del 1884

In eminenti apostolatus speculaHumanum genus. La prima fase – la più ricca dal punto di vista del numero e dell’ampiezza dei documenti – si apre con la ricordata lettera apostolica In eminenti apostolatus specula, di Papa Clemente XII, e si chiude con la fine del pontificato di Papa Leone XIII, cioè con il 1903. Se le date indicate ne costituiscono i termini esatti dal punto di vista puramente cronologico, il periodo si può considerare emblematicamente chiuso con l’enciclica Humanum genus, pubblicata da Papa Leone XIII nell’anno 1884 (12).

Infatti, benché non manchino assolutamente documenti relativi alla massoneria dal 1884 al 1903 – sono anzi numerosi, e particolarmente importanti per la storia della nazione italiana -, l’enciclica Humanum genus si può indicare – mutuando l’espressione dal linguaggio del diritto positivo – come l’enciclica-quadro sul tema massonico.

b. Dal 1903 al 1962: il Codice di Diritto Canonico pubblicato da Papa Benedetto XV nel 1917

La seconda fase si stende cronologicamente dal 1903, cioè dall’inizio del pontificato di Papa san Pio X, all’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II nel 1962. I termini emblematici del periodo sono costituiti, da un lato, dalla promulgazione del Codice di Diritto Canonico nel 1917, da parte di Papa Benedetto XV, e, dall’altro, dalla conferma della vigenza del canone 2335 di tale codice nell’articolo 247 delle Costituzioni Sinodali promulgate nel 1960 dal Primo Sinodo Romano, voluto da Papa Giovanni XXIII e che avrebbe dovuto essere – ma non fu – la prova generale del Concilio Ecumenico Vaticano II (13).

In questo lasso di tempo, escludendo i due testi ricordati, i riferimenti magisteriali espliciti alla massoneria sono straordinariamente esigui – grosso modo uno per ogni Pontefice – e questa esiguità si può facilmente attribuire al fatto che la sentenza di condanna e la conseguente diffida antimassonica erano state codificate nel citato canone 2335.

c. Dal 1962 al 1981: il silenzio magisteriale

La terza fase va dal Concilio Ecumenico Vaticano II a una dichiarazione della Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, del 1981, quindi – appunto – dal 1962 al 1981. Si tratta di un periodo caratterizzato dal silenzio magisteriale sulla massoneria indicata nominatim, se si eccettua una dichiarazione della Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede contro false e capziose interpretazioni date a una lettera indirizzata nel 1974 dalla stessa Congregazione ad alcuni episcopati (14), un documento riservato poi divenuto di pubblico dominio.

d. Dal 1981 a oggi: il Codice di Diritto Canonico del 1983 e la Dichiarazione sulla massoneria, pubblicata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede nello stesso anno

Dichiarazione sulla massoneria. Infine, la quarta fase inizia nel 1981 ed è tuttora aperta. I suoi momenti rilevanti – e unici – sono a tutt’oggi costituiti dalla pubblicazione del nuovo Codice di Diritto Canonico, nel 1983, nel quale non compare riferimento nominativo alla massoneria; da una dichiarazione della Congregazione per la Dottrina della Fede che, in coincidenza con la promulgazione di tale Codice e con approvazione specifica del Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, ribadisce la condanna e la diffida relativa all’appartenenza, venendo così a costituire interpretatio autentica del canone 1374 (15); e dal documento ufficioso dello stesso dicastero vaticano che, nel 1985, offre motivazione della reiterazione della condanna e della diffida del 1983 <……ChiesaEncicliche e documentiS.Uffizio dichiarazione su massoneria.doc> (16).

3. Magistero episcopale e manifestazioni culturali in tema di massoneria

L’itinerario brevemente descritto merita di essere esaminato anche da un punto vista semplicemente formale. Dalla sentenza di condanna e di diffida del 1738 – contenuta nella lettera apostolica In eminenti apostolatus specula – si passa alla reiterazione di tale sentenza, con dispostivi più o meno articolati, per giungere alla motivazione della sentenza stessa con l’enciclica Humanum genus <……ChiesaEncicliche e documentiEnciclicheLeone XIII – Humanum genus.doc>, quindi alla sua ricezione specifica nel Codice di Diritto Canonico del 1917 e generica in quello del 1983.

Da documenti formalmente sintetici e rapidamente concludenti si perviene – con passaggi che si svolgono dalla prima metà del Settecento alla prima metà dell’Ottocento – a testi dottrinali ampiamente descrittivi e motivati. Questo iter – sia detto di passaggio – non ha interessato soltanto i testi magisteriali sul tema massonico, ma le forme espressive di tutto il Magistero pontificio. Comunque, a partire dalla prima codificazione canonica, gli interventi diventano esclusivamente interpretativi della legislazione vigente, una prassi all’interno della quale si situa con ogni evidenza anche quella che ho chiamato “motivazione ufficiosa” del 1985.

Di un analogo sforzo di periodizzazione dovrebbero essere oggetto, nella misura del possibile, sia le espressioni di magistero episcopale, sia le manifestazioni culturali – scritti e incontri -, relativi ai rapporti fra la Chiesa cattolica e la massoneria.

Quanto al magistero episcopale, voglio almeno ricordare, per la sua oggettiva rilevanza e per l’evidente considerazione in cui è stata tenuta dal Magistero pontificio, la Dichiarazione circa l’appartenenza di cattolici alla massoneria (17), pubblicata nel 1980 dalla Conferenza Episcopale Tedesca dopo che, dal 1974 al 1980, si erano svolti colloqui fra una commissione di dialogo di tale conferenza episcopale, a ciò incaricata dalla Santa Sede, e qualificati esponenti delle Grandi Logge Unite di Germania.

Il documento della Conferenza Episcopale Tedesca, che conclude per l’incompatibilità fra la professione di fede cattolica e l’appartenenza alla massoneria, è stato illustrato, nella sua sostanza e nel suo rilevante contesto, in uno studio fondamentale di S. E. mons. Josef Stimpfle, vescovo di Augusta, che ha guidato la commissione incaricata del dialogo e di esso ha descritto le condizioni e commentato i risultati (18).

Circa interventi di singoli vescovi, credo vadano segnalati, per la consistenza e per l’importanza avuta all’epoca della loro pubblicazione, oltre che per l’eco e per l’influenza esercitati sulla cultura dell’area in cui si sono diffusi, nell’Ottocento l’Instrução pastoral sôbre a Maçonaria e os Jesuítas, di mons. Vital Maria Gonçalves de Oliveira, vescovo francescano di Olinda, in Brasile (19); e nel Novecento l’opera El Misterio de la Masoneria, del card. José Maria Caro Rodríguez, arcivescovo di Santiago del Cile e primate del paese iberoamericano (20).

