Dalla decolonizzazione sono aumentati i conflitti ed è cresciuta la miseria
di Nazzareno Mollicone
Ebbene, probabilmente tra qualche decennio – se le cose non cambiano prima – si faranno dei documentari e delle storie immaginarie sulle vicende di un altro continente, anch’esso vicino all’Europa mediterranea ma reale, e non fantastico come Atlantide. Questo continente si chiama Africa.Questa definizione potrà sembrare eccessiva, ma non lo è poi tanto se si considerano i dati tratti dalla cronaca che riguardano gli aspetti politici, militari, sociali, economici, culturali di quel continente.
Le guerre in corso nel continente
Guardiamo innanzitutto la situazione militare, la più grave, perché distrugge vite umane, strutture civili, risorse economiche. Oggi, in Africa esistono – iniziando dal versante mediterraneo – le seguenti guerre aperte o guerriglie: in Algeria, tra il governo ed i militanti dell’integralismo islamico; in Marocco, tra il regno di Rabat ed il popolo “Saharawi”, abitante l’ex-Marocco spagnolo, che vuole essere indipendente; in Somalia, ormai inesistente come Stato organizzato, scontri quotidiani tra i vari clan tribali che controllano zone del territorio; la guerra in corso tra Eritrea ed Etiopia, che è solo l’ultimo episodio di uno scontro tra due popoli che risale agli anni sessanta; nel Sudan, dura da almeno un quarto di secolo la guerriglia tra il Nord arabo ed islamico ed il Sud negro e cristiano; in Sierra Leone, lo scontro tra governo apparentemente legittimo e la guerriglia ha coinvolto l’ONU e le truppe inglesi; in Liberia, non sono ancora cessati gli strascichi degli scontri che hanno portato al potere l’ex-guerrigliero Charles Taylor; nel Ruanda e nel Burundi si sono appena placati gli scontri tra le tribù Tutsi (i famosi “Watussi” della canzone di Edoardo Vianello) ed i Bahutu; il Congo ex-belga, ex-Zaire, è tuttora occupato da truppe dei paesi confinanti che sostengono o lottano l’attuale premier Kabila, che giunse al potere con una rivolta armata che ha destituito Mobutu; in Angola, perdura dai tempi dell’indipendenza, un quarto di secolo fa, lo scontro armato tra il governo centrale ed i guerriglieri dell’UNITA di Savimbi; nello Zimbabwe, ex-Rhodesia, il regime del presidente Mugabe sta per scatenare un’altra guerra civile, che intanto ha già fatto un centinaio di morti; in Sudafrica, chetatosi per ora lo scontro armato tra le etnie Bantu e Zulu, si avvertono i sintomi di una ripresa della guerriglia sull’esempio dello Zimbabwe e per protesta alla crisi sociale ed economica sopravvenuta dopo la fine del Governo Bianco.
Ci fermiamo qui, pensando forse di aver trascurato qualche altro focolaio di guerriglia o rivolta armata. Sta di fatto che, nel corso dei quarant’anni passati della cosiddetta “decolonizzazione” del 1960, l’Africa non è mai stata un solo anno senza che in qualche parte del suo immenso territorio non si sia verificata una lotta armata tra i loro abitanti.
Inoltre, poiché negli anni scorsi frequentemente l’ONU è intervenuto disponendo l’invio di corpi militari internazionali per “mantenere la pace” (peraltro con scarsissimi risultati), il coinvolgimento negli scontri armati in territorio africano di militari appartenenti a tutte le aree del globo ha indotto qualche osservatore dell’ONU a definire gli eventi di questi ultimi mesi ed anni come “la prima guerra mondiale africana”.
Attualmente, l’ONU ha circa diecimila uomini armati in Africa (Sierra Leone, Congo-Kinshasa, Sahara Occidentale); nel passato, ha inviato truppe per operazioni di pace in Angola, Repubblica Centrafricana, Ciad, Liberia, Mozambico, Namibia, Ruanda, Uganda, , Somalia. Questi conflitti sorgono in genere per due ragioni, che poi si riducono ad una sola. La prima, è la rivolta contro un regime; la seconda, è la difesa dei confini artificialmente creati dalle potenze coloniali.
Ma alla base di entrambe le motivazioni esiste sempre un conflitto di tipo razziale, tra le varie etnie e tribù esistenti in Africa (soprattutto in quella sub-sahariana) le quali mal sopportano di essere assoggettate le une alle altre oppure di essere divise dagli ex-confini coloniali.
