Storia e prospettive dell’incontro politico e culturale tra i cattolici e i progressisti in un libro del diessino Vannino Chiti
di Piero Mainardi
Ma una interpretazione della vicenda con queste categorie farebbe gridare allo scandalo uno degli attuali promotori dell’incontro tra cattolici e sinistra come Vannino Chiti, uomo di estrazione cattolica, già segretario regionale toscano del PCI, per due mandati presidente della regione Toscana, sottosegretario nel governo Amato, candidato ulivista alle prossime elezioni.
Nel suo libro Laici e cattolici, Chiti ha ricostruito le fasi storiche e i mutamenti paralleli registrati sia nel mondo comunista sia nel mondo cattolico che hanno potuto determinare questo incontro.
Un incontro che Chiti giudica inevitabile e che è potuto avvenire quando entrambi i soggetti sono riusciti a situare la propria presenza politica e sociale sul terreno della laicità. Plinio Correa de Oliveira segnalava che alcune parole talismano avrebbero condotto i cattolici a quello che definì un “trasbordo ideologico inavvertito” a sinistra: il termine laicità è senza dubbio una di queste. Per laicità Chiti intende una presenza politica, sociale e culturale sganciata da un riferimento ideologico sia per la sinistra sia per i cattolici.
Per i comunisti il marxismo non doveva essere considerato una ideologia ma uno strumento di analisi e di scienza sociale ed il partito il custode dell’ortodossia ideologica ma un soggetto capace di elaborare un progetto e coordinare tutte le spinte “di progresso” presenti nella società; mentre per i cattolici non si trattava di non far derivare dal messaggio religioso «indicazioni dei mezzi o delle forme di costruzione di una società sempre più a misura d’uomo” né «né strumenti di analisi del “male” nella sua concretezza storica».
Nel partito comunista tale processo sarebbe stato avviato da Togliatti, il quale riconobbe la possibilità dell’aspirazione ad una società socialista anche in uomini di coscienza religiosa, e soprattutto con l’elaborazione del progetto di compromesso storico e culturale berlingueriano e nella costruzione di un partito «laico e democratico, come tale non teista, non ateista, non antiteista» che non avrebbe più professato «esplicitamente l’ideologia marxista, come filosofia materialistica ateista».
Al culmine di questo processo le varie trasformazioni da PCI a PDS a DS, fino alla nascita della grande coalizione di tutte le forze progressiste, anche cattoliche, dell’Ulivo. Nella Chiesa questa evoluzione sarebbe scaturita con la scelta della dimensione pastorale operata da Roncalli e dal Concilio, e per merito di quegli esponenti (La Pira, Pistelli, La Valle, Gozzini) e di quei gruppi (specie le comunità cristiane di base) che “coraggiosamente” avrebbero trascinato il mondo cattolico sul terreno della laicità.
Raggiunto questo traguardo il mondo comunista e quello cattolico cessano di essere tali perché cadono gli steccati e la collaborazione avviene spontaneamente nel quadro di un insieme di realtà che si confrontano su programmi e progetti, su “cose concrete”, tra soggetti che condividono valori e aspirazioni. E questa per Chiti è la realtà e la prospettiva dell’Ulivo.
Nella ricostruzione di Chiti tutto fila liscio: le anime laiche, socialiste e cattoliche della cultura italiana, accomunate da un rinnovato umanesimo, finalmente si incontrano per costruire una società giusta e democratica, solidale, non violenta e via con il consueto bla, bla, bla progressista.
Il Chiti-pensiero (che incarna un modo di pensare diffuso) svolazza nelle praterie dei buoni sentimenti e delle buone intenzioni, fatto apposta per ingenui e per cattolici che pensano la vera presenza cristiana possa essere solo quella del “piccolo gregge”, ma in realtà è di una perfidia senza pari.
Intanto perché si tratta di una mistificazione totale: buone intenzioni e buoni sentimenti, così come il senso di giustizia, di solidarietà umana, il desiderio di progresso e di un mondo migliore non sono proprietà della sinistra. Non è possibile pensare che l’enunciazione di queste intenzioni da parte di una forza politica siano sufficienti per attirare il consenso e la collaborazione dei cattolici.
Ciò diventa possibile solo se si riesce a far pensare che questi sentimenti siano assenti nelle forze politiche che le si contrappongono: in tal modo, però, si avrà un bel dire che la controparte politica non è più un nemico ma un avversario perché in realtà la si demonizza.
Ma quel che è ancora più importante è che si mistifica la realtà e il significato dell’essere cattolici. Si mistifica la realtà perché si ha anche il coraggio di dire che con la secolarizzazione la pratica religiosa ha perso in quantità ma migliorato in qualità; che con la scelta della laicità (?!) la “Chiesa postconciliare” ha potuto finalmente costituire un punto di riferimento per tutti (che rispetto hanno Chiti e quelli come lui per i 1962 anni precedenti di cristianesimo?); perché si riduce la figura del regnante pontefice a un demolitore di tutte le realtà storiche cui il cattolicesimo ha dato vita. Ciò che per i cattolicesimo ha rappresentato una perdita viene incredibilmente spacciato per guadagno.
Certo se si afferma che dalla fede non si traggono «strumenti di analisi del “male” nella sua concretezza storica», tutta la dottrina sociale della Chiesa (significativamente assente nel libro di Chiti) viene meno. Questa si è venuta elaborando nel magistero pontificio in opposizione al male politico, sociale, religioso e morale ben identificato, descritto e denunciato che faceva crollare la società cristiana: in mancanza di questo punto di riferimento ciò che prima era considerato male può adesso divenire bene.
I cattolici per Chiti sono decisivi per “portare un supplemento d’anima” alla società: ma questo dimostra che gli uomini e la società costruiti quantomeno da una mentalità di sinistra, “laica”, sono uomini e società senz’anima. E comunque il contributo dei cattolici non può che limitarsi ad una certa etica civile, sociale; guai a parlare di diritto naturale, di morale individuale e sociale, di famiglia fondata sul matrimonio (per Chiti è “una comunità di affetti”), di principi e valori immutabili: per Chiti anche il problema della bioetica andrebbe risolto democraticamente di volta in volta, ai voti. Con tali “anacronismi” la Chiesa farebbe violenza alle coscienze e ripiomberebbe nell’incomunicabilità.
Se davanti al compito della nuova evangelizzazione occorre partire senza equivoci e senza cedimenti l’incontro con la cultura e con le forze politiche progressiste appare veramente pericoloso ed ambiguo.