Quanto agli aspetti culturali e informativi, si può fare stato, come episodi liminali dal punto di vista cronologico, dei colloqui che hanno avuto come protagonisti di parte cattolica il padre gesuita Hermann Grüber nella Germania del 1928, e padre Federico Weber, pure gesuita, nell’Italia del 1986.

4. Il contenuto del Magistero pontificio: denuncia e condanna dell’organizzazione del naturalismo e del relativismo

Passando dalla descrizione del Magistero, delle sua tappe e delle sue forme al suo contenuto, il riferimento principale – anche se non unico – è all’enciclica Humanum genus. I termini del documento non sono assolutamente riducibili alla denuncia – peraltro assolutamente fondata – dell’attività sovversiva svolta storicamente dalla massoneria contro la Chiesa e contro l’Antico Regime e ogni sua sopravvivenza; né si ritiene sufficiente il richiamo alla pratica del segreto, ma la denuncia e la condanna si elevano costantemente al livello dei princìpi, così che si possono riassumere nel modo seguente: nella massoneria la Chiesa condanna il veicolo del naturalismo, che è il sistema del razionalismo – ma anche dello scetticismo – e che si traduce nella pratica del laicismo, dell’indifferentismo e del relativismo; che nega il soprannaturale, la rivelazione e la grazia, quando non la stessa creazione, nonché la causa della necessità morale del soprannaturale, cioè il peccato originale.

Sono quindi radicalmente sanzionati, per esempio, la morale indipendente, o civile, o libera, il matrimonio civile, l’ugualitarismo, il permissivismo, la radicale separazione fra Chiesa e Stato, il monopolio scolastico statale, e così via fino al divorzio, secondo un itinerario destinato a proseguire fino all’aborto e all’eutanasia (21).

Quanto all’attenzione dottrinale e giuridica della Chiesa, va notato come essa verta pressoché esclusivamente sul volto “razionalistico” o “freddo” della massoneria, con esclusione di quello “irrazionalistico” o “caldo”, dal momento che questo si condanna da solo: conferma recente di questa costante presunzione e del suo fondamento, almeno nel caso di specie, è il fatto che, nel corso dei colloqui ricordati fra vescovi tedeschi e massoni pure tedeschi, questi ultimi rifiutarono di trattare dei gradi superiori ai primi tre – non fu fornita in proposito alcuna documentazione -, confessandone apertamente loro stessi l’incompatibilità con la professione di fede cattolica.

Ma, ritornando alla condanna, importa sottolineare che essa non ha tanto di mira una dottrina e i suoi corollari, tante volte e a diversi titoli denunciati e sanzionati anche senza riferimento alle associazioni massoniche, ma colpisce – per usare una felice formula di padre Denis Fahey, della Congregazione dello Spirito Santo – il naturalismo organizzato, organized naturalism (22), meglio, l’organizzazione del naturalismo, in quanto non sanziona soprattutto una dottrina dichiarandola falsa, ma l’ascrizione a un organismo che ammette la professione di tutte le possibili dottrine, vere e false, e che, quindi, si fa diffusore di una dottrina falsa, quella della non esistenza o almeno della non conoscibilità di una verità assoluta, né soprannaturale né naturale, e sulla base di questa dottrina falsa costruisce e propone una convivenza dannosa, perciò opera esplicitamente oppure implicitamente contro la Chiesa, “colonna e fondamento della verità” (23).

a. Relativismo religioso

Secondo la formulazione dell’enciclica Humanum genus, “[…] Massonicum foedus [..] a sententiarum summa iudicandum”, “[…] la lega massonica deve essere giudicata […] sulla base del complesso dei suoi princìpi” (24). I termini della summa sententiarum del “Massonicum foedus” si ricavano agevolmente dal documento di Papa Leone XIII, di cui è capitale il passo relativo all’indifferentismo religioso: “[…] anche se la setta non impone agli affiliati di rinnegare espressamente la fede cattolica – scrive il Sommo Pontefice -, questo comportamento è tanto lontano dall’opporsi agli intenti massonici che anzi, piuttosto, li asseconda.

In primo luogo, infatti, con questo sistema i massoni ingannano facilmente i semplici e gli incauti, e a un numero ancora maggiore di persone offrono allettamenti. In secondo luogo essi, aprendo le loro file a persone provenienti da qualunque confessione religiosa, ottengono perciò stesso la propagazione del grande errore dei tempi attuali, che consiste nel relegare tra le cose indifferenti la preoccupazione per la religione e nella convinzione che non vi sia alcuna differenza tra le varie forme religiose.

E questo criterio è adottato con lo scopo di annientare tutte le religioni, e segnatamente quella cattolica, che, essendo tra tutte l’unica vera, non può, se non con somma ingiustizia, essere posta su di un piano di parità rispetto alle altre” (25). Il tratto leoniano svolge quanto più sinteticamente espresso da Papa Clemente XII “[…] meditando sui gravissimi danni che per lo più tali Società o Conventicole recano […] anche alla salute spirituale delle anime” (26), in quanto costituite da “uomini di qualunque religione e setta, contenti di una certa affettata apparenza di naturale onestà” (27).

b. Relativismo filosofico e scetticismo

Ma la condanna dell’organizzazione del naturalismo ha di mira non soltanto quanto è in diretta relazione con la fede come deposito di verità rivelate, ma anche con tutto l’umano sapere e l’umano agire corretti e integrati dalla fede, perciò con la filosofia, con le scienze, con la politica e con l’arte, sia nel loro momento teorico che in quello pratico.

Infatti, Papa Leone XIII prosegue immediatamente: “Ma i naturalisti si spingono più oltre. Messisi audacemente, in questioni della massima rilevanza, per una via totalmente falsa, cadono a precipizio verso le estreme conseguenze sia per la debolezza della natura umana, sia per giusto giudizio di Dio, che punisce la superbia. Così avviene che le stesse verità che si conoscono per lume di ragione, quali sono certamente la esistenza di Dio, la spiritualità e la immortalità dell’anima umana, non hanno più per essi consistenza e certezza.

“Orbene, la setta massonica, per un non diverso errore di rotta, va a urtare proprio contro questi scogli. Infatti, sebbene professino generalmente la esistenza di Dio, tuttavia essi stessi fanno fede del fatto che questa convinzione non è impressa con fermo assenso e stabile giudizio nelle menti dei singoli.

