di Rodolfo Casadei
Mentre Idi Amin giace in un ospedale di Gedda, Arabia Saudita, in condizioni critiche, la stampa di tutto il mondo coglie l’opportunità dell’agonia dell’ex presidente ugandese per vellicare gli istinti morbosi dei lettori col racconto degli interminabili orrori che hanno costellato gli otto anni del suo potere incontrollato fra il 1971 ed il 1979.
Poco risalto viene invece riservato ad una palese evidenza: Idi Amin, responsabile di torture, crudeltà da incubo e dell’uccisione di 300 mila persone, quasi tutte ugandesi, è stato ed è tuttora un protetto degli arabi musulmani, che in lui videro e continuano a vedere un protagonista sfortunato del progetto di islamizzazione-arabizzazione dell’Africa orientale.
Amin cominciò a vantare la sua fede musulmana non appena salito al potere con un colpo di Stato. Fu il primo presidente dell’Africa nera a rompere i rapporti diplomatici con Israele (presso cui aveva ricevuto parte del suo addestramento militare) e ad ospitare l’Olp, che in Uganda ebbe a disposizione fattorie che trasformò in campi di addestramento negli anni dei dirottamenti aerei. Non fu un caso se il volo Air France dirottato da terroristi palestinesi e della Raf tedesca nel 1976 si posò a Entebbe col suo carico di ostaggi, poi liberati dagli israeliani col famoso raid. Arafat fu addirittura testimone di nozze al quinto matrimonio di Amin.
Le relazioni più intense furono quelle intrattenute con la Libia di Gheddafi, che fornì armi e assistenza militare per tutta la durata del regime di Amin. Inviò persino 3mila uomini a sostegno delle truppe lealiste quando l’esercito tanzaniano nel 1979 marciò su Kampala insieme alle forze degli allora ribelli Obote e Museveni, senza poter impedire la caduta del tiranno.
La prima mèta dell’esilio di Amin fu naturalmente Tripoli, anche se non è certo quanto tempo vi si sia trattenuto. Dal 1989 risedette stabilmente presso una villa sul mare alla periferia di Gedda, messa a disposizione dal governo saudita insieme ad una pensione di 1.400 dollari al mese. Nessun arabo-musulmano prova imbarazzo per l’ospitalità offerta in tutti questi anni all’uomo assurto a simbolo della crudeltà e della follia degli autocrati africani post-coloniali: la sua cattiva fama è solo frutto di un complotto dei cristiani e dei sionisti.