Non saremo certo noi a negare che dietro i conflitti armati africani vi sia spesso l’azione istigatrice e finanziatrice delle multinazionali che sfruttano i giacimenti di materie prime, i mercanti d’armi, i protettorati” che qualche Grande Potenza (peraltro sempre meno europea) cerca d’imporre. Ma i motivi personali per cui centinaia di migliaia di africani combattono accanitamente e ferocemente tra di loro, sono quelli che abbiamo suesposto.
Gli assetti politici
Un altro elemento non sempre messo in luce dalla grande stampa d’informazione attiene agli assetti politici del continente africano. Tranne poche eccezioni, che si contano sulla dita di una, od al massimo due, mano, tutti i regimi politici dei Paesi africani non hanno nulla che possa assomigliare, anche alla lontana, ai sistemi democratici e parlamentari europei ed occidentali, basati sul pluralismo dei partiti, su periodiche e libere elezioni, sull’alternanza al governo, sulla separazione dei poteri, sull’indipendenza della magistratura e dell’amministrazione.
In molti casi, vi sono delle vere e proprie dittature, esercitate da personaggi giunti al potere mediante rivolte, guerriglie e colpi di stato, che esercitano un rigido controllo sul loro paese nel timore che siano scacciati da altri personaggi simili a loro, magari del loro stesso ambiente.
In altri casi, vi sono delle elezioni, ma con partiti unici – o quasi – che detengono il potere politico e che lasciano una parvenza di rappresentanza parlamentare all’opposizione. Spesso, questi partiti unici si sono formati all’epoca dell’indipendenza dello Stato e da allora sono rimasti al potere (ma sono passati a volte anche trent’anni).
L’altra caratteristica fondamentale dei Paesi africani è che i loro partiti non si differenziano per ispirazioni ideologiche o programmi economici: l’aggregazione avviene generalmente su basi razziali, in modo che ogni etnia è politicamente rappresentata da un partito. E’ evidente che, laddove un’etnia è numericamente maggioritaria, il suo partito sarà sempre al potere, senza alcuna possibilità di cambiamento.
Con questo sistema, ne consegue che la formazione e la selezione delle classi dirigenti avviene o all’interno dell’etnia di appartenenza secondo i meccanismi tribali o tramite le Forze Armate, unico strumento efficiente dello Stato. Ma, in entrambi i casi, predomina un concetto di classe, in quanto si accede alle cariche politiche o militari solo se si appartiene per nascita alle aristocrazie tradizionali della tribù od al ceto, anch’esso tradizionalmente, dedito alle armi. Da questo punto di vista, quindi, si può affermare che l’Africa è rimasta all’età feudale.
La situazione economica e sociale
I dati economici sono anch’essi drammatici. Cominciamo dal dato che viene più volte richiamato, quello del debito pubblico. Esso ammonta a 750.000 miliardi di lire, circa un terzo rispetto a quello dell’Italia: ma l’Italia ha solo 57 milioni di abitanti, l’Africa ne ha 700 milioni. Quindi, il peso del debito pubblico dovrebbe essere sopportabile: se non lo è, dipende dal fatto che il prodotto interno lordo del continente, nonostante le enormi ricchezze naturali possedute, è solo leggermente superiore a quello italiano (il PIL italiano corrisponde al 3,1% del mondo, mentre quello dell’intera Africa al 3,3%).
Ciò ovviamente si riflette sulle condizioni economiche e sociali della popolazione, con mancanza di attrezzature e d’infrastrutture, mancanza di produzioni stabili (se non quelle di mera estrazione) e di lavoro, mancanza del terziario: residua un’attività di mera sussistenza alimentare e dei modesti scambi interregionali. L’alfabetizzazione non supera il 15% della popolazione.
Conseguenza di ciò sono i dati impressionanti sulle aspettative di vita che in media è di 55 anni; la quale però viene ulteriormente abbassata dal flagello dell’AIDS, che uccide ogni anno due milioni di persone in tutta l’Africa subsahariana ed ha creato finora dieci milioni di orfani minorenni.