E neppure dissimulano che tale questione intorno a Dio è presso di loro la fonte e la causa principale di dissidio; anzi è noto come anche di recente si ebbe tra loro, su questo punto, una non lieve contesa”. Ma – insiste il Sommo Pontefice – anche i massoni che ammettono l’esistenza di Dio, spesso “[…] ne hanno un concetto erroneo, come sono i panteisti, il che altro non è che il tenere una certa quale assurda idea della natura divina, eliminandone la verità.

Ora, abbattuto o scalzato questo supremo fondamento, è inevitabile che vacillino anche molte verità conosciute dalla ragione naturale, come il fatto che tutte le cose hanno avuto esistenza per libera volontà di Dio creatore; che il mondo è retto dalla Provvidenza; che l’anima è immortale; che a quella terrena seguirà una seconda ed eterna vita” (28).

c. Relativismo morale, privato e pubblico

Né è ancora tutto – insiste Papa Leone XIII – perché, “persi questi che sono come i princìpi dell’ordine naturale, importantissimi per la conoscenza e per la pratica, appare facilmente quali saranno i costumi privati e quelli pubblici. “Non parliamo delle virtù soprannaturali […].

“Parliamo dei doveri che derivano dalla morale naturale. Dio, creatore e provvido reggitore del mondo; la legge eterna che prescrive il rispetto e proibisce la violazione dell’ordine naturale; il fine ultimo dell’uomo, posto di gran lunga al di sopra delle cose umane e collocato molto al di là di questa transitoria sede mondana: queste sono le fonti, questi i princìpi di tutta la giustizia e di tutta la moralità. Se essi vengono soppressi […], subito la precisa conoscenza del giusto e dell’ingiusto non avrà più dove appoggiarsi né come sostenersi” (29).

Quindi, il Sommo Pontefice svolge con ampiezza il tema de “la pubblica e totale indifferenza nei confronti della religione e il non curarsi di Dio, come se non esistesse affatto, nella costituzione e nella amministrazione dello Stato, […] atteggiamento temerario ignoto agli stessi gentili, nel cui animo e nel cui cuore era così profondamente impressa non solo la credenza negli dei, ma anche la necessità di un culto pubblico, che consideravano più facile trovare una città senza territorio che senza Dio.

E in realtà la società umana, per la quale siamo stati creati per natura, fu istituita da Dio, autore della natura: e da Dio, come principio e fonte, procede tutta la perenne abbondanza dei beni innumerevoli dei quali essa abbonda. Come dunque in quanto singoli siamo dalla voce stessa della natura ammoniti a onorare piamente e santamente Dio per il fatto che da Dio abbiamo ricevuto la vita e i beni che a essa si accompagnano, così per la stessa ragione devono fare i popoli e gli Stati. È dunque evidente che quanti vogliono uno Stato svincolato da ogni dovere religioso, agiscono non solo ingiustamente, ma anche con ignoranza e in modo insensato” (30).

Con ogni evidenza, l’itinerario percorso nel documento di Papa Leone XIII non è “logico”, nel qual caso si sarebbe passati dal relativismo filosofico e dallo scetticismo al relativismo morale, quindi a quello religioso, cioè dai preambula fidei alla fides, ma lo si può definire come “sociologico”, dunque inteso a descrivere le ricadute filosofiche e morali di un contesto, concettuale ed esistenziale, caratterizzato dal fondamentale indifferentismo religioso.

Comunque, all’intronizzazione del relativismo religioso, filosofico e morale, alla sua egemonia, “[…] non possono seguirne altro che una rivoluzione e una sovversione universale” (31), il cui senso “[…] altro non è che sospingere il genere umano verso la più abbietta e ignominiosa degradazione” (32), cioè “[…] distruggere dalle fondamenta tutto l’ordine religioso e sociale nato dalle istituzioni cristiane e creare un nuovo ordine a suo arbitrio” (33).

Con ogni evidenza – ancora -, la visione del mondo descritta si può sinteticamente indicare, sia quanto al soprannaturale che quanto al naturale, come il trionfo del relativismo, il cui apice non sta tanto nella sua affermazione – dal momento che il relativismo affermato potrebbe parere contraddittoriamente l’ultimo “dogma” -, ma nella sua pratica, e all’interno del quale l’ateismo è una specie, talora virulenta, ma che ha il proprio limite propagandistico, cioè pedagogico, nella sua perentorietà, nella sua “dogmaticità”, dal momento che proibisce la ricerca della verità piuttosto che insinuare la vanità di tale ricerca, in quanto ricerca dell’inesistente.

Circa la sua fenomenologia e dal punto di vista naturale, l’itinerario leoniano “dall’indifferentismo religioso agli universali abiezione e degrado nella prospettiva di un “nuovo ordine”” suggerisce il richiamo al filosofo della Provvidenza, a Giambattista Vico, e alla “barbarie della riflessione”: infatti, il pensatore della Contro-Riforma o Riforma cattolica afferma che, “[…] perdendosi la religione ne’ popoli, nulla resta loro per vivere in società, né scudo per difendersi, né mezzo per consigliarsi, né pianta dov’essi reggano, né forma per la qual essi sien affatto nel mondo”, dal momento che, in una città indifferente a Dio – quindi, finalmente, “senza Dio” – si corrompono “[…] ancor le filosofie (le quali cadendo nello scetticismo, si diedero gli stolti dotti a calonniare la verità), e nascendo quindi una falsa eloquenza, apparecchiata egualmente a sostener nelle cause entrambe le parti opposte”; quindi, “[…] non potendovi appena due convenire, seguendo ognun de’ due il proprio piacere o capriccio, vadano a fare selve delle città, e delle selve covili d’uomini; e, ’n cotal guisa, dentro lunghi secoli di barbarie vadano ad irruginire le malnate sottigliezze degl’ingegni maliziosi, che li avevano rese fiere più immani con la barbarie della riflessione che non era stata la prima barbarie del senso” (34): dunque, l’indifferentismo religioso alimenta la sofistica e produce una condizione sociale d’incomunicabilità, fonte di abiezione e di degrado, qualunque sia l’utopia che surroga la metafisica.

Circa l’esito e dal punto di vista soprannaturale, lo stesso itinerario leoniano rimanda al teologo della Provvidenza, a sant’Agostino, che, a proposito di Babilonia, scrive: “Nella città adoratrice dei demoni, […] sebbene si dicessero alcune verità, si dicevano pure, con tutta libertà, cose false, onde, non senza ragione, tale città si meritò il nome simbolico di Babilonia. Babilonia, infatti, significa “confusione” […]. Al demonio, suo re, non importa che bisticcino tra loro, per errori diversi, coloro che egli possiede ugualmente a causa delle loro varie e molte empietà” (35).

