L’idea di rappresentanza nel diritto

Nel “[…] clima di “crisi” che attualmente investe […] le istituzioni pubbliche […] sulle quali la convivenza umana si fonda” (Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti alla prima sessione della Conferenza permanente del Ministero dell’Interno della Repubblica Italiana su La cultura della legalità, dell’8-7-1991, n. 1, in L’Osservatore Romano, 8/9-7-1991), il primo capitolo del saggio Da representação política, Saraiva, San Paolo 1972, pp. 1-13. La traduzione è redazionale.

diritto

Cristianità n. 204 (1992)

[“Sulla rappresentanza politica” I]

José Pedro Galvão de Sousa

1 Significati del vocabolo

L’idea di rappresentanza si applica all’attività umana nei settori i più vari e manifesta il rapporto dell’uomo con gli oggetti che lo circondano, e specialmente con le persone con le quali convive e trascorre la sua esistenza*.

La conoscenza del mondo esterno, con il quale si comunica attraverso i sensi, dà all’intelligenza una rappresentazione delle cose in esso esistenti, permettendo a essa di raggiungere, mediante l’astrazione, il piano delle idee universali. Inoltre l’uomo, con la sua immaginazione e servendosi di conoscenze precedenti, può creare mentalmente esseri fantastici, come un centauro o una sirena. Sono altrettante rappresentazioni del suo spirito. Anche i simboli sono rappresentazioni, per esempio la bandiera, simbolo della patria.

La conoscenza scientifica è una rappresentazione della realtà, che ha presenti la struttura delle cose oppure i fenomeni che accadono nel mondo della natura. La storia, narrazione autentica dei fatti, rappresenta nello spirito avvenimenti di altre epoche, la cui ricostruzione mentale sia possibile attraverso documenti sufficientemente probanti. Infine le arti danno adito ai più diversi tipi di rappresentazione, sia che si tratti di una pittura o di una scultura, che di un’opera teatrale oppure di una pellicola cinematografica.

Velásquez ha rappresentato in una tela famosa la resa di Breda, e Michelangelo ha trasmesso alla posterità la geniale rappresentazione di Mosè tagliato nel marmo, così come l’artista lo ha immaginato con in mano le Tavole della Legge ricevute sul Sinai.

Di un attore di un dramma o di una commedia diciamo che ha recitato bene se ha di fatto incarnato in modo positivo e fedele il personaggio la cui parte doveva svolgere. All’attore tocca presentare concretamente al pubblico questa figura ideale. Quindi la rappresentazione è una presentazione, rende presente a qualcuno un tertius che, nell’esempio indicato, se non si trova lì realmente, trova nell’artista chi ne possa riprodurre l’immagine viva. Può trattarsi di un essere di fantasia, come Amleto, oppure di una personalità che ha avuto esistenza storica reale, come Giulio Cesare.

André Lalande, nel suo dizionario filosofico, ci dà, fra altri, il seguente significato di “rappresentazione”: “Ciò che è presente alla mente; ciò che ci “si rappresenta”; ciò che costituisce il contenuto concreto di un atto di pensiero”. Aristotele, gli stoici, gli scolastici, René Descartes, Baruch Spinoza, Gottfried Wilhelm Leibniz, John Locke, David Hume, Immanuel Kant e Arthur Schopenhauer usano la stessa espressione in sensi diversi, perciò José Ferrater Mora afferma che la molteplicità di applicazioni del vocabolo in questione lo rende di uso difficile per i filosofi e per gli psicologi (1).

Facendo un tentativo di sistematizzazione, lo stesso José Ferrater Mora fissa quattro significati fondamentali di “rappresentazione”, cioè 1. l’apprensione di un oggetto effettivamente presente; 2. la riproduzione nella coscienza di percezioni passate (“rappresentazioni della memoria” o ricordi); 3. l’anticipazione di avvenimenti futuri (immaginazione); 4. la composizione nella coscienza di diverse percezioni non attuali (immaginazione e, talora, allucinazione).

