Articolo pubblicato su Tempi n.49
Un giornalista craxiano ritrova una lettera d’inizio ‘900 di Anna Kuliscioff. In margine a una storia d’amore, l’attualità di un socialismo umano, naturalmente cristiano
La compagna di Filippo Turati
Giovani anarchici bakuniniani, si conobbero in Svizzera nel 1877. Avevano già conosciuto clandestinità, carcere, esilio. Il loro motto, comune a tutti gli anarchici europei dell’epoca, era l’”andata verso il popolo” e questo distinguerà tutte le loro scelte politiche future, fino alla cosiddetta “svolta” di Andrea Costa e poi alla raffinata analisi politica e sociale della Kuliscioff.
Dirà sul banco degli imputati nel tribunale di Firenze nel 1879: «La rivoluzione deve partire dal popolo e non può essere fatta suo malgrado. Provocare le bande armate, ove non sorsero già, sarebbe stato fuori dal popolo». Anna, che diventerà in seguito la compagna di Filippo Turati, lasciò un segno indelebile in Italia. Antonio Labriola, con brutale schiettezza, affermò: «Solo un socialista italiano ha i coglioni. è una donna, si chiama Kuliscioff».
Ma Anna, come rivela il suo cognome, non era italiana. Era nata in Russia. Il suo vero nome era Rozenstejn, di origine ebraica, con un padre convertitosi all’ortodossia cristiana. Colta, avvenente e di famiglia ricca, aveva avuto contatti con Bakunin, Lavrov, Kropotkin, Vera Zasulic, Plechanov, Engels, Clara Zetkin, il milieu del ribellismo europeo.
Cosmopolita, la bella russa elaborò forse meglio di tutti gli altri suoi compagni il suo socialismo umanitario che, in Italia, ebbe la sua culla a Milano contro le sezioni di sinistra del resto del Paese. Nel rapporto con Costa, quando ormai i due si erano separati, arrivò un momento di attrito che spiega due visioni del mondo e della libertà: il matrimonio di Andreina con un figlio dell’industriale Gavazzi, ricca famiglia di setaiuoli, conservatori con, si diceva un tempo, “tinta clericale”. Quando Andrea Costa viene a sapere del matrimonio in Chiesa di Andreina scrive, un po’ risentito e anche scandalizzato, una dura lettera ad Anna Kuliscioff.
La lettera della Kuliscioff
Lei risponde in questo modo: «Milano, 27 marzo 1904. Mio caro Andreino, sì, hai ragione, è una gran malinconia di dover convincersi che noi non siamo i nostri figli, e che essi vogliono far la loro vita, astrazione fatta dai genitori, come l’abbiamo fatta noi ai nostri tempi. La malinconia non proviene da quel piccolo incidente di matrimonio religioso, ma dal fatto che la nostra figlia non ha né l’animo ribelle, né il temperamento di combattività. è una povera bambina buona, gentile, abbastanza intelligente, affettuosa, creata per la famiglia e per avere figli propri. Essa non fu mai socialista, né miscredente: nel ’98 fece voto alla Madonna perché io non fossi condannata, la Madonna non l’ascoltò, allora pregava un Dio astratto.
Per essa dunque non c’era né tradimento alla propria coscienza, né dovere di coerenza che combatte sulla breccia per un ideale lontano in contrasto con la società. Un pensiero la tormentava, perché vuol molto bene a me, ch’io avrei potuto soffrire, se avesse fatto il matrimonio religioso, e bada, Andrea, io non sapeva che si fosse già passata parola fra loro due, non credevo lontanamente possibile un matrimonio di questo genere, non per causa della ragazza ma per la sfortuna che le portava io d’esserle madre, reproba e reietta dalla gente per bene.
Ebbene una sera se ne parlò del matrimonio religioso ed io, perché essa non abbia alcuna amarezza da parte mia, le dissi che per parte mia odio tutte le formalità del matrimonio, ma in verità mi ripugna più l’atto commerciale del matrimonio civile, poiché nel matrimonio religioso, per un momento almeno, si ha la sensazione poetica della fusione delle anime.