5. La formulazione giuridica del giudizio, la sua comprensione e lo sviluppo della sua “motivazione”

Ci si può chiedere se la condanna e la diffida magisteriali nei confronti della massoneria in quanto veicolo di relativismo siano state adeguatamente tradotte dalla loro formulazione più estesa, l’enciclica Humanum genus, nei termini del Codice di Diritto Canonico del 1917, quindi di quello del 1983: si tratta di quesiti che non intendono certo essere polemici né nei confronti degli estensori dei due dispositivi né – tanto meno – dell’autorità che li ha promulgati, ma che sono particolarmente utili per evidenziare la difficoltà di descrivere adeguatamente la natura del fenomeno massonico, quindi per tentare di raggiungere questo risultato.

a. Dunque, secondo la prima codificazione, a tenore del canone 2335, vengono scomunicati ipso facto “coloro i quali danno il proprio nome alla setta massonica o ad altre associazioni dello stesso genere, che complottano contro la Chiesa e contro i legittimi poteri civili”. Secondo la codificazione vigente, il canone 1374 prevede sia punito “chi dà il nome ad una associazione, che complotta contro la Chiesa”.

Evidentemente, nel caso del canone 2335 i termini intendono rimandare alla massoneria che così si qualifica, cioè a una realtà di cui si ritiene inequivoca l’identificazione in quanto si presenta come tale, quindi ad “associazioni dello stesso genere”, e il canone stesso è costruito con riferimento implicito è ai due primi “doveri”, ai due primi “charge” massonici. A norma del primo – Su Dio e la Religione -, “il Massone è obbligato, dalla sua condizione, ad obbedire alla legge morale; e se egli ben comprende l’Arte, non sarà mai uno stupido ateo né un libertino irreligioso.

Ma quantunque nei tempi antichi i Massoni avessero l’obbligo in ogni paese di praticare la religione di questo paese o nazione, qualunque fosse, ora si ritiene più opportuno d’imporre loro soltanto la religione sulla quale tutti gli uomini sono d’accordo, lasciando a ciascuno le proprie opinioni, cioè d’essere uomini dabbene e sinceri ovvero uomini onorati e onesti, quali che siano le denominazioni o le credenze religiose che li differenziano, quindi la Massoneria diviene il Centro d’Unione e il tramite per stringere una leale amicizia fra persone che avrebbero potuto restare sempre separate”.

A tenore del secondo “dovere” – Della Magistratura civile suprema e subordinata -, “il Massone è un pacifico suddito dei poteri civili, ovunque risieda o lavori, e non deve mai immischiarsi in complotti e cospirazioni contro la pace e il benessere della nazione, né mancare ai suoi doveri verso i magistrati inferiori; poiché la Massoneria ha sempre sofferto dalla guerra, dall’effusione del sangue e dal disordine, ne è derivato che gli antichi re e principi sono stati molto disposti a incoraggiare gli artigiani a causa della loro pacificità e della loro lealtà, grazie alle quali rispondevano praticamente alle insinuazioni dei loro avversari e contribuivano all’onore della Fraternità, sempre fiorente in tempi di pace.

Perciò, se un fratello diventa ribelle allo Stato, non deve essere sostenuto nella sua ribellione, qualunque sia la pietà che possa ispirare in quanto uomo sfortunato e se non è dichiarato colpevole di qualche altro delitto, anche se la leale Fraternità deve e ha il dovere di sconfessare la sua ribellione, e di non dare nessuna ombra né motivo di sfiducia politica al Governo esistente, non si può espellerlo dalla Loggia, e la sua relazione con essa rimane indefettibile” (36).

b. Credo che il percorso concettuale che ha portato alla formulazione del canone 2335 possa essere ricostruito nei seguenti termini: “Esiste un’associazione – meglio, una lega di associazioni – che pratica l’indifferentismo religioso, la massoneria o lega massonica; tale indifferentismo religioso erode surrettiziamente le basi della fede e, nell’ipotesi, produce e alimenta il relativismo filosofico, quindi morale, così danneggiando radicalmente non solo la vita individuale, ma anche quella sociale.

Perciò, si vieta l’ascrizione del cattolico a tale associazione, avendo presente sia il bene soprannaturale che quello naturale, indicato sinteticamente come socio-politico e descritto attraverso il richiamo all’autorità e alla salute pubblica. Uguale atteggiamento di diffidenza è da tenersi nei confronti di qualunque altra associazione pratichi lo stesso errore, cioè l’indifferentismo religioso, da cui gli altri derivano”.

Da questo percorso nasce il canone 2335, secondo cui “nomen dantes sectae massonicae aliisve eiusdem generis associationibus quae contra Ecclesiam vel legitimas civiles potestates machinantur, contrahunt ipso facto excommunicationem”, cioè vengono ipso facto scomunicati quanti “si iscrivono alla setta massonica e alle altre associazioni dello stesso genere, che complottano contro la Chiesa e i legittimi poteri civili”.

La chiarissima analisi dottrinale dell’enciclica di Papa Leone XIII “precipita” – per così dire – nell’evocazione del nome “setta massonica”, cui vengono affiancate “associazioni dello stesso genere”, e di queste realtà si dice “che complottano contro la Chiesa e i legittimi poteri civili”; ma dai termini del canone non emerge assolutamente né la molteplicità delle associazioni massoniche vero nomine, il “Massonicum foedus”, “la lega massonica”, né – soprattutto – la ragione del “complottare”.

Infatti, quanto al primo punto, cioè alla realtà presa in considerazione, il “sectae massonicae” dell’originale latino viene correntemente tradotto come “alla setta massonica” piuttosto che “a una setta massonica”, in indubbia coerenza con le espressioni del documento di Papa Leone XIII, che parla costantemente di “secta Massonum” o “secta Massonica”, qualche volta di “societas Massonum” o “societas Massonica”, due volte soltanto di “Massonicum foedus”.

Ma forse – così facendo – non ci si è chiesto se nell’enciclica Humanum genus la riduzione a un’unica setta sia da attribuire indirettamente allo sforzo interpretativo unificante oppure direttamente all’apprezzamento di una realtà storica e giuridica unica; certo, in questo modo, si perde immediatamente la varietà di riferimenti sociologici presente nella lettera apostolica di Papa Clemente XII, in cui si tratta di “nonnullas societates, coetus, conventus, collectiones, aggregationes seu conventicula vulgo de “liberi Muratori” seu “Francs Massons”, aut alia quavis nomenclatura pro idiomatum varietate nuncupata” (37), e conservata nel “Massonicum foedus” dell’enciclica leoniana, secondo la quale appunto “varie sono le sette che, sebbene diverse di nome, di rito, di forma e di origine, tuttavia, per una certa comunanza di intenti e affinità di princìpi fondamentali, concordano in sostanza con la setta massonica, che funge da centro dal quale muovono e al quale fanno capo tutte quante” (38), e che intende fare riferimento alla “setta massonica considerata in sé stessa e in quanto abbraccia altre associazioni affini e con essa collegate” (39).