L’uso di questa parola nel linguaggio giuridico è frequente, pur essendo anche in esso diverso il suo significato. Si abbiano presenti il procuratore che tratta negozi di altri; l’avvocato che rappresenta una delle parti in giudizio; il procuratore come organo del pubblico ministero; oppure il parlamentare eletto a rappresentare il popolo. In queste diverse ipotesi vediamo che vi è rappresentanza quando una persona agisce in nome di un’altra oppure sostituisce un’altra.

La sostituzione diventa evidente in materia di successioni, quando la legge fa espresso riferimento al “diritto di rappresentazione”. A norma del codice civile brasiliano, all’articolo 1.620, questo accade “quando la legge chiama certi parenti del defunto a succedere in tutti i diritti in cui lui succederebbe, se vivesse”. Secondo gli articoli 1.621 e 1.622 il diritto di rappresentazione si dà in linea retta discendente e, in certi casi, in linea laterale, mai in linea ascendente.

Nel Grande Diccionario Portuguez ou Thesouro da Lingua Portugueza, di fra’ Domingo Vieira, troviamo due accezioni del vocabolo applicato al diritto. La prima corrisponde precisamente al diritto delle successioni: “Termine forense. Il diritto di rappresentare una persona, e di usare del diritto che gli competerebbe”. La seconda deriva dal diritto pubblico: “Rappresentanza nazionale: corpo di deputati di una nazione riuniti in parlamenti”.

Dal canto suo Morais Silva, per il verbo “rappresentare” equivalente a “sostituire, stare al posto di qualcuno”, fornisce il seguente esempio, sempre relativo al diritto successorio: “Il figlio rappresenta il padre per succedere nell’eredità del nonno. Fa le veci, e usa del diritto del padre” (2).

2. La rappresentanza nel diritto pubblico e in quello privato

Quindi si utilizza lo stesso vocabolo nel diritto pubblico e nel diritto privato. E in quest’ultimo non soltanto quanto alla successione, ma anche nel caso del mandato oppure in materia di incapacità.

Senza risalire all’istituto romano del mandatum e senza fermarci alla tecnica di codici più recenti – come il codice civile portoghese, che distingue il mandato con rappresentanza dal mandato senza rappresentanza -, ci resta solamente il linguaggio chiaro e preciso del codice brasiliano del 1916, che dà le caratteristiche del mandato e lo distingue immediatamente dopo dalla procura.

È quanto si trova disposto nell’articolo 1.288: “Si dà mandato quando qualcuno riceve da un altro poteri per fare atti in suo nome o amministrare interessi. La procura è lo strumento del mandato”. Non si trova la stessa precisione nel codice civile francese, il cui articolo 1.984 fa riferimento al “mandato o procura”. Il mandatario può essere munito di una procura con poteri ampi o ristretti, in conformità con quanto dispone la legge.

L’applicazione dell’idea di rappresentanza è di grande portata di fronte all’incapacità giuridica. Così, il minore è rappresentato dal genitore; il pupillo dal tutore; l’assente – scomparso dal suo domicilio senza aver lasciato un procuratore – dal rispettivo curatore. Questi sono tutti casi di rappresentanza legale, poiché i poteri del rappresentante sono conferiti per legge e non per un accordo fra le parti, come succede nella rappresentanza convenzionale.

Nel diritto processuale il concetto di rappresentanza si applica anche in materia di prove. Francesco Carnelutti mostra che le fonti della prova possono costituire o non costituire la rappresentazione del fatto da provare. Così la fotografia oppure la narrazione fatta da chi abbia assistito al fatto rappresentano, attraverso segni o parole, il fatto in questione (3).

Nel campo del diritto amministrativo la ricerca della natura giuridica dei rapporti fra il funzionario e lo Stato ha fatto nascere diverse teorie: quella del mandato, quella della rappresentanza e quella organica, quest’ultima formulata da Otto von Gierke in Germania e universalmente accettata (4).

Passando al diritto internazionale pubblico vi troviamo l’esempio della rappresentanza diplomatica. Ambasciatori e ministri plenipotenziari, legati e nunzi svolgono una funzione rappresentativa, così come le delegazioni che partecipano a una conferenza internazionale.

Finalmente abbiamo il caso della rappresentanza politica, che comporta diversi aspetti, fra i quali la rappresentanza parlamentare. Relativamente a questa ci troviamo di fronte a due concezioni opposte.

