Articolo pubblicato da Il Giornale
17 maggio 1992
Di Antonio Martino
Conviene ripeterlo e continuare a ripeterlo: nessuno di noi spenderebbe 100 al solo scopo di ricevere in cambio, sottobanco, una mancia di 10. L’operazione è possibile solo se la mancia va a persona diversa da quella o quelle che sopportano l’intero costo dell’operazione, solo se cioè la mancia va al corrotto ed il costo grava sui contribuenti.
La causa vera della corruzione, in altri termini, è una sola: lo statalismo, che costituisce da sempre condizione necessaria, anche se forse non sempre sufficiente, di questi poco esaltanti esempi di malcostume. Vale la pena tornare su questo argomento perché solo se sapremo trarre le giuste conclusioni da quanto è accaduto potremo sperare di evitare che si ripeta.
Come ha argutamente detto Milton Friedman, le possibilità sono essenzialmente quattro: posso anzitutto spendere soldi miei a mio vantaggio. In questo caso, ho sia un incentivo ad economizzare (i soldi sono miei) sia a spendere bene, ad ottenere il massimo dalla mia spesa. Oppure posso spendere soldi miei a vantaggio di altri: avrò sempre una ragione per economizzare ma mi mancheranno le informazioni per ottenere il risultato massimo dalla spesa (dovrei conoscere i gusti del destinatario del regalo per poter spendere al meglio).
E ancora, posso spendere soldi altrui a vantaggio mio; in questo caso, mi manca un incentivo ad economizzare soldi che non sono miei, ma cercherò di ottenere il massimo beneficio dalla spesa, dato che ne sono il destinatario. Infine abbiamo la politica, che consiste nello spendere denaro non mio a beneficio di altri: in questo caso non ho ragione né per economizzare né per spendere oculatamente, ed il risultato è lo spreco o la corruzione.
Stando così le cose la posizione dei moralisti appare assai debole: ogni individuo risponde agli incentivi in maniera prevedibile, scegliendo tra le alternative possibili quella che meglio serve al suo interesse personale. Ovviamente, questo, quando sono in ballo valutazioni di ordine morale, non è vero per tutti: esistono molte persone che, senza sforzo, antepongono il rispetto delle regole di correttezza al loro interesse.
Ma inganniamo noi stessi quando ci diciamo convinti che tutti “dovrebbero” sempre scegliere la retta via della morale. L’offerta di santi non è mai stata molto abbondante e costituisce pessima politica quella di basarsi sulla certezza che la maggior parte delle persone si comporterà inevitabilmente in modo corretto: come sostenuto dall’arcivescovo di Dublino Richard Whately (1787-1863), “chi sostiene che l’onestà è la migliore politica non è un uomo onesto“.
Lasciamo agli utopisti rivoluzionari l’ingenua illusione che, grazie ad una qualche miracolosa ricetta, sia possibile “cambiare gli uomini”, creare l’uomo nuovo, puro e incontaminato dall’interesse personale, e bolliamo di assurdità la pretesa di quanti sostengono che perché la società possa essere moralizzata bisogna aspettare che cambino gli uomini: l’attesa sarebbe interminabile, non avremmo mai standard accettabili di condotta pubblica. Dobbiamo, invece, renderci conto che è l’occasione che fa l’uomo politico, per usare una versione aggiornata di un vecchio detto, e, se vogliamo davvero sconfiggere la corruzione, dobbiamo ridurre al minimo le occasioni che il processo politico inevitabilmente offre di lucro privato a danno dell’interesse pubblico.
E’ questo il punto centrale dell’intera faccenda. Fintantoché continueremo puerilmente a fingere di credere che onestà e disonestà siano fenomeni connessi al possesso di questa o quella tessera di partito non risolveremo il problema. Per ripulire il nostro Paese dal fango della corruzione l’unica strada è quella della privatizzazione, del contenimento dell’invadenza pubblica: quando avremo ricondotto la politica al suo ambito naturale, espellendola dall’economia, avremo una società che non ci costringerà a vergognarci di esserne membri