Inoltre – sempre così facendo -, si è in un certo senso indebolita l’indispensabile forte attenzione nei confronti di un unico errore in molteplici vesti, nonostante il permanere nel dispositivo di “associazioni dello stesso genere”, che però sono state schiacciate nella ricezione psico-sociale – ma non solo in questa – dalla corposa e monolitica “setta massonica”, non più la “rete” o network dei documenti clementino e leoniano: a prova di quanto affermo, adduco il testo dell’articolo 247 delle Costituzioni Sinodali del Primo Sinodo Romano, che parla della “secta massonica”, tradotta ufficialmente in lingua italiana con “la Massoneria”, non solo con l’articolo determinativo, ma anche con la maiuscola.

Quanto al secondo punto, cioè all’opera svolta dalla realtà presa in considerazione, non esplicitare concettualmente il significato del “machinari” del testo ufficiale latino, ma affiancarlo semplicemente alla “setta massonica”, quindi tradurre lo stesso “machinari” con “complottare” ha significato oggettivamente esporre la ragione del “machinari” implicitamente, cioè attraverso l’esemplificazione storica, cioè – ancora – attraverso il richiamo a “la massoneria”, dunque affidarne l’esegesi alla verifica fattuale.

Questo procedere non è stato privo di conseguenze, come i fatti si sono incaricati di confermare. Per esempio, fra le conseguenze di questo procedere si possono certamente rubricare “interpretazioni errate e tendenziose” date a una lettera della Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, firmata dal card. Franjo Seper, al card. John Krol, arcivescovo di Filadelfia, negli Stati Uniti d’America, del 19 luglio 1974, secondo cui “[…] si può sicuramente insegnare che il […] canone 2335 tocchi soltanto quei cattolici iscritti ad associazioni che veramente cospirino contro la Chiesa”, mentre “resta tuttavia proibito in ogni caso ai chierici, ai religiosi e anche ai membri di Istituti secolari di iscriversi a qualsiasi tipo di associazioni massoniche”; e proprio “interpretazioni errate e tendenziose” di questo documento, una volta di pubblico dominio, resero necessario un intervento ugualmente pubblico della stessa Congregazione, del 17 febbraio 1981, nel quale si ribadiva la vigenza dell’”attuale disciplina canonica” (40).

D’altra parte, poiché il rimando era fattuale, passare da “la massoneria” alle “associazioni massoniche” poteva essere interpretato come un abbandono della denuncia e della condanna della sententiarum summa, del principio unificante tali diverse associazioni – o almeno farlo sospettare.

Inoltre il “complottare”, favorito da circa due secoli di immaginario collettivo in argomento, quasi spostava – o almeno concentrava – l’attenzione sulla “segretezza nell’opera” piuttosto che sulla “segretezza dell’opera”, e poteva distogliere dalla natura dell’opera stessa che è di erosione delle fondamenta, sia per quanto attiene alla fede che alla vita sociale.

Finalmente, a proposito della vita sociale, la trascrizione in termini riducibili al positivo riferimento storico – “i legittimi poteri civili” – di quanto Papa Leone XIII evidenziava e censurava come opera rovinosa “per la Chiesa, per l’autorità dei governanti e per la salute pubblica” (41), finiva per fondare semplicemente un pregiudizio favorevole allo status quo e, nella migliore delle ipotesi, per suggerire e per orientare a una ricognizione relativa alla legittimità dell’autorità e del regime vigente, piuttosto che attirare l’attenzione sull’opera di erosione dei princìpi e delle condizioni su cui si fondano l’autorità e la convivenza sociale.

c. A fronte di questo “degrado”, di questo “scadimento” evidente – uso i termini secondo etimologia e non secondo fraseologia – nell’apprezzamento della sostanza di quanto vietato – per rendersene conto basta avere una sia pur minima dimestichezza con la letteratura relativa alla querelle soprattutto della seconda metà del secolo XIX e della prima metà del secolo XX -, la codificazione postconciliare non pone la scure alla radice, ma la formulazione del Codice di Diritto Canonico del 1983, forse facendosi forte dell’itinerario “sociologico” e non “logico” che ho indicato come specifico nell’approccio di Papa Leone XIII, ha creduto di evitare almeno parte dei rischi indicati “liberandosi” dei “legittimi poteri civili” e della stessa “massoneria”, e ha adottato una formulazione generica nella quale la massoneria diventa una specie: infatti, il canone 1374 prevede sia punito “chi dà il nome ad una associazione, che complotta contro la Chiesa”, quindi è traducibile nella formula secondo cui un cattolico non può aderire a organismi che operano contro la Chiesa, cioè sono a diverso titolo portatori attivi di errori, cioè – ancora – di tesi e di pratiche contrastanti con la verità “naturale e cristiana”.

Evidentemente, l’espressione “naturale e cristiana” è un’endiadi che rimanda all’unico Dio creatore e redentore-santificatore. In questa categoria più ampia sono compresi – e non in subordine – anche organismi portatori dell’ideologia socialcomunista. Ma di nuovo, purtroppo, non emerge in positivo il significato complesso e articolato del “complottare” e, soprattutto, non viene apertamente indicata la ragione della denuncia e della condanna, cioè l’”errore degli errori”, la negazione dell’esistenza o, almeno, della conoscibilità certa, quindi della conseguente assolutezza, di qualsiasi verità, naturale e soprannaturale. Inoltre, scompare anche l’”esemplificazione” massonica, sì che il “complottare” si fa ancora più denso e ancora più implicito.

d. Detto questo quanto alla formulazione, mi pare si possa obbiettare anche quanto alla prudenza rivelata dal mutamento del canone 2335 nel canone 1374, poiché – com’era per altro decisamente prevedibile – tale trasformazione è stata interpretata immediatamente ed erroneamente come abolizione della scomunica, o almeno ha dato adito a una simile affermazione, superficiale e maliziosa quanto si vuole, ma non per questo con minore impatto sull’opinione pubblica (42); né, a frenare l’effetto negativo del mutamento, è bastato che il nuovo canone 1374 venisse immediatamente interpretato in modo autentico nella dichiarazione della Congregazione per la Dottrina della Fede del 1983, che usa come fungibili il termine “massoneria” e l’espressione “associazioni massoniche”, e secondo cui le “associazioni massoniche” sono certamente da rubricare fra quelle associazioni che complottano contro la Chiesa: infatti, facendo eco a una sentenza costante, in tale dichiarazione si conferma che “rimane pertanto immutato il giudizio negativo della Chiesa nei riguardi delle associazioni massoniche, poiché i loro principi sono stati sempre considerati inconciliabili con la dottrina della Chiesa e perciò l’iscrizione a esse rimane proibita”.

