L’irruzione di Forza Italia nel panorama politico rompe l’equilibrio di molti osservatori
di Piero Mainardi
Partito azienda, partito virtuale o delle partite IVA sono solo alcune delle etichette applicate non senza acredine al movimento politico fondato da Silvio Berlusconi che, da sette anni a questa parte, risulta comunque essere il più votato dagli italiani.
L’irruzione di Forza Italia nel panorama politico oltre a mettere in crisi i criteri di analisi politologica e rimandare la conquista del potere politico da parte della sinistra ha messo in crisi anche l’equilibrio di molti osservatori della politica i quali, anziché esaminare scientificamente questo nuovo e singolare fenomeno politico, hanno spesso preferito usare le armi della polemica e della caricaturizzazione accompagnate ad un allarmismo centrato su timori eversivi e su coperture di interessi privati.
Non rientra in questa categoria lo studio di Emanuela Poli Forza Italia. Strutture, leadership e radicamento territoriale (ed. Il Mulino, pp. 296, E. 18.59) che è effettivamente uno studio scientifico della realtà Forza Italia della quale ricostruisce le ragioni e le modalità della nascita, le strategie di comunicazione e le strutture organizzative che gli permisero di vincere a sorpresa le elezioni politiche del ’94 e al tempo stesso le difficoltà organizzative e politiche che determinarono la caduta del governo Berlusconi prima e la sconfitta elettorale del ’96. Sconfitte che fecero emergere la necessità di un ripensamento della struttura e dell’organizzazione del partito che, a quanto pare, sembra essere stata l’arma decisiva che ha consentito a Forza Italia di rilanciarsi e di tornare al governo dopo una serie di tornate elettorali vincenti (Europee ’99, Regionali 2000 e Politiche 2001), smentendo così chi la voleva una meteora politica.
Forza Italia si proponeva come una forza politica nuova, estranea alle modalità di gestione e di struttura politica che caratterizzava i tradizionali partiti “ideologici”. Ma questa novità che rendeva Forza Italia come il primo partito “post-ideologico” era resa possibile e si sovrapponeva (almeno inizialmente) con gli uomini, le strutture, la compattezza e la particolare cultura aziendale sviluppata dai vari gruppi della Fininvest operanti prevalentemente nel campo dei servizi e caratterizzati da una organizzazione snella e aggressiva ad elevata capacità di adattamento e rapida decisionalità, tipiche delle aziende post-industriali.
Lo smantellamento giudiziario dei partiti centristi avrebbe consentito alla sinistra di conquistare il potere politico come si poteva evincere dal risultato delle amministrative del ‘93. Allarmato da tale prospettiva Berlusconi fin dal luglio del ’93 cominciò a pensare ad un suo intervento in politica, lasciando una serie di indizi che i fatti successivi trasformeranno in prove del suo preciso disegno di “scendere in campo”.
Il 28 luglio ’93 in due interviste distinte (allora non percepite come collegate) a La Repubblica da parte di Berlusconi e di Giuliano Urbani al Corriere della Sera si invocava la necessità di una nuova classe dirigente e l’avvio di una serie di incontri con personaggi dell’imprenditoria e della cultura per creare strumenti atti a selezionare una nuova classe dirigente, imperniata su valori liberaldemocratici e della libera impresa.
Sempre nel luglio ’93 Berlusconi commissionò dei sondaggi sulla situazione politica (che gli confermavano l’orientamento non di sinistra della maggior parte degli italiani favorevoli verso un nuovo modo di fare politica, con uomini competenti e provenienti dalla società civile) e sulla sua immagine (che si rivelò apprezzata).
Seguirono il lancio dei club di Forza Italia, e poi l’annuncio della discesa in politica del 26 gennaio del ’94 cui fece seguito una campagna elettorale pianificata fin nei minimi dettagli dagli uomini di Publitalia: colpì allora l’uso massiccio dei sondaggi e degli spot televisivi, ma la pianificazione dello staff aziendale andò ben più in profondità. Il successo elettorale fu sorprendente e le aziende Fininvest si dimostrarono in grado di essere in grado di vendere con successo anche un “prodotto politico”.
Meno facile fu la gestione politica e organizzativa del partito: ben presto i Club si sentirono in posizione marginale e molti eletti si sentirono schiacciati dalla figura del leader.
La fallimentare parentesi di governo indusse Berlusconi a occuparsi maggiormente della organizzazione del movimento che voleva “leggero”, d’opinione, con poco personale, imperniato sul rapporto fiduciario che lo legava ai dirigenti da lui nominati per un verso, ma anche un partito degli eletti (e non “degli iscritti” come tradizionalmente anche se formalmente, accade) che avrebbero dovuto rappresentare, organizzare e gestire il partito a livello locale.
Scarsa e quasi inesistente la strutturazione, per scelta, sul territorio, ma i rovesci elettorali alle amministrative e poi alle politiche del ’96 consigliarono Berlusconi di rendere più robusto quello che era un partito “leggero” e di questa operazione fu incaricato l’ex-esponente DC Claudio Scajola. Un operazione che ha in larga misura rimodellato il partito sui modelli più tradizionali, dando radicamento sul territorio, maggiore democrazia interna e una strutturazione che combinava la cooptazione dall’alto con la partecipazione e la selezione dal basso.
Il modello si è rivelato vincente e, come rileva Emanuela Poli, sebbene Forza Italia sia ancora sentito come il partito di Berlusconi (la sua leadership è avvertita come naturale), si è sviluppata al suo interno una vera classe dirigente (sganciata dagli uomini dell’azienda) anche a livello periferico, omogenea al progetto politico, che ha raggiunto un ampia autonomia organizzativa e finanziaria.
Per certi aspetti occorre riconoscere che Forza Italia per assicurarsi il successo ha dovuto riplasmarsi sui deprecati modelli partitici, non di meno è riuscita a mantenere elementi innovativi alcuni dei quali positivi (come la centralizzazione delle iscrizioni per evitare la nascita dei signori delle tessere) altri più discutibili come la spettacolarizzazione degli eventi politici e l’applicazione del concetto di marketing alla competizione politica che sembrano ridurre il valore della politica e quello dell’elettore a consumatore.
Ma qui il discorso si allargherebbe alla scala di valori generalmente in circolazione (ed anche sulle tecniche fin qui adottate per la cattura del consenso elettorale, che non si sa poi fino a che punto siano stati migliori di questo) portandoci ben oltre: ma il saggio della Poli non si prefiggeva certo di indagare in questa direzione, pur lasciando sulla base dei dati riportati anche elementi di riflessione (talvolta sorprendenti) in tal senso.