Nella tradizione che ha prevalso prima della Rivoluzione francese, con il mandato imperativo, la rappresentanza era assimilata al mandato di diritto privato e i rappresentanti erano propriamente procuratori della categoria sociale dalla quale erano stati scelti e si dovevano limitare alle istruzioni ricevute. Modernamente sorge il cosiddetto mandato rappresentativo, e la rappresentanza passa a differenziarsi chiaramente dal mandato come si configura nel diritto civile. Si pensa che i deputati rappresentino tutta la nazione e non solo gli elettori che li hanno designati, e che possano deliberare liberamente, senza le limitazioni inerenti al mandato imperativo.

In questo modo si è venuta determinando una distinzione molto accentuata fra la rappresentanza nel diritto privato e nel diritto pubblico. Carl Schmitt osserva che uno dei pochi autori di diritto pubblico nel secolo XIX coscienti della peculiarità di “pubblico” nel concetto di rappresentanza fu Johann Kaspar Bluntschli, che nel suo Algemeines Staatsrecht scrisse: “La rappresentanza giuspubblicistica è del tutto diversa dalla sostituzione privatistica. Perciò i princìpi che valgono per questa, non possono essere applicati all’altra”.

Nella lingua tedesca la parola Repräsentation si utilizza in diritto pubblico, e per designare la rappresentanza in diritto privato si usa Vertretung o Stellvertretung, dal verbo verstreten, che significa “rappresentare”, “sostituire”, e in questo modo si indica la rappresentanza come “agire in nome di qualcuno” – è il caso del procuratore – o “sostituire un’altra persona”, come succede nel diritto delle successioni.

Contrariamente a Johann Kaspar Bluntschli, Robert von Mohl si pone dal punto di vista privatistico nel fornire il concetto di Repräsentation o Vertretung – che non distingue -, cioè come un processo attraverso cui l’influenza che tutto il corpo di cittadini o di una parte di essi ha sull’azione politica è esercitata in suo nome da un piccolo numero di loro e come compimento del loro dovere (5).

3. Rappresentanza come strumento per esternare rivendicazioni o reclami

Potrebbero essere ricordati altri significati di “rappresentanza”. Così l’apparato di cui si deve circondare, in determinate circostanze, chi occupa certe cariche, e che comporta spese – da cui la “voce di rappresentanza” -, oppure la posizione elevata occupata da qualcuno nella società – “una persona di rappresentanza”. Nel linguaggio sportivo questa parola può indicare una squadra: la selezione di calcio di un paese è la “rappresentanza nazionale”.

Limitandoci al vocabolario giuridico, importa notare l’uso della stessa parola per esprimere anche un altro concetto: reclamo o sollecito all’autorità e soprattutto la trasmissione, generalmente per iscritto, di una rivendicazione o di un ricorso rivolto a chi di diritto affinché venga fatta giustizia oppure si dia seguito a un reclamo o a una richiesta.

È quanto si verifica nel processo penale relativamente ai delitti perseguibili se, quando la legge lo pretende, vi è “la rappresentazione dell’offeso o di chi abbia qualificazione per rappresentarlo”. In questa formula, del codice di procedura penale brasiliano del 1941 all’articolo 24, si trovano due sensi diversi di “rappresentazione”: a. querela o “rappresentazione dell’offeso”; b. rappresentazione dell’offeso da parte di “chi abbia qualificazione per rappresentarlo”.  E l’articolo seguente aggiunge: “La rappresentazione non sarà ritrattabile dopo la presentazione della denuncia”.

Nel suo Manual de Direito Administrativo, Marcello Caetano distingue fra il diritto di rappresentazione e il diritto di petizione. L’oggetto di quest’ultimo è un’istanza o richiesta; l’oggetto del primo un suggerimento. Si chiede il soddisfacimento di un interesse legittimo o il riconoscimento di un diritto; si fa istanza per promuovere una modifica o una riforma (6).

Relativamente alla rappresentanza politica si applica anche questo significato. Attraverso i suoi rappresentanti il popolo informa i pubblici poteri circa certe situazioni per le quali sollecita la dovuta attenzione, seguita dai provvedimenti adeguati. Tali erano i chaier de doléances degli Stati Generali o Provinciali dell’antica Francia come pure le remontrance dirette dal parlamento al re.