Comunque, “non tutto il male vien per nuocere” – così suona la formulazione proverbiale dell’eterogenesi dei fini -, in quanto l’emergenza costituita dalla pubblicazione del Codice di Diritto Canonico del 1983 ha fatto ribadire la condanna e la diffida nonché, soprattutto, ricomparire i “principi”. Infatti, finalmente, nel 1985 – nella preziosa motivazione ufficiosa di questo ennesimo verdetto – viene esplicitata la natura “sociologica” dell’itinerario concettuale.

Anzitutto vengono ricordate le motivazioni storiche della denuncia, della condanna e della conseguente diffida, e non si manca di evocare “il clima di segretezza [che] comporta, oltre tutto, per gli iscritti il rischio di divenire strumento di strategie ad essi ignote”, ma ci si colloca “[…] al livello più profondo e d’altra parte essenziale del problema: sul piano cioè dell’inconciliabilità dei principi, il che significa sul piano della fede e delle sue esigenze morali”.

Quindi viene esposto l’argomento secondo cui “a proposito dell’affermazione sull’inconciliabilità dei principi tuttavia si va ora da qualche parte obiettando che essenziale della massoneria sarebbe proprio il fatto di non imporre alcun ‘principio’, nel senso di una posizione filosofica o religiosa che sia vincolante per tutti i suoi aderenti, ma piuttosto di raccogliere insieme, al di là dei confini delle diverse religioni e visioni del mondo, uomini di buona volontà sulla base di valori umanistici comprensibili e accettabili da tutti”; perciò “la massoneria costituirebbe un elemento di coesione per tutti coloro che credono nell’Architetto dell’universo e si sentono impegnati nei confronti di quegli orientamenti morali fondamentali che sono definiti ad esempio nel Decalogo; essa non allontanerebbe nessuno dalla sua religione, ma al contrario costituirebbe un incentivo ad aderirvi maggiormente”.

Dopo la notazione che “l’associarsi alla massoneria va tuttavia decisamente oltre questa legittima collaborazione e ha un significato ben più rilevante e determinante di questo”, vengono i passaggi fondamentali del documento: “Innanzi tutto si deve ricordare che la comunità dei ‘liberi muratori’ e le sue obbligazioni morali si presentano come un sistema progressivo di simboli dal carattere estremamente impegnativo.

La rigida disciplina dell’arcano rafforza ulteriormente il peso dell’interazione di segni e di idee”; quindi, “anche se si afferma che il relativismo non viene assunto come dogma, tuttavia si propone di fatto una concezione simbolica relativistica, e pertanto il valore relativizzante di una tale comunità morale-rituale, lungi dal poter essere eliminato, risulta al contrario determinante.

“In tale contesto, le diverse comunità religiose, cui appartengono i singoli membri delle logge, non possono essere considerate se non come semplici istituzionalizzazioni di una verità più ampia e inafferrabile. Il valore di queste istituzionalizzazioni appare, quindi, inevitabilmente relativo, rispetto a questa verità più ampia, la quale si manifesta invece piuttosto nella comunità della buona volontà, cioè nella fraternità massonica.

“Per un cristiano cattolico, tuttavia, non è possibile vivere la sua relazione con Dio in una duplice modalità, scindendola cioè in una forma umanitaria – sovraconfessionale e in una forma interna – cristiana. Egli non può coltivare relazioni di due specie con Dio, né esprimere il suo rapporto con il Creatore attraverso forme simboliche di due specie.

Ciò sarebbe qualcosa di completamente diverso da quella collaborazione, che per lui è ovvia, con tutti coloro che sono impegnati nel compimento del bene, anche se a partire da principi diversi. D’altronde un cristiano cattolico non può nello stesso tempo partecipare alla piena comunione della fraternità cristiana e, d’altra parte, guardare al suo fratello cristiano, a partire dalla prospettiva massonica, come a un ‘profano’.

“Anche quando non vi fosse un’obbligazione esplicita di professare il relativismo come dottrina, tuttavia la forza relativizzante di una tale fraternità, per la sua stessa logica intrinseca ha in sé la capacità di trasformare la struttura dell’atto di fede in modo così radicale da non essere accettabile da parte di un cristiano, ‘al quale cara è la sua fede’ (Leone XIII).

“Questo stravolgimento nella struttura fondamentale dell’atto di fede si compie, inoltre, per lo più, in modo morbido e senza essere avvertito: la salda adesione alla verità di Dio, rivelata nella Chiesa, diviene semplice appartenenza a un’istituzione, considerata come una forma espressiva particolare accanto ad altre forme espressive, più o meno altrettanto possibili e valide, dell’orientarsi dell’uomo all’eterno.

“La tentazione di andare in questa direzione è oggi tanto più forte, in quanto essa corrisponde pienamente a certe convinzioni prevalenti nella mentalità contemporanea. L’opinione che la verità non possa essere conosciuta è caratteristica tipica della nostra epoca e, nello stesso tempo, elemento essenziale della sua crisi generale”.

Grazie a queste puntuali “riflessioni”, l’infelicità della formulazione dei dispositivi canonici – per la quale non è assolutamente necessario immaginare malizia oppure inadeguatezza ma, molto semplicemente, verificare l’oggettiva difficoltà nell’opera – viene restaurata dalla felice interpretazione, che non aggiunge quanto era assente, ma esplicita quanto era certamente patente nell’enciclica Humanum genus, quindi latente oppure non facilmente apprezzabile, o semplicemente non generalmente apprezzato, nei citati dispositivi canonici senza il ricorso attento e metodico alle fontes e un adeguato esercizio ermeneutico.

Infatti, il termine “massoneria” indica il momento unitario, l’espressione “associazioni massoniche” fa stato della varietà sociologica e “la capacità di trasformare la struttura dell’atto di fede” richiama i termini dell’enciclica leoniana, secondo cui “[…] nessuno ritenga che per qualunque motivo gli sia lecito iscriversi alla setta massonica, se la sua professione di cattolicità e la sua salvezza gli stanno a cuore nella misura in cui devono” (43).

