Articolo pubblicato su Tempi n.27 del 3 luglio 2003
I governativi non fermano i guerriglieri nel nord del paese, sostenuti dal Sudan islamico, che attaccano i cattolici. Serve un intervento internazionale
di Casadei Rodolfo
Dopo tante razzie, i guerriglieri dispongono di un sistema di collegamento radio fatto delle ricetrasmittenti sottratte alle missioni. E quella era la voce, inconfondibile, di quello psicopatico di , il leader carismatico del Lord Resistence Army (Lra).
Un fanatico che negli ultimi quindici anni ha seminato morte e distruzione in un terzo del paese africano con l’allucinato pretesto di cacciare l’ateo Museveni da Kampala e instaurare una teocrazia fondata sui Dieci Comandamenti.
Ragazze prese con la forza e date in mogli ai suoi comandanti; bambini rapiti, torturati o uccisi se tentavano di fuggire, addestrati alla guerra con sevizie fisiche e psicologiche, trasformati infine in piccole belve senza freni morali; villaggi derubati e dati alle fiamme; civili mutilati del naso e delle orecchie per punizione o uccisi in agguati ai mezzi di trasporto lungo le strade: questo è stato per 15 anni il pio regno dell’Esercito della Resistenza del Signore (traduzione italiana del nome) che gli acholi e i lango, le due etnie che costituiscono la popolazione dei distretti di Gulu, Kitgum e Pader, hanno conosciuto.
Perciò i religiosi e le religiose che il 12 giugno hanno ascoltato l’invettiva di Joseph Kony sapevano quanto credibile fosse la minaccia. In passato due missionari comboniani italiani sono già caduti vittime in agguati dell’Lra: padre Egidio Biscaro, ucciso sulla strada fra Kitgum e Pajule nel gennaio 1990; padre Raffaele Di Bari, assassinato sulla strada fra Pajule e Acholi Bur nell’ottobre del 2000.
L’esercito del male bersaglia missioni e missionari
Il bilancio della recrudescenza di attacchi della guerriglia negli ultimi due mesi non si presta ad equivoci: ci sono attacchi ai campi profughi e alle periferie delle principali località (Gulu, Soroti, Lira, Kitgum), ma ci sono soprattutto 14 missioni cattoliche assaltate e completamente razziate, di queste una rasa al suolo e 4 evacuate dopo l’assalto; 31 seminaristi del seminario maggiore di Gulu rapiti e 11 soltanto liberati, 29 ragazze di un liceo femminile cattolico nei pressi di Soroti rapite e 13 soltanto libere grazie ad una fuga, mentre una mancata fuggitiva ha avuto le dita delle mani e dei piedi mozzate, 15 bambini (fra i 7 e i 15 anni) dell’orfanotrofio di Adjumane gestito dalle suore del Sacro Cuore rapiti e 7 che sono riusciti a fuggire dopo il rapimento; un sacerdote ferito, il polacco Boguslaw Zero, e due duramente percossi, l’olandese Meindhert Vanderhulst e l’ugandese Francis Ejuru; due missionari miracolosamente incolumi dopo il saccheggio della loro missione, l’italiano Ponziano Velluto ed il costaricense padre Marvin.
Perché Kony e i suoi sgherri ce l’hanno tanto con missionari e clero indigeno cattolici? «Le ragioni sono due, – dice padre Giulio Albanese, da sei anni direttore dell’agenzia di stampa Misna di Roma e per cinque anni missionario comboniano nell’Uganda settentrionale, tornato da pochi giorni dall’inferno ugandese – l’Lra è un’entità diabolica e le missioni sono fortini di Dio. Chiunque abbia avuto direttamente a che fare coi guerriglieri, come è successo a me, è rimasto sconvolto dalla precisa sensazione di una presenza malvagia in mezzo a quegli uomini. Kony è dotato di un carisma sulfureo, basta pronunciare il suo nome al cospetto dei suoi seguaci, e anche quelli più feroci fra loro mostrano turbamento e paura.
D’altra parte le missioni e le chiese sono fra i luoghi dove la gente, soprattutto i bambini, cercano riparo per non essere rapiti durante le scorrerie. Sono anche centri di aiuti umanitari, di cure sanitarie e depositi di medicinali. Cattolici e anglicani si sono messi insieme e hanno creato l’Acholi Religious Leaders’ Peace Initiative (Arlpi) per mediare la pace fra ribelli e governo, ma non è servito: è mancata la volontà di dialogo da entrambe le parti».
Le menzogne della BBC contro la Chiesa cattolica
Nel caso della Chiesa cattolica la beffa si aggiunge al danno: il governo la guarda con sospetto per la sua vicinanza alla popolazione da cui provengono i guerriglieri e la accusa di ingenuità per i suoi tentativi a favore di una soluzione pacifica, gruppi politici locali e persino la Bbc cercano di trascinarla sul banco degli accusati presentando Joseph Kony come un “fondamentalista cattolico” sfuggito al controllo dei missionari che l’hanno formato.