Va notato che, nei tempi in cui si praticava la giustizia privata, quando ciascuno faceva giustizia con le sue stesse mani, non vi era occasione per la rappresentanza in nessuno dei sensi indicati.

Allo stesso modo la rappresentanza non aveva ragion d’essere quando gli antichi germani si riunivano nelle radure delle foreste per deliberare in comune sui problemi della collettività o quando le popolazioni dei Cantoni svizzeri nelle loro assemblee prendevano deliberazioni dello stesso genere.

Con lo sviluppo della società e del diritto nasce e prende corpo in diverse manifestazioni l’idea rappresentativa, che diventa un elemento imprescindibile per la difesa degli interessi privati e per la garanzia delle libertà pubbliche.

4. Reminiscenze del diritto primitivo

Nel diritto primitivo di molti popoli vi è il costume di imputare gli atti dei membri di una determinata tribù a tutta la collettività tribale. E così qualunque membro della tribù può essere oggetto della vendetta esercitata contro un’altra persona della stessa tribù che abbia commesso un’offesa. Questa idea si collega a quella di totemismo e attribuisce agli individui di una determinata comunità la partecipazione a uno stesso totem, dal quale il gruppo si considera discendente, cioè un animale o una pianta, che nello stesso tempo serve da emblema e dà il nome al gruppo.

Fra gli indigeni australiani, gli alatunja o ministri del culto convocavano i membri del clan totemico per i riti consueti e obbligatori. Inoltre si mettevano in contatto con gli alatunja di altri clan, che svolgevano la stessa funzione, ed emergevano quanti avevano più iniziativa e sapevano imporsi ai propri pari. Ne derivavano misure prese in comune, che dovevano poi essere applicate ai diversi clan.

Alexandre Moret e Georges Davy indicano in tali riunioni l’abbozzo di un governo rappresentativo e federativo, esercitato dalle assemblee dei capi locali, con deliberazioni che eccedevano i limiti del clan e si estendevano a tutta la tribù. Ricordano anche le osservazioni di Horwitt sulle popolazioni autoctone dell’Australia sudorientale, nelle quali un capo era responsabile davanti al popolo e poteva anche essere condannato a morte durante l’assemblea tribale, alla presenza di altri capi. Inoltre, vi era un autentico consiglio d’amministrazione composto dagli anziani e poi aperto a tutti gli uomini adulti del gruppo.

Quindi il potere personale era limitato da un organismo di carattere rappresentativo. L’autorità veniva esercitata all’interno di un regime soggetto a limiti, dal momento che era temperato dal consiglio della comunità (7).

Il simbolismo di alcuni popoli si fondava in quanto consideravano una realtà, cioè la partecipazione al totem. I riti erano espressione di credenze collettive con un profondo significato nella vita degli uomini integrati nella comunione tribale. Dal rito al mito e dal mito alla teoria si venne svolgendo una progressiva razionalizzazione, portata all’estremo nelle utopie e nelle ideologie moderne. Ma queste utopie e queste ideologie – per esempio l’utopia messianica di Karl Marx della società comunista del futuro oppure l’ideologia razzista di Adolf Hitler -, benché fossero state prodotto di un’elaborazione razionale, finirono per far tornare al mito, in questo modo occasionando le pagine di Ernst Cassirer sul “mito dello Stato”.

I tipi ideali di potere di Max Weber – il potere carismatico, quello tradizionale e quello legale o razionale – comportano anche una triplice concezione di rappresentanza (8). Fra i primitivi la rappresentanza è carismatica. Nel Medioevo prevale la rappresentanza tradizionale. La rappresentanza legale costituisce l’ideale dei moderni Stati costituzionali. Una nuova modalità di rappresentanza carismatica irrompe nelle “monarchie di diritto divino” e negli Stati totalitari del secolo XX

5. Progressivo sviluppo dell’idea di rappresentanza a partire dal diritto romano

Il diritto romano non ha conosciuto, nei rapporti di diritto privato, l’istituto della rappresentanza come l’abbiamo oggi. Lo si può verificare di fronte al principio “Per extraneam personam nobis adquiri non posse” [Non possiamo acquistare attraverso un altro] (Gal. 2. 95).

