Articolo pubblicato su Il Giornale
6 dicembre 1994
Dagli «Scritti di sociologia e teoria politica» (Il Settimo sigillo) a cura di Brunello De Cusatis, pubblichiamo un brano da «L’opinione pubblica», saggio apparso in due puntate nel 1919 sulla rivista «Acçao» di Lisbona.
di Fernando Pessoa
Il patriottismo – lo abbiamo visto e dimostrato – è la base dell’istinto sociale, è, propriamente, l’unico e vero istinto sociale; non è altro, del resto, che un egoismo collettivo o, meglio, la forma collettiva dell’egoismo, base di tutta la vita psichica. Abbiamo anche dimostrato come, al contrario dell’intelligenza, – che cerca di comprendere e, poiché cerca di farlo, non può odiare ciò dalla cui comprensione viene attratta -, l’istinto odi tutto quanto non sia esso, come l’istinto sia, pertanto, radicalmente antagonistico.
Dalla fusione di queste due constatazioni si vede come il sentimento patriottico debba per forza essere antagonistico; come, pertanto, l’attitudine normale di ogni nazione in relazione alle altre sia l’odio; come la guerra sia, di conseguenza, lo stato naturale dell’umanità, non essendo, evidentemente, la pace nient’altro che uno stato di preparazione alla guerra (…).
Se l’amore è la fonte di tutta la vita fisica, l’odio è la fonte di tutta la vita psichica. E’ dall’odio tra uomo e uomo che la civiltà nasce, è dalla concorrenza tra uomo e uomo che il progresso sorge, è dal conflitto tra nazione e nazione che l’umanità riceve il suo impulso.
Solo la pace è infeconda, solo la concordia è svantaggiosa, solo l’umanitarismo è antiumanitario. E così muore, in presenza dell’analisi sociologica, l’ultimo dei falsi principi della democrazia moderna.
E dato che abbiamo visto che la base dell’istintivismo sociale è il sentimento patriottico; dato che abbiamo visto che l’istinto è radicalmente antagonistico, sappiamo, come conclusione, che non esiste istinto patriottico che non sia antagonistico e guerriero. In quello che ha di pacifistico, pertanto, la Democrazia moderna è radicalmente nemica del sentimento patriottico, radicalmente antipatriottica e antinazionale.
Abbiamo contrapposto, così, successivamente ai tre principi fondamentali dell’istintivismo sociale, base di ogni tipo di salute delle collettività e delle nazioni, i tre principi fondamentali del fenomeno di basso intellettualismo denominato Democrazia moderna. Abbiamo visto che alla non intellettualità dell’istintivismo si opponeva la pseudo-intellettualità del principio del suffragio, e che così, e per questo suo principio, la Democrazia moderna è antisociale.
Abbiamo visto che alla conservatività dell’istintivismo si opponeva lo pseudo-altruismo livellatore del liberalismo e che così, per questo suo principio, la Democrazia moderna è antipopolare. Abbiamo visto che all’antagonismo dell’istintivismo sociale si opponeva il pacifismo fratellevole, e che così, e per questo suo principio, la Democrazia moderna è antinazionale e antipatriottica.
E così abbiamo dimostrato che come l’analisi scrupolosa di quel che è l’opinione pubblica, e di quali sono le basi psichiche di una vita sociale sana e stabile in questa opinione pubblica, porti inevitabilmente allo sbrindellamento integrale del concetto moderno di Democrazia.
A queste considerazioni se ne deve aggiungere solo un’altra, tendente a chiarire la comparsa, in questi argomenti, di una condizione costante. Abbiamo sempre detto «Democrazia moderna», e non è stato senza ragione che lo abbiamo detto.
«Democrazia», di per sé, comporta, oltre a questo, due altri significati possibili. Poteva intendersi, senza questo scrupolo, che il nostro argomento negativo fosse estensivo anche della democrazia antica dei pagani, sistema molto differente, solidamente stabile, come era, in quanto basato a un tempo sulla schiavitù e sulla aristocrazia, e vaccinato così contro un gran numero di malattie sociali.