Evidentemente, il canone 1374, la sua esegesi ufficiale e quella ufficiosa costituiscono la reiterazione di un “giudizio di fatto” che si accompagna a un “giudizio di principio”, sì che il “giudizio di fatto” mantiene la sua vigenza fino a prova contraria, l’onere di tale prova spettando ai massoni; un eventuale mutamento circa il “giudizio di fatto” in qualche caso concreto, non coinvolge minimamente né il naturalismo, né il razionalismo, né il laicismo, né l’indifferentismo, né il relativismo; e comunque – merita di essere ricordato, affinché il problema venga sempre affrontato con la dovuta circospezione – si tratta di un “giudizio di fatto” legato a un “giudizio di principio” in circa seicento documenti univocamente orientati nell’arco di ormai oltre duecentocinquant’anni.

Se poi qualcuno avesse nostalgia – la qualificazione sentimentale non vuole essere assolutamente polemica – della parte del canone 2335 relativa alle “legittime autorità civili”, cioè al mondo socio-politico, ma ha inteso e intende il riferimento essenziale al relativismo, può trovare soddisfazione leggendo quanto scrive Papa Giovanni Paolo II al paragrafo 46 dell’enciclica Centesimus annus, del 1991: “Oggi si tende ad affermare che l’agnosticismo ed il relativismo scettico sono la filosofia e l’atteggiamento fondamentale rispondenti alle forme politiche democratiche, e che quanti sono convinti di conoscere la verità ed aderiscono con fermezza ad essa non sono affidabili dal punto di vista democratico, perché non accettano che la verità sia determinata dalla maggioranza o sia variabile a seconda dei diversi equilibri politici. A questo proposito, bisogna osservare che, se non esiste nessuna verità ultima la quale guida e orienta l’azione politica, allora le idee e le convinzioni possono esser facilmente strumentalizzate per fini di potere. Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia” (44).

6. Veri e falsi problemi: “dialogo” e “doppia appartenenza” in atmosfera di relativismo

Rebus sic stantibus, qual è il senso delle querimonie levate continuamente da massoni e da massonofili contro la precisazione giuridica e magisteriale? Ha qualche fondamento l’accusa rivolta alla Chiesa e ai cattolici fedeli, sempre implicita e spesso anche esplicita, di chiusura al dialogo?

L’espressione “stravolgimento compiuto in modo morbido e senza essere avvertito” induce a ricordare che, dopo la pubblicazione dell’enciclica Ecclesiam suam, nel 1964, da parte di Papa Paolo VI, “dialogo” è diventato – com’è stato acutamente e adeguatamente mostrato da Plinio Corrêa de Oliveira in particolare per quanto attiene al dialogo con i socialcomunisti – una “parola-talismano”, cioè uno strumento per condurre in porto un’opera di “trasbordo ideologico inavvertito” dell’interlocutore cattolico verso posizioni terze, comunque utili all’interlocutore non cattolico, quando addirittura non proprie dello stesso interlocutore non cattolico (45).

Questo stratagemma – che trae la sua forza da abusi e da manipolazioni del documento magisteriale, reiteratamente colpiti in posteriori interventi, anche recentissimi – non inquina ogni dialogo né inficia il valore del dialogo in sé, sì che talora questo si può svolgere correttamente, come prova quello di cui sono stati protagonisti vescovi tedeschi ed esponenti massonici dello stesso paese per ben cinque anni.

Ma la conclusione di quel dialogo corretto, cioè l’incompatibilità dell’appartenenza di cattolici ad associazioni massoniche anche dichiaratamente non avverse alla Chiesa cattolica, non è evidentemente piaciuta a chi aveva diversa aspettativa e che quindi continua pateticamente ad auspicare, quando non a reclamare, un “sedersi attorno a un tavolo”, che fa ormai parte del passato, del déjà vu, e che potrà essere ripreso esclusivamente a fronte di fatti concludenti non verificatisi – che si sappia – dal 1980 a oggi.

Ergo, da questo atteggiamento si può evincere – senza fare il processo alle intenzioni di nessuno – che, almeno per chi continua a richiederlo, talora a reclamarlo, dopo che si è concluso, ma non come gradiva, il dialogo non è, come l’uomo della strada pensa, inteso come chiarificazione che definisce caratteri e limiti, talora drastici, di convivenza, di confluenza e di collaborazione, ma come un fidanzamento che si deve obbligatoriamente concludere in una caro, in “una carne sola”, possibilmente con regolari sponsali. In altre parole, appare evidente che quanto si chiede da massoni e da massonofili sotto il nome di dialogo è semplicemente la doppia appartenenza, e questo la Chiesa cattolica nega in dottrina e quindi in diritto.

In termini “logici” e non “sociologici” – per riprendere una distinzione fatta precedentemente – Papa san Pio X nota che “[…] bisogna respingere l’opinione di certi antichi secondo cui non ha nessuna importanza per la verità della fede che si pensi in questo oppure in quel modo a proposito di Dio, perché l’errore relativo alla natura delle cose genera una falsa conoscenza di Dio; così devono essere santamente e inviolabilmente conservati i princìpi della filosofia posti dall’Aquinate, con i quali […] si ottiene una tale scienza delle cose create che si accorda in modo mirabile con la fede”. Infatti, “[…] una volta privata la verità cattolica di questo potente presidio, invano per difenderla si chiederà aiuto a quella filosofia i cui princìpi o sono comuni con gli errori del materialismo, del monismo, del panteismo, del socialismo e dei vari modernismi, oppure non si oppongono certamente a essi” (46).

Perciò, contro il naturalismo e i suoi corollari, ci si deve attenere a quello che Papa Pio XI chiama “un certo Vangelo naturale” (47); quindi, sono negate tutte le composizioni dottrinali del tipo “catto” e tutte quelle pratiche del tipo “clerico”; dunque, non vi è spazio per i catto-massoni o per i clerico-massoni, come neppure per i catto-islamici o per i catto-induisti, per fare soltanto un fuggevole riferimento a deformazioni del dialogo interreligioso.

7. Veri e falsi problemi: appartenenza massonica e mentalità massonica, ovvero massoneria e massonismo

Se il tema della doppia appartenenza accompagna parassitariamente la convivenza storica e il dialogo fra la Chiesa cattolica e le società massoniche, vi è anche un’altra problematica, per certo minore in quanto esclusivamente di fatto, che però si manifesta con non minore frequenza, questa volta all’interno del mondo cattolico, quando non della Chiesa cattolica stricto sensu considerata.