Con il passare del tempo, per rispondere alle necessità del commercio, si vennero utilizzando procedure che la sostituissero, servendosi dell’organizzazione della famiglia e del potere del paterfamilias sui i figli e sugli schiavi – che agivano in suo nome – ed estendendo il sistema di responsabilizzare il paterfamilias per atti dei suoi subordinati anche quando i preposti fossero liberi (9).

Il mandato fu considerato a lungo come semplice servizio amicale, perciò da non remunerare (10).

Quanto al processo romano, esigeva la presenza delle parti, ma con il tempo si giunse a una “quasi rappresentanza” in giudizio, prima attraverso un cognitor, mandatario costituito in forma solenne in presenza dell’avversario, e poi attraverso un procurator, designato senza solennità e con la possibilità che fosse un semplice gestore d’affari.

In seguito il diritto canonico avrebbe contribuito molto al pieno riconoscimento dell’idea di rappresentanza con i princìpi “Potest quis per alium quod potest facere per seipsum” [Attraverso un altro si può fare quanto si può fare da sé] e “Qui facit per alium est perinde ac si faciat per seipsum” [Chi opera attraverso un altro è come se operasse direttamente] (11).

Relativamente alle istituzioni politiche i comizi offrono materia per ricercare se ebbero carattere rappresentativo oppure se furono modalità di democrazia diretta. Secondo R. Carré de Malberg, l’antichità non ha conosciuto il regime rappresentativo. In questo modo segue l’opinione di Jean-Jacques Rousseau, che attribuiva l’idea politica di rappresentanza al governo feudale. Léon Duguit, al contrario, afferma l’esistenza della rappresentanza politica fra i romani, appoggiandosi su Theodor Mommsen. Lo sostiene anche Georg Jellinek quanto alla Grecia e quanto a Roma, dicendo che è opportuna una soluzione negativa solamente se si tratta degli organi superiori della Repubblica, cioè dell’assemblea del popolo e del Senato (12).

Il principato, riunendo in sé attribuzioni delle antiche magistrature, si riveste di un inequivoco carattere di rappresentatività, come si ricava dal famoso testo di Ulpiano relativo al potere che, per la legge regia, è passato dal popolo all’imperatore (13).

Ma il fatto è che la centralizzazione imperiale non era propizia alla formazione di un sistema rappresentativo. Questo si sarebbe costituito più avanti nei secoli, dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, nelle condizioni proprie del regime feudale e della società organizzata in stati od ordini.

Note

* In portoghese il termine reprentação riunisce in sé i significati che in italiano si sono venuti specificando dall’originario “rappresentazione” rispettivamente in “rappresentanza” e in “rappresentazione”: nella traduzione ci si è serviti dei due termini a seconda del contesto e della fraseologia corrente, eventualmente privilegiando “rappresentanza”, destinato a rimanere in tutto il saggio, dedicato appunto alla “rappresentanza politica”. Delle difficoltà inerenti all’uso del termine in italiano fa stato, esempio recente e significativo, il fatto che, nella collana di scienza della politica Arcana Imperii, diretta da Gianfranco Miglio per l’editore Giuffrè di Milano, sono comparsi nel 1983 Domenico Fisichella (antologia a cura di), La rappresentanza politica, e nel 1989 Gerhard Leibholz, La rappresentazione nella democrazia, a cura di Simona Forti e con un’introduzione di Pietro Rescigno, in cui la curatrice dedica al problema una Nota al testo (pp. 39-40), di interesse generale anche se circoscritta all’opera tradotta (ndt).

(1) Cfr. André Lalande (a cura di), Dizionario critico di filosofia, rivisto dai membri e dai corrispondenti della Società francese di Filosofia e pubblicato con le loro correzioni e osservazioni, trad. it., 3a ed. condotta sull’11a ed. francese, ISEDI-Mondadori, Milano 1980, voce Rappresentazione; C, p. 726; e José Ferrater Mora, Diccionario de Filosofía, voce Representación.

(2) L’etimologia della parola (re praesentare) indica i diversi significati: presentare, mettere davanti agli occhi, riprodurre attraverso un’immagine, riprodurre in sé, essere presente, fare le veci, e così via.

