Oramai il Principe delle Tenebre è tra noi. O forse no. Molti si stracciano le vesti, ma la realtà dei fatti è ben diversa. Scapperebbe da ridere se ogni tanto non ci scappasse il morto innocente
di Andrea Menegotto
Gli spunti di cronaca per parlare – il più delle volte impropriamente – di satanismo e della presenza di decine di migliaia di satanisti organizzati in centinaia di gruppi nel nostro Paese sono, di fatto, quotidiani. Abusi su minori, violenze, profanazioni di chiese e di cimiteri o comunque di simboli sacri, uccisioni di persone in circostanze «strane», ritrovamenti bizzarri di resti di animali, residui di rituali (candele rosse o nere, pupazzi, calici)… Molto spesso tutto questo si colora di mistero e, nella vulgata giornalistica, passa come esempio concreto di attività genericamente definite «sataniche».
Tuttavia, il satanismo non rappresenta un fenomeno unitario, perciò gli studiosi distinguono opportunamente fra tre ambiti, che si differenziano in maniera sostanziale per le loro peculiarità: esistono infatti un satanismo «organizzato», un satanismo «giovanile» e un cosiddetto «para-satanismo». Quest’ultima categoria tiene conto del fatto che il folklore della malavita organizzata, della prostituzione nonché le attività di alcuni pervertiti sessuali spesso assumono il Demonio quale simbolo della violazione e della sfida alla legge, anche se rimane di per sé difficile dire quanto questo riferimento sia puramente simbolico ovvero reale.
Il satanismo organizzato, invece, interessa in realtà solo qualche migliaio di persone nel mondo. Le statistiche possono essere ricostruite in modo piuttosto preciso, poiché è praticamente impossibile che un gruppo organizzato sfugga completamente al rilevamento da parte degli specialisti o degli organi di polizia. Una stima del CESNUR (il Centro Studi sulle Nuove Religioni) riferita al 2003 giunge a contare circa 240 membri totali, suddivisi fra 3 gruppi principali (le 2 Chiese di Satana – l’una di orientamento occultista e l’altra razionalista – e i Bambini di Satana contano in totale circa 90 aderenti) e alcuni gruppi minori (150 aderenti).
Dunque, a dispetto delle cifre molto maggiori – a chi propone tali cifre, naturalmente, rimane l’onere della prova – i gruppi di satanisti organizzati non radunano una percentuale significativa della popolazione italiana, anche se l’esperienza vissuta può naturalmente essere seria e grave per le persone coinvolte.
Molto più diffuso e difficile da stimare è il satanismo giovanile, detto pure «satanismo acido», per la sua associazione con la droga, composto da gruppuscoli di minorenni (molto raramente con la presenza di qualche adulto), privi di una continuità organizzativa e rituale e di contatti con i gruppi del satanismo «storico» e organizzato, che mettono in scena rituali satanici «selvaggi» sotto l’influsso di film, trasmissioni televisive, fumetti e di una certa subcultura musicale.
Le statistiche sul satanismo giovanile sono invece, per le caratteristiche sociologiche dello stesso fenomeno, ipotetiche e, di fatto, molti gruppi possono essere rilevati soltanto in occasione di un reato compiuto.
Dai dati di polizia che riguardano diverse regioni si può ipotizzare che il fenomeno in questione coinvolga in Italia circa un migliaio di giovani, mentre una cerchia più ampia (2.000-3.000 persone) adotta stili della subcultura satanica (abbigliamento, simboli, gesti) senza però partecipare alle vere e proprie attività dei gruppi del satanismo giovanile.
Proprio il satanismo «selvaggio» – molto più difficile da sorvegliare per le forze di polizia – si rivela spesso veramente pericoloso ed è in questo ambiente che sono maturati negli ultimi anni crimini di vario genere e gravità: vandalismo e profanazione di chiese e cimiteri, violenza carnale e omicidi, come quello di suor Maria Laura Mainetti (1939-2000) il 6 giugno del 2000 a Chiavenna.
Il satanismo giovanile, però, è fondamentalmente un fenomeno di disagio e – come tale – non dovrebbe essere analizzato primariamente con le categorie della sociologia dei movimenti religiosi, ma con quelle della devianza e del disagio giovanile, parlando le storie dei giovani satanisti della frequentazione di ambienti border-line, di droga, teppismo e «piccola criminalità». Dal punto di vista sociologico il satanismo è dunque un fenomeno delicato e complesso e la creazione di ciò che il sociologo e criminologo statunitense Philip Jenkins definisce «panico morale» non giova certo alla comprensione e alla soluzione dei problemi sociali che esso pone.
Una maniera impropria ed enfatica di affrontare la questione del satanismo da parte dei mass-media e, di conseguenza, dell’opinione e degli enti pubblici finisce, tragicamente, per produrre vittime innocenti. È questo il triste caso di don Giorgio Govoni (1941-2000), sacerdote cattolico della diocesi di Modena-Nonantola, accusato da alcuni bambini – ma in realtà da psicologhe e assistenti sociali dell’ASL di Mirandola (Modena), le quali affermavano di interpretare i racconti dei bambini – di organizzare riti satanici in cui si abusava sessualmente dei piccoli. Il sacerdote, processato nel 2000, muore letteralmente di crepacuore poche ore dopo l’arringa del pubblico ministero che lo riteneva colpevole.
Dopo che i giudici di primo grado avevano mostrato di credere alla realtà dei riti satanici condannando altri imputati, sia i giudici di appello nel 2001 sia la Corte Suprema di Cassazione italiana, nel 2002, hanno demolito la ricostruzione dei presunti riti satanici proposta dall’equipe della ASL di Mirandola, riabilitando il sacerdote che da parte loro il vescovo e la diocesi avevano sempre difeso.
Affinché drammi come questo non si ripetano, occorrerebbe che fosse sottolineato, anche e soprattutto dagli stessi media, che i satanisti in realtà sono pochi, che le loro attività veramente criminali sono piuttosto infrequenti e che essi non sono dei potenti signori delle tenebre, ma – piuttosto -, in molti casi, dei veri e propri «poveri diavoli».