Si tratta della periodica denuncia di infiltrazioni massoniche fra i cattolici e all’interno della stessa gerarchia ecclesiastica, denuncia consuetamente – ma non obbligatoriamente – effettuata da e/o attribuita a cattolici detti “integralisti”, cioè zelanti dell’ortodossia e dell’ortoprassi cattoliche, dolorosamente colpiti da reazioni dottrinalmente dubbie o, almeno, di dubbio vigore, da parte del mondo cattolico e della stessa Chiesa, di fronte a situazioni storiche non rispettose – per dire il meno – della dottrina cattolica e delle indicazioni della gerarchia ecclesiastica.

Come si vede, il problema è assolutamente di fatto, ma, se niente permette di escludere l’eventualità denunciata semplicemente irridendo i denunciatori e rovesciando su di loro l’accusa di “cacciatori di streghe”, questa denuncia si sostiene spesso – per non dire sempre ed esclusivamente – con la diffusione di elenchi di personaggi ascritti a questa o a quella loggia massonica, a questa o a quella associazione para-massonica, con i corrispondenti numeri di tessera e con le date di iniziazione.

Senza escludere – lo ripeto ad abundantiam – l’eventualità che siano esistiti in passato, esistano oggi e possano esistere in futuro cattolici – e fra loro anche gerarchi della Chiesa – occultamente ascritti alla massoneria, quindi operanti nella prospettiva dell’orizzonte massonico, mi permetto di indicare un criterio di giudizio meno legato a improbabili – o comunque sempre molto difficili e ampiamente incerte – verifiche anagrafiche, ma a verifiche fattuali di gran lunga più cogenti come sono quelle costituite da fatti conclusi, quindi anche concludenti, piuttosto che quelle sostenute da fatti ipotetici.

Allo scopo mutuo il plesso ormai acquisito fra “nuove religioni”, organismi caratterizzati da “credenze” e da “comportamenti”, e “nuova religiosità”, mentalità connotata da credenze e da comportamenti analoghi, se non identici, a quelli teorizzati nelle nuove religioni, ma posta in essere surrettiziamente e abusivamente all’interno di un sistema organizzativo che non li prevede e che, anzi, ufficialmente non li accetta (48).

Sulla base della trascrizione analogica di questa articolazione, credo si possano identificare e distinguere la “massoneria”, come quadro realizzativo ufficiale delle dottrine e della pratica massoniche, costituito dalle associazioni massoniche e da organismi para-massonici; e il “massonismo”, come mentalità ispirata dalle dottrine e dalla pratica massoniche, introdotta in un contesto che ufficialmente e autoritativamente la rifiuta.

Quindi, se l’anima della massoneria è il relativismo, si può affermare che esso ha una sua sede ufficiale e propulsiva, e un suo propagarsi e un suo insinuarsi tendenzialmente ovunque. Ancora: se l’anima della massoneria è il relativismo, esso è anche l’anima del massonismo. Finalmente, se le cose stanno in questi termini, si può affermare con sicurezza che l’enciclica Veritatis splendor, pubblicata da Papa Giovanni Paolo II nel 1993, deve essere considerata espressione esemplare della lotta condotta dal Magistero della Chiesa cattolica contro il massonismo, in quanto ha di mira – fra l’altro, ma non secondariamente – appunto il relativismo (49); e nella stessa linea si situa il paragrafo n. 46 dell’enciclica Centesimus annus, già citato.

Le dottrine e i comportamenti denunciati e condannati nei due documenti, il primo in campo generalmente morale, il secondo in campo politico-sociale, costituiscono espressione di massonismo, indipendentemente dalla regolare appartenenza massonica di chi li promuove e li tiene, sì che il fatto dell’appartenenza alla massoneria rileva oggettivamente solo della rilevanza della conferma, non della prova, e questo – sia ben chiaro – non significa certamente negare la sua rilevanza soggettiva, cioè riguardante la coscienza di ogni singolo e la sua sensibilità e docilità disciplinare nei confronti della verità e dell’autorità della Chiesa che l’afferma; rileva invece il fatto della consequenzialità, secondo il modulo evangelico: “Dai frutti li riconoscerete” (50).

8. Per concludere

Dunque, con la crisi protestantica, la società europea ha perduto l’omogeneità cattolica, e questa disomogeneità, questa “frantumazione” è venuta crescendo e continua a crescere vistosamente, e di questo fenomeno sono contemporaneamente causa e prova non trascurabile – per esempio – le nuove religioni. La comprensione e la risposta alla pluralità delle visioni del mondo – che si situa su di un piano completamente diverso da quello del pluralismo sociale – possono essere diverse e contrastanti.

Anzitutto, si può esprimere un giudizio sostanzialmente negativo sul pluralismo delle visioni del mondo e perciò impegnarsi in uno sforzo teso al ricupero dell’omogeneità: detronizzata la verità, poiché imperversa la molteplicità degli errori, va restaurata l’egemonia della verità stessa.

Per contro, il fatto del pluralismo delle visioni del mondo può essere dogmatizzato, cioè trasformato in principio: non esiste una verità, o almeno non può essere immediatamente conosciuta in quanto è nascosta – di un nascondimento non sempre concettuale, ma talora fisico -, e dall’affermazione del relativismo – e del corrispondente esoterismo – consegue quindi che non solo non esiste e non può esistere un mondo omogeneo, ma non deve esistere.

Le rinnovate condanna e diffida nei confronti delle associazioni massoniche e della permanenza di tali associazioni come specie nel genere di quelle che “complottano contro la Chiesa”, si inseriscono in questo quadro drammatico e alternativo, nel quale – come ha articolatamente insegnato Papa Giovanni Paolo II a Loreto, l’11 marzo 1985 – il cattolico svolge il suo ruolo, cioè ottempera ai suoi doveri verso Dio ed è veramente utile al suo prossimo, cioè – ancora – ama Dio, sé stesso e il suo prossimo, solo se coltiva la propria identità e la conserva gelosamente (51), e così testimonia per l’esistenza della verità.

Quando poi il cattolico, che ha sviluppato adeguatamente la propria “coscienza di verità”, si organizza – così, con indicazioni sostanzialmente non datate, Papa Leone XIII incita a combattere contro l’egemonia massonica, cioè appunto attraverso l’associazionismo cattolico – il martirio, il ghetto oppure la crociata non dipendono dalla sua iniziativa, non sono il risultato di sue scelte, ma sono determinate dall’iniziativa del “mondo” inteso come maligno e come umanità, in quanto sono altrettante risposte “di verità” a puntuali sfide storiche: infatti, da parte sua il cattolico offre semplicemente una testimonianza missionaria adeguata alle diverse situazioni e caratterizzata da un atteggiamento di ben intesa tolleranza (52).

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