(3) Cfr. Francesco Carnelutti, La prova civile., 2a ed. con introduzione e appendice di G. B. Augenti, Edizioni dell’Ateneo, Roma 1947, pp. 106-107.

(4) Si tratta del seguente problema: “Come spiegare che la volontà degli esseri umani – persone fisiche – possa tradurre la volontà dello Stato – persona giuridica?” (José Cretella Junior, Tratado de Direito Administrativo, vol. I, Forense, Rio de Janeiro-San Paolo 1966, pp. 90 e 93).

(5) Cfr. Carl Schmitt, Dottrina della costituzione, trad. it., Giuffrè, Milano 1984, p. 276. Ecco la prima parte del testo citato di Johann Kaspar Bluntschli, Algemeines Staatsrecht [Diritto pubblico generale], I, p. 488: “Die staatsrechtliche Räpresentation ist von der privatrechtlichen Stellvertretung völlig verschieden”. Per la rappresentanza politica viene usata anche l’espressione Volksvertretung.

(6) Cfr. Marcello Caetano, Manual de Direito Administrativo, 1a ed. brasiliana, Forense, Rio de Janeiro 1970, vol. II, p. 717.

(7) Cfr. Alexandre Moret e Georges Davy, Des clans aux empires. L’organisation sociale chez les primitifs et dans l’Orient ancien, La Renaissance du Livre, Parigi 1923, pp. 65-66 e 76-88.

(8) Max Weber distingue fra il rapporto sociale di solidarietà (l’azione di ciascuno è sempre imputata a tutti) e quella di rappresentanza (l’azione di un determinato individuo è imputata agli altri); indica le seguenti forme tipiche di rappresentanza: rappresentanza appropriata (il capo si appropria del diritto di rappresentanza), di ceto (per diritto proprio, cioè parlamenti feudali e antichi ceti germanici), vincolata (attraverso mandato imperativo, per esempio Stati Generali della Francia) e libera (parlamenti moderni): cfr. Economia e società, parte prima, capitolo I, § 11; capitolo III, §§ 1-2 e § 21, trad. it., 2a ed., Comunità, Milano 1968, vol. I, pp. 44-46, 207-211 e 290-294. Si noti che il primo tipo è quello delle società patriarcali e carismatiche, dal momento che in esso la rappresentanza ha nello stesso tempo un significato tradizionale (capi di clan, capi di tribù, capi di villaggio, e così via).

(9) Cfr. Max Kaser, Das römische Privatrecht [Il diritto privato romano], parte Ia, Das altrömische, das vorklassiche und klassiche Recht [Il diritto romano antico, preclassico e classico], 2a ed. rielaborata, C. H. Beck, Monaco di Baviera 1971, pp. 260-267.

(10) Si tenga presente il testo di Paolo: “Mandatum nisi gratuitum nullum est: nam originem ex officio et amicitia trahit, contrarium ergo est officio merces” [Il mandato non gratuito è nullo: infatti deriva dal dovere e dall’amicizia, e la remunerazione contrasta con il dovere] (D. 17.1.1.4).

(11) Thomas Erskine Holland, The Elements of Jurisprudence, 13a ed., Claredon Press, Oxford, p. 124. C. 68, di R. I. in Sext.: c. 72 eodem.

(12) R. Carré de Malberg, Contribution à la Théorie Générale de l’État, vol. II, Recueil Sirey, Parigi 1922, ristampa anastatica, p. 232; Léon Duguit, Traité de Droit Constitutionnel, 2a ed., vol. II, Ancienne Librairie Fontemoing, E. de Boccard, Parigi 1921, pp. 495-496; e Georg Jellinek, Allgemeine Staatslehre [Dottrina generale dello Stato], 3a ed. riveduta e completata secondo i manoscritti originali da Walter Jellinek, Julius Springer, Berlino 1922, libro III, capitolo 17, n. 2, p. 569.

(13) D. 1.4.1: “Quod principi placuit, legis habet vigorem: utpote cum lege regia, quae de imperio eius lata est, populus ei et in eum omne suum imperium et potestatem conferat” [Quanto ha avuto l’assenso del principe ha forza di legge: infatti con la legge regia, che è stata emanata relativamente al suo potere, il popolo conferisce ogni suo potere e potestà a lui e in lui]

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