Un Continente alla deriva
L’Africa è quindi un continente alla deriva. Vi è stato un funzionario della Banca Mondiale che, qualche tempo fa, disse “La verità è che se un improvviso cataclisma facesse sprofondare l’Africa centrale, da quella subsahariana al confine con il Sudafrica, l’economia mondiale non ne subirebbe alcun danno e neanche se ne accorgerebbe”. Luigi Pintor, sul “Manifesto” di qualche settimana fa, ha scritto: “Noi abbiamo cancellato l’Africa. Un continente grande tre volte l’Europa trasformata in una discarica umana.
Non riesco a vedere le magnifiche sorti, e progressive, di questo mondo”. Stefano Silvestri, dirigente dell’Istituto italiano di Affari Internazionali e già sottosegretario al Ministero degli esteri, ha scritto sul “Sole-24 Ore”: “mezzo secolo di autogoverno sembra aver fatto più danni di un secolo di dominazione coloniale “enormi sono le responsabilità degli stessi africani” gli anni passano e le lacrime dell’uomo bianco, su cui hanno speculato generazioni di politici anticolonialisti, si stanno ormai asciugando “è forte la tentazione di abbandonare questo continente alla deriva”.
La riprova di queste analisi sta nel fatto che le grandi organizzazioni internazionali, dall’ONU al FMI, non vi s’impegnano affatto, ma anzi lesinano i loro interventi “umanitari” e sono pronti a stringere il cappio dell’usura sui prestiti “generosamente” concessi. Le grandi multinazionali, in maggioranza nordamericane, si limitano a sfruttare i ricchi giacimenti di materie prime, pagano le necessarie tangenti ai politici locali, si garantiscono la sicurezza con le bande di mercenari africani, trattano da schiavi i loro dipendenti africani e reinvestono gli utili a Wall Street.
Insomma, l’Africa è un continente alla deriva e solo, ignorato dal resto del mondo. Anche l’attenzione della cultura europea e mondiale verso la “negritude” propugnata dal senegalese Senghor, è miseramente tramontata dopo la sua morte.
Il ruolo dell’Europa
Da un solo versante l’Africa può aspettarsi salvezza: dall’Europa, dai suoi antichi dominatori “colonialisti” (un termine romano, che esprimeva l’estensione della civiltà latina, svilito a sinonimo di oppressione). Anche se sono stati tagliate le sue proiezioni esterne di uomini e di cose, l’Europa ha ancora in Africa delle radici nascoste. Radici che si chiamano città costruite, strade tracciate, ospedali installati, malattie debellate, deserti riportati alla produttività, scuole ed istituzioni civili avviate.
Ciò è dimostrato da due fatti. Il primo, che le lingue nazionali dei paesi africani sono il francese, l’inglese, l’italiano, il tedesco ed il portoghese, non sostituite da lingue autoctone, dimostrando a sufficienza che senza l’Europa l’Africa non può andare avanti. Il secondo, consiste nei confini degli Stati che tante guerre stanno provocando: si sono lasciati i vecchi confini tracciati dagli europei, senza ridisegnarne dei nuovi basati sulla “nazionalità” delle etnie locali.
Occorre allora che entrambe le parti cancellino dalla loro memoria e dalle loro psicologie, la “decolonizzazione”, sia come rivincita che come complesso di colpa, per riallacciare una feconda collaborazione. Che non può che basarsi sui seguenti punti:
– eliminazione delle caste corrotte al potere nei paesi africani più esposti, con poteri d’intervento militare per ristabilire l’ordine;
– utilizzo razionale delle risorse naturali con reinvestimento in loco dei profitti, previa rinegoziazione delle concessioni;
– avvio rapido di un programma di edificazione delle strutture sociali (scuole, ospedali, strade e trasporti, telecomunicazioni, fabbriche);
– adozione dell’Euro quale moneta di scambio internazionale; importazione di manodopera europea per istruire ed avviare la ristrutturazione civile.
L’Europa ha milioni di disoccupati, anche d’elevata professionalità e specializzazione. L’Africa si priva, con l’emigrazione più o meno clandestina, dei suoi elementi migliori, più istruiti o più capaci. Queste energie disperse o non utilizzate vanno messe insieme, nel continente africano, per favorirne lo sviluppo e per assicurare tranquillità sociale ed economica all’Europa.
Certo, questo è un programma ambiziosissimo, quasi velleitario: ma siamo certi che, se l’Europa non avvia rapidamente una riflessione su queste questioni e non si prende subito in carica l’Africa almeno la parte più sottosviluppata, sarà l’Africa a trascinarla lentamente nella crisi e, forse, nel sottosviluppo