Poteva anche intendersi che il nostro argomento segnalasse la democrazia monarchica (come, in verità, può dirsi che era) del Medieoevo. Ma questa, per essere barbara e, pertanto, nel nostro caso, non significativa, era, in quanto barbara, sana, e perciò (come occasionalmente si è visto) esente dalle giuste ingiurie del nostro argomento analitico. Perciò abbiamo messo in rilievo costantemente che i risultati distruttivi del nostro ragionamento si accordavano costantemente solo con la Democrazia moderna.
Resta, ora, da dimostrare la seconda parte della nostra tesi primaria. Abbiamo provato che l’opinione era un istinto; abbiamo provato che l’opinione pubblica era sempre tradizionalistica. Abbiamo già visto ciò che si poteva dedurre dall’essere l’opinione pubblica un istinto. Andiamo a vedere, ora, ciò che si può dedurre dal fatto che l’opinione pubblica sia sempre tradizionalistica. E’ questo il punto in cui entra in discussione quel conservatorismo che si rese necessario, poco fa, distinguere attentamente dalla conservatività; allora trattata.
Se l’opinione pubblica è sempre tradizionalistica, ne consegue che l’impulsomanifestato da questa opinione sarà sempre orientato a conservare ciò che esiste, le tradizioni del paese, gli usi e i costumi del popolo. Ma per affermarsi a sostegno di ciò che già esiste, o di ciò che esiste in quanto usanza o tradizione, non vi è, evidentemente, necessità di affermazione: nessuno chiede ciò che già c’è.
Vi è, però, un’eccezione: è quando ciò, che già c’è, viene minacciato. Abbiamo, dunque, come prima conclusione, che l’opinione pubblica mai si afferma se non contro qualcuno, che il tradizionalismo mai si manifesta se non contro l’antitradizionalismo. Vuol dire che non si sono mai indicazioni positive dell’opinione pubblica; tutte le sue indicazioni sono negative, malgrado il suo carattere affermativo di violenza. L’opinione pubblica mai chiede che, chiede sempre che non.
Il corollario immediato che si deve trarre da questa seconda conclusione è che non vi sono rivoluzioni nazionali; gli unici movimenti rivoluzionari che in verità, possono essere nazionali sono le controrivoluzioni. E nel capitolo propriamente delle rivoluzioni solo possono essere considerate nazionali quelle che sono fatte contro un dominio straniero, reazioni, queste, anche del tradizionalismo offeso in ciò che possiede di più fondamentale: la tradizione maggiore di tutte, quella dell’indipendenza della patria (…).
La rivolta popolare contro il dominio straniero e la rivolta popolare contro il dominio di rivoluzionari nazionali hanno, in fondo, la medesima origine, partono entrambi dal medesimo istinto – la tradizione ferita, o nel suo insieme patriottico, o nel suo aspetto politico e sociale. Dico male, dico poco: vi è tra le ragioni per i due tipi di rivolta un’identità assoluta.
Visto che esistono rivoluzioni, e visto che (come si è visto) non esistono rivoluzioni nazionali, se ne conclude che ogni rivoluzione è un atto di snazionalizzazione, un’invasione straniera spirituale. E la storia lo conferma – sia nel caso della Rivoluzione francese, che è stata un’intrusione di idee inglesi; sia nell’istituzione dei vari costituzionalismi e repubbliche moderne, intrusione, nei vari paesi, di un inestricabile guazzabuglio anglo-francese.
Di modo che, certamente, si può dire che non vi è rivolta nazionale che non sia contro lo straniero – sia che egli sia lo straniero di fuori che egli sia lo straniero di dentro. E così, dato che vi è verità popolare solo in questi movimenti, la democrazia moderna, oltre a dimostrarsi falsa in ogni estensione dei suoi principi, si dimostra pure falsa in ogni estensione dei suoi processi, che sono quelli rivoluzionari.
Essere rivoluzionario è servire il nemico. Essere liberale è odiare la patria. La Democrazia moderna è un’orgia di traditori.