D’altronde Andreina ha ventidue anni, e certo come abbiamo fatto anche noi, alla fine, anche con dolore, avrebbe potuto fare a meno del nostro consenso. Non si è fatto nessun genere di dedizione e di umiliazione; allora si potrebbe dire anche viceversa, avendo il figlio affrontato tutti i fulmini del parentorio più nero del conservatorismo milanese.
D’altronde come buoni e convinti socialisti dobbiamo rispettare anche la volontà e l’individualità dei nostri figli, sotto questo rapporto non ho nulla da rimproverarmi, ed ho la coscienza tranquilla d’essermi comportata come onestamente e sinceramente sento il dovere della maternità. è stato un fallimento, come dici tu, ma un fallimento non doloso; poiché se la Ninetta non è l’immagine nostra, è pur una brava e buona ragazza.
Io sono stata angosciata per molti anni, io capivo che la povera Ninetta scontava gli slanci generosi della sua madre, io sapevo che un giovane di famiglia borghese, dati i pregiudizi sociali, familiari e religiosi, difficilmente se non molto innamorato la sposerebbe per le presunte colpe della madre, che schiaffeggiava la società sotto tutti i rapporti. Ora questo incubo fu frequente causa del pormi serenamente questo problema: se non fosse più onesto da parte mia, per la felicità di Ninetta, sopprimermi.
E lo stato d’animo mio era tale che solo una ragione, che mi disse Filippo, mi tratteneva nel commettere una grossa sciocchezza, e fu, che intanto, lasciavo la Ninetta sola. Tutto ciò ti spiega, come e quanto mi sembrano meschine tutte le punte delle canagliate politiche all’”Italia del Popolo,” come sono indifferente alla pretesa menomazione della mia persona; come mi par settario, e come mi pare primitivo il sentimento dei genitori che vogliono esercitare pressioni sull’animo dei figli.
Se la Ninetta fosse minacciata da una disgrazia, se l’uomo da lei prescelto fosse indegno, allora per la sua salvezza, per il suo bene si può anche violare le norme di libertà di coscienza e di azione. Ma se va incontro alla sua felicità, sia pur benedetta anche dal prete, ne sono contenta ugualmente. T’abbraccio di cuore. Non volermi male e sono meno peggio di quel che mi credi. Anna».
Quando Craxi disse: “Chi ricorda il padre di don Gius, capo dei socialisti di Desio?”
Questa lettera è in fondo una lezione di libertà al vecchio compagno di vita e di tante battaglie. I rapporti tra i due si ricomposero. Nel dicembre del 1908, Anna Kuliscioff scrive da Desio ad Andrea: «Carissimo, ho da comunicarti che siamo già tre volte nonni; s’invecchia caro Andrea, meno male se si è ancora abbastanza giovani da sapere partecipare alle gioie degli altri.
La Ninetta è contentissima della sua terzogenita Ernestina, una bambina tutta rotonda e di un peso molto lusinghiero all’amor proprio materno. Essa mi prega di mandarti un bacio coll’annunzio di aumento della sua piccola tribù. Io mi fermo qui per altri 8, od al più 10 giorni. Come stai? Spero bene, perché ti vedo presiedere anche le sedute del gruppo.
Saluti cordialissimi coll’affetto di costante amicizia. Anna». Su Anna Kuliscioff, sul suo pensiero, è stato fatto un incredibile “lavoro di rimozione”. Il suo carteggio con Filippo Turati ebbe un itinerario travagliatissimo tra gli editori rinomati, come “Einaudi”. Si sa che, negli anni Cinquanta e in seguito, il socialismo riformista e umanitario non andava di moda.
Come diceva Bettino Craxi, con la sua solita foga, chissà «se qualche intellettuale dei miei stivali saprà che a Desio c’era il padre di don Luigi Giussani che in quell’epoca faceva il segretario della sezione socialista». Oggi Anna è sepolta al Cimitero Monumentale di Milano, nella tomba coperta da un masso delle montagne di Canzo, insieme a Filippo Turati. Ogni anno i socialisti riformisti milanesi ricordano lei e il suo ultimo compagno. Si tolgono il cappello, inchinano la testa e molti si fanno il segno della croce.