I pretesti per farlo non mancano: il riferimento a Dio padre e allo Spirito Santo da parte di Kony, imparentato con quella Alice Lakwena che nel 1985-86 diede vita ad un effimero Holy Spirit Army (Hsa, Esercito dello Spirito Santo) che fece parecchio rumore e diede filo da torcere ai governativi prima di essere sgominato; l’uso di rosari e la recita dell’Ave Maria in acholi da parte dei guerriglieri; la notizia martellata per anni che Kony sarebbe stato un catechista cattolico.
«Dalle ricerche che abbiamo fatto presso la parrocchia di origine di Kony a Opit non risulta nemmeno battezzato», puntualizza padre Albanese. Mentre è appurato che l’Lra riceve sostanziosi aiuti in armi, denaro e uniformi da parte del Sudan fondamentalista islamico. I santuari inespugnabili dell’Lra si trovano in Sudan subito a sud della città di Juba.
Nel corso del 2001, in seguito ad un accordo fra Kampala e Khartum all’interno dei più generali negoziati per la fine della guerra fra neri e filo-arabi nel sud Sudan, il governo sudanese si era impegnato ad abbandonare l’Lra al suo destino e aveva permesso a Museveni di condurre, nel corso del 2002, l’operazione militare Iron Fist (“pugno di acciaio”) sul suo territorio per fare piazza pulita dei ribelli di Kony.
Ma il governo sudanese aveva ripreso ad aiutare l’Lra pochi mesi dopo per ritorsione contro gli alleati sudanesi di Museveni, l’Spla (Esercito popolare per la liberazione del Sudan) di John Garang che mentre negoziava in Kenya aveva attaccato e conquistato una cittadina del sud Sudan controllata dai governativi.
Fino a qualche anno fa l’Lra riceveva fondi finanziari su di un conto intestato ad un ufficiale sudanese in una banca di Juba versati direttamente da Hassan el Turabi, l’ideologo musulmano estremista che aveva favorito l’ospitalità di Osama bin Laden in Sudan nella prima metà degli anni Novanta. Oggi i rifornimenti avvengono nella località di Nisitu, pochi chilometri fuori da Juba.
Sarà per questo che i “fondamentalisti cristiani” dell’Lra pregano prosternati come musulmani e considerano sacri due giorni, la domenica ed il venerdì. La devastazione che tutto questo ha prodotto nell’Uganda settentrionale si può leggere anche attraverso i numeri. In quindici anni di guerriglia, i morti sono stati 20mila.
Altrettanti i minorenni rapiti, 8mila dei quali sono morti di stenti, di torture, puniti per tentate fughe o colpiti in combattimento; altrettanti sono riusciti a fuggire e sono tornati alle loro case; 4.500 fanno tuttora parte delle forze di Kony, pari al 90% di tutti gli effettivi (che non sono più di 5mila). Nei tre distretti dove la guerriglia si è concentrata fino a due mesi fa 800mila persone, su 1 milione e 400mila abitanti, hanno dovuto abbandonare i propri insediamenti e rifugiarsi in squallidi campi profughi controllati dall’esercito o nelle città.
Ogni notte 14mila minorenni dormono presso chiese, parcheggi cittadini, centri di raccolta sorvegliati o semplicemente sui marciapiedi per evitare il rapimento. Nell’ultimo anno solamente i minorenni rapiti sono stati 5mila.
Esercito impotente, appello internazionale
Cosa fa il potente esercito ugandese di fronte a tutto questo macello provocato da bande di tagliagole e cattivi ragazzi? Considerato il suo pedigree (proviene dalla prima guerriglia africana che ha rovesciato un governo in carica, ha partecipato alla guerra di tutti contro tutti in Congo), dovrebbe farne un solo boccone. E invece no, da un quindicennio i roboanti proclami di Museveni («stiamo per spazzarli via», ecc.) si scontrano con la realtà del terreno, dove raramente le truppe contrastano in maniera efficace le incursioni dell’Lra, puntualmente concentrate su obiettivi civili anzichè militari.
Stanchi delle promesse non mantenute del leader, i cristiani si sono organizzati per attirare l’attenzione internazionale sulle disgrazie del paese. Dal 22 giugno il vescovo cattolico di Gulu Joseph Baptist Odama ed altri esponenti dell’Arlpi trascorrono le loro notti all’aperto insieme ai bambini dei villaggi che vengono a dormire in città per sfuggire ai rapimenti.
Il 23 giugno gli stessi leader religiosi hanno indirizzato un appello a Kofi Annan ed al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per un intervento internazionale a protezione dei civili nel nord Uganda. Ha scritto in un testo dal titolo “La grazia di una presenza” il movimento di Comunione e Liberazione in Uganda: «Mons. Odama ha ragioni adeguate per dire “no alla guerra”, anche se essa è condotta da persone che credono di avere il diritto di farla.
L’arcivescovo Odama è convinto, come il Papa, che la guerra può portare solo altra guerra… Nonostante la complessità della crisi nell’Uganda settentrionale, in questo momento è necessario non solo suscitare una maggiore attenzione umanitaria della comunità internazionale, ma anche identificare e perseguire modi e vie per un più attivo coinvolgimento internazionale e diplomatico nella riconciliazione e pacificazione. Per questo motivo, stiamo dalla parte di mons. Odama e dei suoi compagni, e seguiamo il giudizio della sua testimonianza».